sabato 12 aprile 2014

quante Australie

L'abbiamo visto. Abbiamo visto cosa c'è dall'altra parte, o per lo meno un pezzetto di quel che c'è dall'altra parte del mondo. Torniamo alla nostra vita di sempre, come brave formichine operose. Ma abbiamo visto che il nostro formicaio non è l'unico possibile. Ci sono altri formicai, dove si parla, si ragiona e si vive in maniera diversa. C'è anche chi vive fuori dal formicaio.
Non siamo pronti per tornare, ma dobbiamo tornare. Almeno per il momento.
Questa notte, alle 3, percorrendo le strade di Sydney verso l'aeroporto, la Grande ha voluto ricordare con me i giorni più belli del nostro viaggio in Australia.
Il primo - ha detto - è stato il giorno del mio compleanno.
Eravamo sulla Great Ocean Road, circondati di pappagalli e coi koala che dormivano sopra le nostre teste. L'Australia è natura selvaggia. In Australia si è spesso circondati di animali strani, amichevoli o ladri o assassini. Molti animali possono uccidere un uomo in due minuti. A volte c'è da stare attenti, ma sempre, sempre, si rimane a bocca aperta di fronte allo spettacolo della natura. E, rimanga agli annali, abbiamo deciso che il nostro animale australiano preferito è il vombato, quell'orsetto schivo e dal pelo duro che dorme di giorno e si sveglia la sera. Il koala... Troppo scontato. Dorme troppo. Rovina i boschi. Fa pipì in testa a chi passa.
Il secondo dei tre giorni più belli - ha continuato la Grande in taxi - è stato quando ci siamo fermati alla fattoria, ad allattare il cangurino e a mungere le mucche. 
L'Australia dell'outback, caldissima, arida e piena di mosche insistenti. L'Australia delle fattorie da migliaia di ettari, dove le mucche girano libere ma i cavalli vanno richiamati ogni mattina.
Proprio in mezzo all'outback c'è il Grande Centro, il Red Centre, dove l'Australia è soprattutto degli aborigeni. Tutta l'Australia, in effetti, era degli aborigeni, prima che qualcuno inventasse il contrario a suon di armi. Gli australiani sono sempre stati gentili con noi, ma la cultura aborigena... È magica. I giochi della Grande e della Piccola da giorni sono popolati di storie e leggende sul colore dei corvi, sulle stelle, sul serpente arcobaleno. Il patrimonio degli aborigeni era inestimabile. Speriamo che ne rimanga almeno qualcosa.
Il terzo giorno più bello è stato quello dello snorkelling, quando abbiamo incontrato le tartarughe. 
Meno male. Temevo che il mal di mare cancellasse tutto con un ricordo cattivo, invece le bambine si sono godute la barriera corallina, troppo bella e perfetta per raccontarla, con quel mare turchese e i pesci di mille colori. Un giorno torneremo a Lady Musgrave, un'isola di corallo dove si può campeggiare in tenda, da soli su un puntino nell'oceano. Un paradiso. L'Australia è anche il suo incredibile mare, con le onde per il surf, le tartarughe appena un metro sotto la superficie. E pazienza se in alcune zone c'è anche la cubomedusa, il mio incubo: ho scoperto che basta allacciare la muta fin sotto il collo.
Quante Australie diverse abbiamo visto. E non abbiamo nemmeno girato tutta l'Australia: tre mesi sono troppo pochi.
In taxi, andando verso l'aeroporto, la Piccola ha sgranato gli occhi e ha chiesto:- Ma quando torniamo al nostro camper? È da ieri che continua con questa domanda.
Non abbiamo più il nostro piccolo camper economico ed equipaggiato male. Non siamo più selvaggi e liberi.
Ma voi ricordatevi, ricordatevi bambine, che dall'altra parte c'è qualcosa di diverso da vivere.

venerdì 11 aprile 2014

la boccia del pesce rosso

In questi tre mesi abbiamo evitato del tutto le città. Forse è per questo che Sydney ci fa davvero impressione. È enorme. Ci sono grattacieli, traffico, negozi pieni di gente e lunghe distanze da coprire a piedi. Il cielo è grigio, ma non piove. Camminiamo fino al porto e all'Opera House. Il colpo d'occhio è notevole, ma non ci emoziona. Scattiamo qualche foto, compriamo due costosissimi gelati per le bambine e ci sediamo su una panchina. Stiamo fermi un po' e poi ci rimettiamo a ciondolare. Ieri pomeriggio, il tassista nepalese ci assicurava che Sydney è piena di opportunità e c'é lavoro per tutti. In effetti incontriamo moltissimi ragazzi stranieri che servono ai tavoli, stanno alle reception o nei negozi. A noi europei, schiacciati dalla crisi, il tutto fa un certo effetto. Sydeny ci appare vivace, colorata, multietnica. È un peccato soltanto non incontrare aborigeni australiani, che qui evidentemente non vivono.
Io e il Papà passiamo la giornata a galleggiare. Ci sentiamo spaesati, come se guardassimo una cartolina. Dopo tre mesi di assoluta libertà, qui siamo come pesci fuor d'acqua. Anzi, siamo come il pesce rosso nella hall del nostro ostello, che vaga da un lato all'altro della sua boccia. Non così le bambine, che sembrano felicissime, si stupiscono e si godono qualsiasi cosa. La Piccola è tutta eccitata quando un'artista di strada le regala uno smalto per unghie. Entrambe saltano di gioia quando proponiamo di dividere una pizza al self-service. La Grande è contentissima di mettere le fette di pizza nei piatti, usando la paletta. Entrambe sono di nuovo felici quando entriamo in un'enorme libreria. In questi mesi, peraltro, le biblioteche non sono mancate: io e il Papà avevamo spesso bisogno di accedere ad un computer per scaricare foto e video sulle memorie esterne. Di solito, mentre il Papà provvedeva al travaso, io leggevo alle bambine una storia dietro l'altra. Abbiamo frequentato tante biblioteche di paese. Questa è una grossa libreria con l'aria condizionata troppo forte, e mi sembra molto meno poetica.
A volte penso che bisognerebbe imparare a vivere come i bambini. Loro riescono davvero a vedere sempre il bello, a cogliere il lato eccitante. Per noi adulti è impossibile, e comunque il gioco di Pollyanna (o di Mary Poppins) non è mai stato il mio forte.
Passiamo la nostra ultima notte australiana nel dormitorio di un ostello pieno di ragazzini con lo zaino. Io e il Papà abbiamo appena finito la sistemazione del bagaglio più grande del mondo. Alle quattro del mattino prenderemo un taxi per l'aeroporto.

giovedì 10 aprile 2014

quindicimila

Sydney
Il camper era casa nostra: lasciarlo è stato triste e faticoso. Come in tutti i traslochi, spuntavano oggetti da ogni cassetto, dagli armadietti, dagli angoli. Proprio quando pensavamo di aver finito, si presentava un altro lavoro da terminare, un'altra cosa a cui trovare spazio in valigia. Come in tutti i traslochi, abbiamo buttato via un sacco di roba potenzialmente utile; in compenso abbiamo tenuto giocattoli, vecchie sorpresine Kinder, varie stupidaggini che in quel momento ci sono sembrate un ricordo.
E in un attimo il nostro viaggio in Australia è finito.
Nell'outback avevamo guidato per centinaia di chilometri senza incrociare un veicolo. Oggi arrivare a Sydney, e soprattutto attraversarla, è stato un delirio di traffico congestionato e lavori stradali. Abbiamo vissuto un'estate caldissima, ma qui piove, fa freddo, c'è bisogno di ombrelli e felpe. Per tre mesi abbiamo cucinato sempre, tre pasti al giorno. Questa sera abbiamo camminato un po', e siamo finiti in un ristorante malese alla buona. Non che fosse male: anzi, le bambine hanno ingurgitato enormi piatti di riso saltato e germogli di bambù. Ma era strano trovarsi in un locale, pigiati, a sentire le chiacchiere degli altri e con una gentilissima signorina che ci portava i piatti. E com'è che sopra le nostre teste non si vedeva la Via lattea, ma solo luci al neon?
La Grande e la Piccola giocavano da sole sull'erba, sulla sabbia, al parco. Correvano incontro agli animali e poi da noi, di nuovo. In città, sui marciapiedi, bisogna tener loro la mano, e ci agitiamo al pensiero che si allontanino.
Dormiamo in ostello spartano, ragionevolmente vicino al centro (ora siamo a piedi) e carissimo, come tutto qui a Sydney. Ci sentiamo in cattività. Entrando nel dormitorio, piccolo piccolo, con mura in cemento e nessuno sfogo sull'esterno, abbiamo avuto una vaga sensazione di claustrofobia. Più che vaga, in effetti. Siamo animali selvatici catturati e messi in gabbia.
Prima di abbandonare il camper abbiamo dato un ultimo sguardo ai chilometri percorsi: in questi tre mesi ne abbiamo fatti quindicimila.

mercoledì 9 aprile 2014

goanna grande, piccolo squalo

Nelson Bay
Oggi pensavamo di arrivare a Sydney, sistemarci in un campeggio cittadino e dedicarci a preparare la partenza, che si annuncia impegnativa come un trasloco. La Famiglia in cammino, tuttavia, è specialista nel comportarsi "come se non". Ci siamo fermati per colazione in una bella località sulla costa. Abbiamo visto il mare, e c'era di nuovo il sole sopra. Abbiamo deciso di parcheggiare qui il camper e goderci anche questa giornata. Come se non dovessimo prendere l'aereo a breve. Come se i bagagli non fossero ancora tutti da fare. Come se non ci fosse da riordinare, pulire, sistemare.
Siamo di nuovo circondati di animali selvatici: al nostro arrivo, ad attenderci, abbiamo trovato il più grande goanna mai visto in questo viaggio. La Piccola lo ha definito un dinosauro, e non del tutto a torto: era un lucertolone lungo circa un metro e mezzo, giallo e verde, che muoveva avanti e indietro la lingua biforcuta. Subito dopo ci siamo accorti che ce n'erano molti altri. I goanna non sono velenosi, ma possono mordere, quindi ho ricordato alla Grande e alla Piccola di stare attente. Loro, peraltro, sono corse velocemente al parco: di altalene e scivoli non ne hanno mai abbastanza.
Il posto è anche pieno di kookaburra, che hanno un verso caratteristico, come una risata sguaiata: la Grande dice che sembrano scimmie. I kookaburra sono ladri abili e voloci. Ovviamente si sono avvicinati a noi durante il pranzo, ma siamo riusciti a lasciarli a bocca asciutta. A cena, invece, abbiamo avuto la compagnia di un grosso opossum, che saltava irrequieto sull'albero proprio sopra di noi.
La località è famosa per le enormi dune di sabbia dorata, tipo Sahara, che costeggiano la spiaggia per chilometri. Lo spettacolo effettivamente è suggestivo.
Il paese sorge su una lingua di sabbia. Da un lato ci si affaccia sull'oceano e sulle onde. La Grande e la Piccola non se le sono fatte scappare, e si sono buttate per l'ultima volta sul surf (a Sydeny nei prossimi giorni si prevede pioggia, quindi non credo che andremo al mare). La Piccola ad un,certo punto è precipitata rovinosamente in acqua, ma siamo riusciti a convincerla di aver fatto una capriola. Incidente risolto.
Dal lato opposto, la spiaggia è protetta da una specie di laguna. Il mare era piuttosto freddo ma piatto. Abbiamo indossato le maschere e ci siamo concessi un'oretta di snorkelling: ne siamo tutti appassionati. La laguna non può certo competere con la Barriera corallina, ma anche qui c'erano moltissimi pesci. In mezzo alle alghe stava nascosto anche un piccolo squalo. Era grigio, a pallini bianchi, si muoveva a scatti e non scappava. Pare che si tratti di una specie innocua. Noi però abbiamo guadagnato rapidamente la riva, anche perché iniziava a far freddo. Ormai in Australia l'autunno è arrivato.

martedì 8 aprile 2014

donne in piena crisi di nervi

Johns River rest area (Pacific Highway)
Per la prima volta in tre mesi facciamo davvero fatica a sistemarci per la notte. Abbiamo bisogno di fermarci sulla strada per Sydney, ma la Pacific Highway è tutta un cantiere: molte aree di sosta sono chiuse, o si possono usare solo di giorno, o sono dall'altra parte della strada ed è impossibile cambiare direzione. Riusciamo a posteggiare tardissimo e siamo tutti distrutti. Ci accontentiamo di una cena fredda, uova, fagioli e tonno in scatola.
Ho pensato più volte alla frase della contadina di Myella Farm; giorni fa, quando le ho chiesto come mai preferiscano usare cavalli maschi con i principianti, mi ha risposto: "Perché i maschi sono prevedibili. Il loro carattere è tutti i giorni lo stesso". Io non sarò un cavallo, ma sono orgogliosamente femmina, e oggi ammetto di essere stata intrattabile per tutto il giorno. Sarà la stanchezza (se non altro per i mesi di sveglia alle 5.50 e partenza alle 6, domenica inclusa), sarà la tristezza per la fine del viaggio, non so. Fatto sta che oggi non mi si poteva avvicinare. Il peggio è che mi sforzavo di stare allegra; e più mi sforzavo, più diventavo apatica e antipatica. Peggio del peggio: le altre due femmine del gruppo sono state contagiate, e si sentivano evidentemente come me. Hanno passato l'intera giornata a picchiarsi, a lamentarsi, a piangere, rendendo il camper un inferno.
Domani dobbiamo essere a Sydney; quindi eravamo obbligati a percorrere un bel po' di chilometri, e altrettanti ne dobbiamo ancora fare. Tuttavia abbiamo tentato di goderci lo stesso la giornata. Programmavamo qualche sosta in spiaggia, ma il meteo non ha aiutato: anche oggi freschino e showers, il che ha ulteriormente peggiorato l'umore delle donne di famiglia. Ne ha fatto le spese ovviamente il Papà, che ha catalizzato tutte le sfuriate, le frustrazioni e i capricci dei tre quarti del gruppo. Bisogna dire che lui in questo ormai è specialista, e infatti è riuscito a controllarsi per tutto il giorno, lasciandoci sfogare senza reagire.
Ci siamo fermati a Yamba per colazione, ma ha iniziato a piovere e abbiamo abbandonato in fretta la spiaggia. Gli australiani, che ancora ci stupiscono, facevano il bagno come niente fosse, ma noi non abbiamo assorbito i costumi locali fino a questo punto. Abbiamo proseguito per Coffs Harbour: la Grande è entrata in oceano solo pochi minuti, il tempo di dare un ultimo saluto al surf. Siamo passati da Bellingen: paese eccentrico, artistico, hippy e divertente.
Entrando nell'ennesimo bagno pubblico, per una volta abbastanza spazioso e abbastanza decente, la Piccola ha avuto un moto di tenerezza (sono sempre le situazioni di completa intimità a scatenare i suoi moti di tenerezza):- Mamma - ha detto - hai visto che meraviglia questo bagno? È bello... Grande... Si può fare la cacca, senza problemi! 
Poi mi ha abbracciato le ginocchia e ha proseguito:- Tu sei bellissima, carinissima e avventurosa!
Io:- Avventurosa?
- Sì!
- Ma tu sai cosa vuol dire?
- Certo. Vuol dire che ci fai provare tante avventure.
- Per esempio?
- Per esempio... Venire in Australia!

lunedì 7 aprile 2014

sotto le docce

Sto sicuramente invecchiando: un sintomo evidente è che i ragazzi di Byron Bay, con la loro aria hippy e alternativa, mi ispirano tenerezza. Certo, avrei voluto essere come loro, e forse lo vorrei ancora. A volte vorrei essere una ventenne, piena di piercing e coi capelli rasta, senza lavoro, senza arte né parte, a spasso per l'Australia. Si potrebbe dire che la mia è solo invidia, e il ragionamento sarebbe fondato. Tuttavia continuo a provare tenerezza per queste orde di post-adolescenti che camminano scalzi, con l'aria da poveri in canna, e intanto prenotano lanci sky-diving da 350 dollari per 10 secondi. Si sentono vicini allo stato di natura, e intanto affollano locali dove un gelato costa 7 dollari, dopo aver parcheggiato il loro camper hippy in un posteggio da 5 dollari l'ora. Noi abbiamo preferito parcheggiare lontano e abbiamo passeggiato un po' verso il paese e poi in paese. Altro oggi non si poteva fare, perché il cielo è stato molto capriccioso. Ha piovuto non meno di 10 volte (qui spesso le piogge durano pochi minuti, infatti le chiamano showers, cioè "docce") e la temperatura è stata bassina. Sta arrivando l'autunno.
Tolta la tenerezza-invidia, e tolto il freddo, la giornata è stata piacevole. L'atmosfera di Byron Bay è rilassata e il campeggio ha tratti di strada asfaltata dove la Grande e la Piccola hanno potuto lanciarsi con lo skate (come del resto facevano i post-adolescenti hippy).
Con la scusa del clima non ho portato le bambine con me a fare la doccia, evitando che percorressero, gocciolando, i 50 metri dai servizi al camper; quindi mi sono goduta un fantastico momento di solitudine insaponata, che ha favorito i pensieri. Certamente in questi 3 mesi mi è mancato un bagno tutto nostro, dove lasciar andare le ragazze da sole, senza accompagnarle di continuo e senza l'incubo che tocchino in giro. Per il resto, abbiamo imparato perfettamente a vivere nei 4 metri quadri del camper. Abbiamo pochi vestiti ma non importa, basta lavare. Non abbiamo televisore, radio e lettore DVD. Ma non importa, chiacchieriamo fra noi. Le bambine hanno pochi giocattoli, ma non importa, si sono rotolate in centinaia di parchi diversi, hanno accarezzato centinaia di animali, hanno corso su centinaia di prati. Ora stiamo per tornare a casa nostra, che è piena di oggetti, di obblighi e di responsabilità. Torno ai miei cassetti pieni di magliette, al tappeto bellissimo che va spazzolato, ai fornelli grandi che bisogna pulire.
Cerco di abbandonare tutti questi pensieri, esco dalla doccia e mi guardo allo specchio. I miei capelli hanno abbandonato qualsiasi disciplina, e corrono ricci in tutte le direzioni. Ora torno alla mia piastra lisciante, al rossetto vermiglio e alle scarpe col tacco 12. Ne ho davvero bisogno?

domenica 6 aprile 2014

la più saggia

Byron Bay
Aggrappati ai piccoli riti della nostra verissima casa, abbiamo mantenuto quel che si poteva. Le coccole della mamma la mattina nel letto. Dieci minuti di cartone animato prima di andare a dormire. L'uovo Kinder una volta alla settimana, la domenica.
Oggi, per colazione, abbiamo montato il nostro tavolino blu vicino ad un parco giochi lungo la strada per la Gold Coast. Abbiamo bevuto il latte, mangiato i biscotti al cioccolato (che non sono come i Pan di Stelle, ma a tutto ci si adatta) e aperto le ultime uova Kinder dell'Australia. Non avremo un'altra domenica qui.
La Grande:- Ma allora fra poco ce ne andiamo? Sul serio? Pensavo che rimanessimo ancora tre settimane...
Io (sorpresa):- Ti dispiace? Credevo fossi contenta di tornare a casa...
- Sì, sono contenta, ma mi dispiace lasciare la mia amica Australia. Qui è così bello, ogni giorno facciamo qualcosa di diverso e siamo sempre in giro. A casa dobbiamo fare sempre le stesse cose... Sveglia di corsa, lavarsi i denti, poi a scuola...
- Allora ti piacerebbe se ci trasferissimo qui?
(pensierosa) - Mah... Penso che, se vivessimo qui, dovrei comunque andare a scuola tutti i giorni, e svegliarmi di corsa e lavarmi i denti in fretta. Se vivessimo qui, anche qui faremmo sempre le stesse cose. È meglio tornare in Italia, che almeno ci sono i nonni.
A volte non ho dubbi su chi sia la più saggia della famiglia.
Proseguiamo il nostro tragitto di ritorno verso Sydney e verso il nostro volo di rientro. Oggi siamo un po' frastornati. Ci siamo fermati per la mattinata a Surfers Paradise, una delle mete più gettonate del turismo australiano. Noi ci siamo sentiti come pesci fuor d'acqua: per la prima volta in tre mesi imbottigliati nel traffico, fra grattacieli impressionanti, negozi di ogni tipo, residence di lusso. Sembrava la Florida. Un delirio. Il tempo di fare un bagno, scampare al temporale e ci siamo rimessi in viaggio. Siamo arrivati a Byron Bay, un'altra località molto frequentata, ma con una personalità totalmente diversa: qui è pieno di figli dei fiori, gente dall'aria "alternativa". Capelli rasta, piercing e tatuaggi in misura ancora maggiore che nel resto dell'Australia (gli australiani amano molto i tatuaggi, meglio se vistosi). A Surfers Paradise grattacieli luccicanti, negozi di souvenir e disco music a tutto volume in spiaggia. A Byron Bay casette basse, negozi di erbe terapeutiche e musica reggae per le strade. In entrambe le città (che distano solo un'ottantina di chilometri l'una dall'altra) gran confusione, traffico e prezzi alle stelle.

sabato 5 aprile 2014

molto tanto

Browns Creek rest area (Old Bruce Highway)
La passione per il surf conosce una stagione nuova.
Ci siamo fermati per due giorni a Rainbow Beach, che ha una strana sabbia luccicante, marrone, dorata e grigia. La leggenda aborigena vuole che sia nata dai frammenti di un arcobaleno, ucciso per amore. La spiaggia è lunghissima e poco frequentata. Il mare è tiepido e ha onde ottime per il surf. La Piccola si butta sulla pancia con entusiasmo e sicurezza. All'inizio del viaggio praticamente non voleva saperne, ora anche lei non vede l'ora di lanciarsi. La Grande è praticamente una campionessa. Oggi è perfino riuscita, più volte, a salire in piedi sulla tavola che il Papà aveva noleggiato.
In tre mesi di viaggio, la Grande ha provato moltissimi sport. Ha iniziato con la canoa, pagaiando appassionata e lamentandosi perché doveva portare il giubbotto salvagente (Ma io so nuotare!). Ovviamente in canoa ci è andata col Papà; io me ne sono ben guardata: troppa fatica. Poi è stata la volta dello skateboard. Se l'è fatto prestare in un campeggio, ha provato e si è innamorata. Lo ha voluto in regalo per il suo compleanno. Da allora, siamo diventati assidui frequentatori delle piste da skate pubbliche, che qui in Australia sono molto diffuse. La Grande ha imparato piuttosto bene a tenersi in equilibrio e ad affrontare le curve. La Piccola prova occasionalmente, di solito sedendosi a cavallo dello skate. Non ama assumersi il rischio di cadere. C'è stato naturalmente molto nuoto: la Grande ormai se la cava benone, e anzi ha insegnato anche alla Piccola a stare a galla senza l'aiuto dei braccioli. In assenza di mare, ci sono stati il frisbee e il boomerang, ma quest'ultimo è un po' una nota dolente: la Grande, notoriamente perfezionista, non riesce quasi mai a farlo tornare e ogni volta si arrabbia. Soprattutto perché la Piccola un paio di volte ce l'ha fatta. Le ragazze hanno provato l'equitazione, lungo la Great Ocean Road e pochi giorni fa, nei prati intorno a Myella Farm. Più di recente, c'è stato lo snorkelling, ma bisogna perfezionare la tecnica di respirazione dal boccaglio: nessuna delle bambine l'ha capita ben bene, ed entrambe devono spesso tornare a galla a prendere il respiro. Nei sogni della Grande e della Piccola è entrato recentemente lo sky-diving, una specie di paracadutismo con atterraggio in spiaggia che qui è piuttosto diffuso, ma che per ora preferisco rimanga solo nei sogni. Del resto lo sport del momento è senza dubbio il surf. Oggi il Papà aveva noleggiato una tavola per sé. La Grande ha chiesto di provare anche lei a stare diritta, alta sulle onde. Tentava, cadeva, traballava e riusciva finalmente a mettersi in piedi. Ci è riuscita più volte, allargando le braccia come fanno gli equilibristi e ridendo come fanno solo i bambini.
Io e la Piccola facevamo il bagno poco lontano. Mi affannavo a correrle dietro, sollevarla e tenerle la mano: qui le onde sono sempre alte e capricciose, non si può lasciare che i bambini (e gli adulti) semplicemente sguazzino. Il bagno in oceano è sempre e comunque un'attività sportiva, il che non sempre mi rende felice. Vedevo davanti a noi dei ragazzi coi loro surf e li ho indicati:- Hai visto - ho detto alla Piccola - come sono bravi quei ragazzi?
- - mi ha risposto, prima di girarsi, ammirata, a guardare la Grande - ma anche mia sorella è brava. È molto tanto brava. 

mystique, ella e squirt

Questa storia inizia sessant'anni fa.
C'era una volta un delfino. Era stato gravamente ferito alla schiena, probabilmente dall'elica di una barca da pesca. Non riusciva a procurarsi il cibo, non riusciva a nuotare. Si trascino' fino ad una spiaggia, per riposarsi. I pescatori e la gente della baia cominciarono a dargli pesce fresco tutte le mattine. Il delfino pian piano inizio' a star meglio, e fu di nuovo in grado di prendere il largo. Ma spesso tornava nella baia, a ringraziare i pescatori e a prendere di nuovo il pesce dalle loro mani. E nella baia porto' anche la sua famiglia.
Ancora adesso, tutte le mattine, nella baia di Tin Can Bay tornano i nipoti del delfino ferito. C'e' Mystique, un maschio di 37 anni che pesa un quintale e mezzo ed e' lungo 2 metri e 70. C'e' Ella, una bella femmina di 35 anni. Ella ha il corpo schiarito e una cicatrice sul muso. Se l'e' fatta forse nello scontro con uno squalo, poco dopo aver dato alla luce il piccolo Squirt, che oggi ha 2 anni. Probabilmente la madre lo ha difeso dall'attacco del predatore. Squirt ha un bel colore grigio scuro e una spruzzata di lentiggini sul naso. Sta sempre attaccato alla sua mamma, che lo allatta. Il cucciolo non puo' ancora mangiare pesce, ma frequenta la baia di Tin Can Bay da quand'era neonato. Allora non riusciva ad arrivarci nuotando per l'intero tragitto, e quindi la sua mamma, insieme ad un'altra femmina, lo trasportava. I delfini arrivano alla baia quasi tutte le mattine (a volte non rispettano l'appuntamento: sono pur sempre animali selvatici) fra le 7 e le 7 e mezzo. Ad aspettarli c'e' un gruppo di volontari che offre loro la colazione di pesce (non troppo abbondante, perche' non diventino dipendenti dall'uomo) e controlla le loro condizioni di salute; i volontari offrono anche ai visitatori, per una cifra simbolica, la possibilita' di partecipare al momento.
Oggi, a Tin Can Bay, c'erano anche la Grande e la Piccola. Si sono alzate prestissimo (noi non abbiamo dormito a Tin Can Bay, e quindi siamo arrivati in barca - tragitto di circa mezz'ora), tutte eccitate. Sono entrate coi piedini nell'acqua fino alle ginocchia. Mystique, Ella e il piccolo Squirt erano proprio la', davanti a noi, a tiro di carezza. I delfini nuotavano fin quasi alla spiaggia, si coccolavano fra loro, giocavano e si rincorrevano. Si giravano sulla schiena e soffiavano, aspettando il loro pesce. Passavano lenti, per guardarci, andavano un po' al largo e tornavano. Finalmente, alle 8, e' arrivato il momento del pasto. La Grande e la Piccola hanno ricevuto un pesciolino, con la raccomandazione di porgerlo ai delfini sott'acqua, dal lato della testa (la coda e' troppo spinosa). Entrambe hanno dato da mangiare a mamma Ella, prima che se ne tornasse al largo, libera, col suo cucciolo.

venerdì 4 aprile 2014

lacci e catene noi spezzerem

Inskip Peninsula
E va bene, lo ammetto: sono femminista. Ma non troppo, eh. Solo quel tanto che basta per credere nella forza e nell'intelligenza delle donne: per confidare nella solidarieta' femminile e per esser fiera delle mie due creature femmine. Nella speranza che, quando saranno adulte, non esista piu' l'iniquo "tetto di cristallo", o che loro siano in grado di romperlo a testate. Per questo una delle canzoncine che amiamo, e che intoniamo spesso in camper, viene dal film di Mary Poppins. Tra parentesi: il film, per quanto datato, mi piace sempre e piace anche alla Grande: ci sono due bambini terribili, una tata (appunto Mary Poppins) che li ama, un padre scostante e una madre svampita e suffragetta. All'inizio del film la madre canta: "Lacci e catene noi spezzerem, e tutte unite combatterem!". Non e' stato facile spiegare alla Grande e alla Piccola l'importanza del diritto al voto, ma adesso hanno capito, e cantiamo tutte e tre con convinzione. Il Papa' di solito si dissocia.
Oggi, quindi, siamo state felici e sorprese di arrivare (ovviamente per caso) a Maryborough, dove e' nata Pamela Travers, la creatrice di Mary Poppins. Nella cittadina c'e' perfino una statua di bronzo della famosa tata, custodita come patrimonio "storico". Ovviamente la cosa va presa col giusto spirito, ma siamo stati contenti di fare due passi e visitare il paese: la Piccola scrutava il cielo nella speranza di veder spuntare la mitica tata col suo ombrello aperto; la Grande, con l'aria di chi la sa lunga, le spiegava che non e' possibile che arrivi, perche' questo non e' il paese di Mary Poppins. E' il paese di una sua parente. Piu' tardi, nel camper, abbiamo ricominciato a cantare sempre piu' convinte e sempre piu' forte: "Marciam! Suffragette, urra'!".
Siamo arrivati a Rainbow Beach, che ha effettivamente una spiaggia lunghissima e curva come un arcobaleno. Dormiamo in una camp area poco attrezzata ma poetica: siamo a pochi metri dalla sabbia, in mezzo agli alberi (e ai kookaburra), fuori dal centro abitato e sotto un cielo pieno di stelle. La Grande e' fiera di aver imparato a riconoscere la Via lattea, con le sette stelle, sette sorelle, della storia aborigena che amiamo di piu'.
Di recente anche la Piccola ama il surf, e oggi ha potuto lanciarsi con la tavola su onde ben piu' alte di lei. Leggera com'e', saltava sulla schiuma e sfrecciava per decine di metri con la pancia sulla tavola, le manine ben strette e un sorriso largo. Dopo, durante l'aperitivo (la Famiglia in cammino e' godereccia e specializzata in momenti-relax), ha sgranato gli occhioni, come quando deve dire una cosa di somma importanza, e ha chiesto:- Mamma, sul surf mi sembrava di volare, ma... Volavo davvero?
Certo, amore mio. Volavi davvero.

mercoledì 2 aprile 2014

la grazia della tartaruga

Granite Creek rest area (Bruce Highway)
I giocattoli-tartaruga, acquistati in un momento di tenerezza dissennata, hanno portato fortuna sul serio: oggi abbiamo nuotato con le tartarughe marine. Non in un acquario, in un parco, in una piscina: eravamo nell'oceano, sulla Grande barriera corallina.
Alla fine del viaggio, col camper che ormai cade a pezzi (un fornello rotto, una sedia sfasciata, il portellone dietro che a volte non si apre), abbiamo trovato il coraggio per un'ultima follia: escursione a Lady Musgrave Island, uno dei gioielli al largo del Queensland. L'isola è completamente disabitata ed è chiusa in una laguna naturale, tutta recintata di corallo. Facendo il bagno nella "laguna" di mare si trova un'acqua piatta, limpidissima, libera dalle meduse (che ormai abbiamo lasciato alle nostre spalle, più a nord) ma piena di tutto il resto: polpi, tartarughe, pesci e coralli a migliaia.
L'unico problema è stato il tragitto di andata: il mare era un po' mosso, il catamarano ha ondeggiato paurosamente per tutti i 60 chilometri di distanza, e la Famiglia in cammino ne ha risentito. L'intera componente femminile, pur signorilmente e con discrezione, ha vomitato molte volte. Solo il Papà è riuscito a resistere, dominando la nausea. E tutto questo nonostante non avessimo fatto colazione. Il buono del mal di mare, però, è che passa appena si scende; infatti, presa una boccata d'aria, ci siamo goduti la giornata. La nave ha attraccato su una piattaforma, dentro il recinto corallino. Da lì si poteva guardare il mare scendendo al piano di sotto, semi-sommergibile con pareti trasparenti. Oppure si poteva salire su una chiatta con fondo trasparente, guardando i coralli senza bagnarsi. Si poteva scendere in acqua con pinne e maschera o farsi portare alla spiaggia.
Noi non ci siamo fatti mancare nulla. Prima abbiamo passeggiato a piedi sull'isola, con la Piccola molto contrariata per il divieto di raccolta sassi e rametti: la zona è parco naturale iper-protetto. Non si può toccare assolutamente nulla. Non ho chiesto quali fossero le pene previste, ma sospetto che si trattasse di punizioni corporali; meglio non rischiare.
Poi abbiamo preso la chiatta e girato tutta la laguna, alla ricerca di pesci-pagliaccio e corallo nero. E poi, dopo aver doverosamente onorato il buffet (il Papà, debilitato dalla colazione mancata, ha mangiato non meno di 20 gamberi; oltre a pasta, prosciutto, pollo e frutta), ci siamo calati in acqua. L'acqua era turchese, i pesci avevano tutti i colori. Il rosso, il giallo, il blu. Non avevano paura e si lasciavano avvicinare.
Tenendo per mano la Grande, nuotando attraverso i coralli, ad un certo punto ho visto una tartaruga. Il tempo di girarmi, per controllare che anche la Grande stesse guardando, e la tartaruga era sotto di noi. Nuotava lenta, con grazia, tenendo il collo in su per guardarci. Poi ne abbiamo vista un'altra, enorme, che si riposava in mezzo ai coralli. Poi un polpo, che schizzava qui e là. E questa volta, in mezzo a centinaia, migliaia di altri pesci, grandi, piccoli, argentati e colorati, c'era anche il piccolo Nemo.

ritorno alle origini

Agnes Water
Ho ceduto. Da settimane le bambine non ricevevano un regalo, tranne l'uovo Kinder la domenica. Le uova Kinder sono diffuse anche qui in Australia, con la stessa carta bianca e rossa. Questo ci ha consentito di mantenere una piccola tradizione della nostra "verissima casa", ovvero l'ovetto la domenica, dopo colazione. Ma regali veri e propri cerchiamo di non comprarne, per ragioni di soldi e di spazio.
La Grande, però, aveva puntato da giorni un giocattolo. Oggi, all'ennesima richiesta, ho sentito un raro moto di tenerezza e le ho detto di sì. Il problema è che il giochino non è dei più pratici per chi fa vita da nomade: si tratta di un uovo simile a quelli di una gallina, da lasciare immerso in acqua per 48 ore, finché non si apre e ne esce una tartaruga. L'operazione non è banale, perché il camper ovviamente si muove. Ma abbiamo sacrificato uno dei nostri contenitori ermetici per alimenti alla causa della tartarughina, e ora l'uovo aspetta di schiudersi sul bancone del camper. Ovviamente ho comprato un regalino anche alla Piccola, che ha optato per il peluche di una tartaruga.
Ci troviamo effettivamente in zona di tartarughe marine. Chissà che gli incauti acquisti non portino fortuna, e magari riusciamo a vederne qualcuna in libertà. Questo forse lenirebbe il disappunto del Papà: lui, severo censore dei costumi e ligio controllore delle finanze, disapprova totalmente i regalini. Ma tant'è, ormai le tartarughe fanno parte dell'equipaggiamento del camper, sempre più numeroso e debordante. Alla dotazione iniziale, molto ridotta ma pur sempre moltiplicata per 4, abbiamo aggiunto nell'ordine: tavola da surf; skateboard; enorme catino in plastica per lavare i piatti nella campagna; tanica da 20 litri (che teniamo sempre piena) per doccia selvaggia; e perfino due lunghissimi tubi galleggianti, di quelli che si usano in piscina per imparare a nuotare, regalati alla Grande e alla Piccola da una sconosciuta signora. Mettere ordine, e trovare uno spazio per ogni cosa nel nostro minuscolo camper, è un puzzle sempre più complicato.
Questa mattina abbiamo lasciato Myella Farm, che le bambine ricorderanno per un pezzo, e siamo andati di nuovo verso il mare. Il tutto ha un vago sapore di ritorno alle origini: anche adesso, come all'inizio del viaggio, troviamo lunghe spiagge solitarie, mare freddino e onde adatte al surf; la Grande è stata ben felice di rispolverarlo, e anche la Piccola si è buttata senza paura.
Dormiamo in una camp area gestita dall'ente pubblico; è molto spartana, ma ormai anche le bimbe si sono abituate alla doccia fredda. Come all'inizio del viaggio, abbiamo avuto una giornata calda, ma in serata la temperatura è scesa notevolmente. Mentre gli australiani rimangono in canottiera e infradito, io ho tirato fuori calzini e felpe.

lunedì 31 marzo 2014

archeologhe contadine

- Ecco il nuovo giorno. È ora di raccogliere le uova.
Oggi, prestissimo, la Grande ha svegliato tutta la Famiglia in cammino. Le bambine sapevano che avrebbero trascorso un giorno da contadine, e hanno aperto gli occhi alle 6.30, in preda all'eccitazione.
La Grande barriera corallina è uno spettacolo di natura da togliere il fiato, ma l'Australia, quella vera e verace, vive nell'outback. L'outback degli aborigeni, dove abbiamo lasciato un pezzo di cuore (abbiamo tenuto l'altro pezzo solo per sopravvivere), ma anche l'outback dei cow boy, dei rodei e del bestiame. L'outback dove non cresce nulla, poca frutta e pochissima verdura, e l'unica possibile attività è l'allevamento.
Ci siamo fermati a Myella Farm e abbiamo provato tutte le attività di una vera fattoria australiana, ospiti di una famiglia che alleva mucche e cura canguri. Alle bambine è stata affidata per tutto il giorno la cura di Bandy, il cucciolo zoppo che ha bisogno del biberon. Lo hanno tenuto in braccio, nutrito e coccolato. Lo hanno aiutato a stare in piedi, sperando che ci riesca da solo quando non avrà più la fasciatura. Oltre a questo, al mattino presto la Grande e la Piccola sono uscite, su piccole auto 4x4, per radunare i cavalli. L'erba è insufficiente per l'alimentazione del cavallo, quindi ogni mattina bisogna portare gli animali nei box all'aperto e integrare con un mangime farinoso. Le bambine lo hanno preparato impastandolo con le mani, messo nei contenitori e distribuito ai 21 cavalli. Alle 8 e mezza già puzzavano di mangime, di cavallo e di fango. Poi hanno cavalcato attraverso la proprietà (cavalli grandi, non pony, ma ormai ci sono abituata e non mi agito nemmeno più). Hanno visto gli alberi-bottiglia, con uno strano tronco panciuto, gli uccelli rapaci, mucche e canguri. Sono andate nel pollaio a raccogliere le uova, preoccupandosi per la sorte dei pulcini, argomento che ho preferito non approfondire.
Nel pomeriggio hanno munto due mucche (e bevuto due bicchieroni di latte ancora caldo, semplicemente filtrato). E qui devo aggiungere che la mucca non è affatto facile da mungere. Io ci ho provato senza risultato. La Grande è stata molto più sicura e ci è riuscita. Sorrideva, cantava "Nella vecchia fattoria" e tirava le mammelle. La Piccola ha copiato la sorella, e ci è  riuscita anche lei. Il difficile per loro era prendere la mira nel secchio, e infatti il latte schizzava sui vestiti, i sandali, le braccia... In seguito alla mungitura delle mucche, la Grande ha una vescica sul dito, che esibisce con particolare orgoglio; ha dichiarato che deve riflettere bene sul lavoro che farà da adulta. Fare l'archeologa subacquea le piacerebbe, ma anche il mestiere della contadina ha il suo appeal. La Piccola pensa di fare entrambe le cose: al mattino la contadina, al pomeriggio l'archeologa subacquea. Al momento non vede problemi di incompatibilità.
La sera, dopo l'ultima poppata di Bandy  (che come neonato è fantastico: se ne sta tutto il giorno buono buono nella sua borsa, a meno che non lo si prenda), le bambine hanno ricevuto in prestito due walkie-talkie dal fattore. In preda alla stanchezza, ubriache di felicità (e di sonno), hanno iniziato a parlare fra di loro:
- Lo sai che sei la bambina più bella del mondo?
- No, siamo tutte e due belle allo stesso modo. La mamma lo dice sempre!
- Ma tu sei bravissima! Sei riuscita subito a mungere la mucca!
- Sì, ma ricordati che tutti i lavori li abbiamo fatti insieme. Come sono felice che tu sia sulla Terra!

bandy

Myella Farm
- Dove lo potremmo tenere?
- Ti prego, prendiamolo. Mi occuperò io di dargli da mangiare tutti i giorni.
- Ragazze, non credo che sia una buona idea. È un animale selvatico.
- Ma non è vero! Vedi come si fa accarezzare? Vedi come si mordicchia la coda?
- SÌ, ma rimarrà qui solo finché non sarà grande. Poi lo libereranno. Non può vivere in casa.
- Potremmo fargli una cuccia in camera nostra. Vedi come chiude gli occhi? Vedi che si sta addormentando in braccio a me?
- E se all'aeroporto ci dicono qualcosa? Eh, mamma? Che succede se aprono la valigia e lo trovano?
La Grande e la Piccola sono impazzite per Bandy. Bandy è un "joey", un cucciolo di canguro che viene ancora allattato, ma può già mettere la testa fuori dal marsupio della madre, e qualche volta anche saltar fuori. Lui però non ha più la mamma, che è stata investita da un'auto poco lontano da qui. Viene alimentato tre volte al giorno con latte in polvere (lo stesso che si usa per i neonati umani). E non può saltare, perché ha una gamba rotta, per effetto delle stesso incidente che ha ucciso sua madre.
Prima di buttarci definitivamente sulla costa, volevamo un ultimo pezzetto di outback. Oggi dormiamo in una fattoria. Per le dimensioni australiane, il posto è decisamente piccolo: solo mille ettari per trecento mucche. Ci sono poi cavalli, galline, cani, pappagalli parlanti e... Canguri. Myella Farm è anche un ospedale accreditato per piccoli orfani. I cangurini vengono tenuti qui, e nutriti con latte, finché non imparano a cavarsela, cioè fino a 15 mesi di vita circa. Poi, un bel giorno, se ne vanno e non tornano più. Non riconoscono nemmeno i loro "padroni" di una volta. Finché sono piccoli, però, sembrano proprio animali domestici: oggi le bambine hanno giocato con Henry, un cucciolo di un anno che si faceva coccolare come un cagnolino e alzava la testa più che poteva, per prendere i grattini sotto il collo. Bandy invece ha solo sei mesi, e quando siamo arrivati era sotto i ferri: i proprietari della fattoria gli stavano cambiando la fasciatura alla zampa. Poi, per tranquillizzarlo, lo hanno messo in una borsa morbida, dove si è rannicchiato come fosse nel marsupio della mamma. A quel punto la Grande e la Piccola hanno potuto prenderlo in braccio e dargli un biberon di latte. Lui ha bevuto d'un fiato e poi ha cominciato a ciucciarsi la coda, come un neonato che si succhia il pollice. Ha trascorso il resto del pomeriggio in una borsa termica, in modo che non prendesse freddo, finché la Grande e la Piccola non gli hanno dato anche la poppata della sera. L'aspetto problematico dell'esperienza è che si sono ufficialmente innamorate, e ora non parlano d'altro che di portarlo con noi, nella nostra "verissima casa". Io mi interrogo sugli effetti di un canguro in soggiorno.

sabato 29 marzo 2014

tanto per essere chiari

St Lawrence
Forse gli australiani hanno un concetto di "politically correct" diverso dal nostro. Forse hanno una sensibilità più elastica, o forse semplicemente preferiscono la chiarezza. Fatto sta che le insegne australiane sono stupefacenti.
Noi percorriamo parecchi chilometri, quindi abbiamo occasione di guardare i cartelli stradali. Molto spesso, a bordo strada, c'è un'insegna col disegno di un'auto che si schianta e la scritta: "rest or R.I.P.", riposati o riposa in pace.
Un altro cartello recita "la fatica uccide" e mostra una bara e una croce.
Le insegne che invitano a rispettare i limiti di velocità rivelano lo stesso gusto per l'orrido: riproducono un cartello con limite, tondo bianco e contorno rosso; ma il contorno sembra colare, come se fosse sangue.
La mania della chiarezza non riguarda solo le strade, ma anche le spiagge. In Australia, se si cammina sulle scogliere in giornate di brutto tempo, può capitare di essere portati via da un'onda. Tempo fa, su una spiaggia molto frequentata, abbiamo visto un'insegna con due foto: la prima riportava un orario, e ritraeva un uomo su uno scoglio. La seconda, scattata due minuti dopo, una grande onda e lo scoglio vuoto. Evidentemente il poveretto non ha fatto una bella fine. Il titolo era: "gone fishing", cioè: (era) andato a pescare.
I pacchetti delle sigarette non si possono guardare senza avere un moto di paura e ribrezzo: sono completamente neri, con immagini di polmoni tumefatti, bambini attaccati ai respiratori, feti morti. Se per caso mi capita di vedere un pacchetto di sigarette abbandonato, faccio girare le bambine dall'altra parte, perché non prendano paura. Probabilmente la dissuasione funziona, perché qui è veramente raro vedere qualcuno con la sigaretta accesa. O forse c'entra il fatto che un pacchetto costa dai 15 ai 22 dollari.
Trovo particolarmente interessanti i cartelli nei bagni pubblici. Sui lavandini spesso è riprodotta la sequenza fotografica di un corretto lavaggio delle mani, con tanto di istruzioni: bagnare; mettere il sapone; strofinare per 20 secondi; eccetera. Non parlo dei bagni di una scuola elementare, ma di comuni bagni pubblici. In due mesi e mezzo, ne abbiamo visti un bel po'. Quando si va in bagno, bisogna lavare le mani per evitare malattie, e infatti nelle toilette è appeso un ricco campionario di sintomi di malattie veneree e tumori vari, con relative foto e descrizioni particolareggiate. La malattia descritta più spesso è la clamidia. Io l'avevo sentita nominare solo da Miranda in "Sex and the City", e ora ne conosco i sintomi in tutti i particolari. È piuttosto angosciante, mentre si fa pipì (o la si fa fare alle bambine, cosa non sempre semplice), osservare le foto delle parti intime malate di qualcun altro. Di sicuro non viene nessuna voglia di appoggiarsi all'asse.

venerdì 28 marzo 2014

alla ricerca di Nemo

A cena, davanti al semplice uovo sodo che adora, la Piccola è ubriaca di stanchezza. Si è svegliata alle sette e mezza, non ha dormito nel pomeriggio e ora parla a ruota libera:- Mi è piaciuto il pranzo. Io ho mangiato tantissimo perché c'erano tante cose buone e non panini. C'era il riso buonissimo. Poi mi piacevano i goanna che giravano intorno a noi. Mi è piaciuta la spiaggia, e poi quando facevamo snorkelling, perché ho visto tante piante e tanti pesci. C'era anche Dory, ma Nemo non c'era. Mi è piaciuta la barca perché dopo l'immersione ci hanno dato i biscotti, e perché la barca andava veloce. E poi mi è piaciuto questo campeggio, e la doccia, e questi genitori e questa sorella...
Siamo stati a lungo in dubbio: nell'ultima settimana sulla costa del Queensland ha sempre piovuto. Le previsioni davano buone speranze per oggi, ma quando ci siamo svegliati pioveva a dirotto. Poi avevamo paura del mal di mare: gli operatori assicuravano che sulla barca non avremmo sofferto, ma la Grande è un po' soggetta. Ci sarebbe dispiaciuto che passasse la giornata vomitando. Poi c'era il problema dei soldi: l'escursione costava, eccome. Noi siamo alla fine del viaggio, coi conti in rosso (più la clonazione della carta di credito: la banca ci rimborserà il furto, ma intanto abbiamo dovuto "anticipare" noi i soldi al ladro). E poi, e poi, e poi... Io e il Papà abbiamo passato la giornata di ieri a discutere, contare, valutare, ossessivamente collegati a vari siti di previsioni del tempo. Avevamo rimandato la decisione a questa mattina; questa mattina pioveva, ma siamo partiti lo stesso. Pazzi. Sapevamo che qui non saremmo mai più tornati. Adesso o mai più.
Abbiamo preso una barca per le Whitsundays, un leggendario paradiso marino australiano al largo di Airlie Beach. Sono 74 piccole isole, molte delle quali disabitate, abbracciate dalla barriera corallina. A Whitehaven Beach, una delle 10 spiagge più belle del mondo, pioveva ancora. Ma subito dopo è uscito, magicamente, il sole. Pazzi e fortunati. Ci siamo goduti il buffet sulla spiaggia, circondati da enormi goanna in cerca di cibo. La Grande e la Piccola, ovviamente, hanno fatto onore al pranzo. Poi hanno giocato sulla sabbia bianca. Si sono infilate le mute anti-medusa (a noleggio) e si sono tuffate nell'acqua turchese, inventando nel frattempo il gioco della mamma-goanna col piccolo-goanna.
Hanno messo maschera e pinne e si sono immerse in mezzo ai coralli, alla ricerca del pesciolino Nemo e del suo papà. Anemoni di mare ne abbiamo visti, ma Nemo non c'era. C'era invece la sua amica Dory, di un blu intenso e con la coda gialla. C'erano decine di pesci rossi, gialli, arancioni: ne eravamo letteralmente circondati. C'erano coralli che ondeggiavano, e piante azzurre che palpitavano.
Abbiamo assaggiato la Grande barriera corallina.

giovedì 27 marzo 2014

migliaia, milioni

Airlie Beach
Ho sempre ritenuto che gli insetti fossero interessanti. Non ho mai avuto la psicosi delle api, delle vespe, dei ragni. Tuttavia, dopo due mesi in Australia, quando sento parlare di un insetto mi viene voglia di prendere un lanciafiamme. Non so se la causa sia il maggior numero di animali che girano liberi, o la popolazione umana a densità decisamente bassa, fatto sta che qui gli insetti sono un tormento.
Se sono nere, le formiche si infilano dappertutto. Non le ho ancora debellate dal camper e ormai ci ho rinunciato. Si infilano nel frigorifero e trovano il prosciutto. Si infilano nel freezer e sopravvivono per giorni. Se sono rosse, le formiche non entrano nel camper, ma in compenso mordono i piedi. Non occorre disturbarle, schiacciarle, insidiare il formicaio. È sufficiente camminare su un sentiero che loro ritengano "roba loro" per sentirsi i piedi continuamente pizzicati. Le maledette si infilano fra piede e sandalo e mordono, mordono, mordono.
Le zanzare sono milioni. Cioè milioni. Sono attive ben prima del tramonto e ben dopo l'alba, quindi stiamo molto attenti a chiudere la porta del camper ogni volta che entriamo e usciamo. Nonostante questo, spesso passiamo la notte in compagnia del ronzio di un'orrida zanzarina nelle orecchie. Per motivi misteriosi, io vengo presa di mira molto poco. Il Papà e la Piccola hanno evidentemente il cosiddetto "sangue dolce" e vengono immancabilmente morsi. Ogni sera spruzziamo il repellente (così forte che fa tossire, tipo DDT), ogni mattina spalmiamo la pomata al cortisone per alleviare il prurito.
Le cavallette, poverine, sono semplicemente idiote. Saltano in giro a caso. Volano in faccia, addosso, nel camper. Sono enormi, quindi trovarsele sul naso non è particolarmente piacevole.
Le falene sono altrettanto stupide. Volano a razzo verso la luce e ci sbattono contro finché muoiono. Se entrano nel camper, vengono a passeggiare addosso a noi mentre dormiamo. Svegliarsi nel cuore della notte con una falena tipo "Silenzio degli innocenti" sul braccio non è particolarmente divertente. Di solito vengo colta da crisi isterica, uccido tutto quello che trovo e, tanto per avere compagnia, sveglio anche il Papà (sempre che non sia già sveglio per la zanzara).
Le mosche sono impressionanti. È incredibile quanto le mosche possano rovinare una gita, un paesaggio, una giornata. Volano intorno al viso come nuvole, a centinaia. Si infilano nel naso e negli occhi. Ultimamente stiamo sperimentando, con buoni risultati, una pomata repellente che consideriamo l'acquisto dell'anno. Non le tiene lontane, ma almeno evita che rimangano sul viso. Loro si posano, sentono il repellente e se ne vanno. Il problema è che la crema unge, e quindi abbiamo i visi sempre lucidi, come se ci avessimo passato la cera. Da quando siamo sulla costa, comunque, il problema delle mosche si è ridimensionato. In compenso sono arrivati miliardi di moscerini (che amano tuffarsi nei piatti della nostra cena) e le zanzare sono ulteriormente aumentate.
Ci sono poi scarabei grandi come un pugno, scarafaggi velocissimi, enormi ragni velenosi.
Da qualche tempo apprezziamo particolarmente la compagnia dei rospi, che saranno pure brutti, ma mangiano gli insetti. Bisognerebbe riempire l'Australia di rospi. Migliaia di rospi. Milioni di rospi. Milioni di milioni di rospi.

mercoledì 26 marzo 2014

dentro la rete

Guthalungra rest area (Bruce Highway)
La Piccola ha l'animo di un ingegnere: dovunque si trovi, qualsiasi materiale trovi, lei comincia a costruire. L'altro giorno a Richmond, mentre la Famiglia in cammino si dedicava con entusiasmo alla ricerca dei fossili (la Grande ne parla come di uno dei pomeriggi più entusiasmanti del viaggio), lei ha dichiarato che la "scavatura" con la paletta era troppo faticosa. Ha preso un mucchio di sassi e ha cominciato ad innalzare torri.
La Piccola ha anche l'animo di un tecnico informatico: schermi, computer e tablet sono la sua passione. Due mesi fa, sul volo per Sidney, mentre la Famiglia in cammino cercava di estrarre i telecomandi dalle postazioni, lei si era già infilata la cuffia, aveva acceso l'impianto e aveva fatto partire il primo film. Oggi, all'acquario di Townsville, la sua più grande gioia sono stati gli schermi interattivi. Poco importa che visualizzassero filmati sulla riproduzione dei cavallucci marini o sui pesci pagliaccio nei loro anemoni: l'importante era avere a disposizione un po' di pulsanti per navigare.
Siamo arrivati sulla costa, in zona tropicale. La stagione umida sta finendo, ma evidentemente ancora non è finita, visto che abbiamo avuto pioggia torrenziale dalla mattina alla sera. Per salvare la giornata, siamo entrati all'acquario di Townsville, che riproduce alcuni ambienti della Grande barriera corallina. Annesso all'acquario c'è l'ospedale per le tartarughe marine, dove gli animali vengono curati e poi rimessi in libertà. La Grande, che in questo periodo sogna di fare l'archeologa subacquea e da sempre ama gli animali, si è particolarmente goduta questa parte della visita. Nelle vasche su cui ci affacciavamo c'erano tre tartarughe, un maschio e due femmine, di 50, 70 e 80 anni. La Grande, che in questo periodo è fissata con l'età, è rimasta particolarmente colpita nel sentire che le tartarughe erano più vecchie dei suoi nonni.
L'acquario ha anche una sezione sugli animali marini pericolosi: il peggiore è naturalmente la cubomedusa, l'essere più velenoso al mondo (oltre che il più odiato da me). Qui in Queensland, zona in cui la medusa abbondantemente bazzica, le spiagge sono generalmente fornite di bottiglie di aceto (l'unico blando antidoto che si conosca) e attrezzate con reti. Si consiglia caldamente di fare il bagno solo all'interno delle reti, che tengono fuori i simpatici animaletti. Il tutto mi angoscia molto, e per sicurezza ho vietato alle bambine di fare il bagno, fuori o dentro le reti. L'orrida medusa in spiaggia non arriva, ed io mi aggrappo a questa certezza. Stiamo pensando anche di comprare le stingers-suits, mute integrali in lycra anti-puntura. Visti i costi, le compreremo solo alle bambine, e terremo per noi il brivido della sfida alla sorte.

martedì 25 marzo 2014

dieci cose che

Campaspe River rest area (Flinders Highway)
Elenco (parziale) di quello che è stato oggi. L'elenco (parziale) comprende ciò che la Famiglia in cammino ha avuto, visto o fatto:
1. Risveglio alle 6 (solo per la componente maggiorenne). A quell'ora iniziava ad albeggiare. Fuori dal camper c'era un gruppo di canguri grigi, che sono scappati appena hanno sentito aprirsi il portellone.
2. Sosta-colazione al parco giochi di Hughenden, gestito dai Lions. Bisogna dire che qui in Australia i Lions sono una potenza; quasi tutti i parchi di paese, di solito corredati di bagni, tavoli e barbecue, sono donati alla comunità e gestiti dai Lions. Una manna anche per i viaggiatori con bambini, tra l'altro.
3. Pazze corse sullo skateboard (la Grande). Pazzissime corse a piedi (la Piccola) e riapertura (sempre la Piccola) della ferita al ginocchio con cui combatto da un mese e che resiste a tutto: disinfettante, mercurocromo, bacini e cerotti.
4. Libro-attività sui dinosauri, malauguratamente donato alla Grande dall'addetta al museo dei fossili di Hughenden (siamo ancora in zona di ritrovamenti preistorici notevoli). Questo ha fatto sì che passassimo la serata a contare disegni di impronte, unire i puntini, cercare le parole nascoste. E pensare che odio l'enigmistica. La Grande l'adora.
5. Gita a piedi alla Porcupine Gorge, uno stretto canyon roccioso, sormontato da una spettacolare, e quasi perfetta, piramide di roccia naturale. Sotto la piramide di roccia scorre un torrente fangoso.
6. Lamentele (la Piccola) per il sentiero: solo 2 chilometri e mezzo, ma roccioso e in forte pendenza.
7. Bagno nel torrente fangoso, ma solo per i tre quarti della Famiglia. Io mi sono rifiutata con sdegno (mio) e dileggio (i tre quarti che erano a mollo).
8. Doccia per tutti con tanica appesa fuori dal camper. Perché posso sopportare di vedere la Grande e la Piccola nel fango, ma solo se penso intensamente alla tanica piena e alla doccia a cui le sottoporrò poco dopo. La tanica, inseparabile compagna di viaggio, è una borsa di gomma morbida, nera, che si appende fuori al sole in modo che l'acqua si scaldi. Non è altro che una versione più pratica del bidone che usavano i miei genitori, quando ci portavano al mare da bambini. Un giorno vorrei scrivere un'ode alla tanica, che salva la mia sanità mentale. Ammesso che la mia sanità mentale ci sia, o ce ne sia traccia.
9. Pasta al pomodoro alle 4 del pomeriggio, cioè dopo la passeggiata, il bagno, la doccia e sotto un acquazzone torrenziale. Lo so che gli allevatori aspettavano la pioggia da due anni. Tuttavia trovarmi sotto l'unica pioggia degli ultimi due anni non mi ha particolarmente entusiasmato. Al contrario il Papà, che è uomo di animo nobile, riusciva ed essere contento per gli allevatori.
10. Affannosa ricerca, sotto il diluvio universale, di una pompa di benzina e poi di un'area di sosta sulla strada verso il mare.
Vieni via con me. Così si intitolava la trasmissione di Fazio e Saviano in cui leggevano elenchi su qualsiasi cosa. Mi è venuta improvvisamente in testa stasera, mentre cenavamo, chiusi nel camper per evitare la pioggia.

lunedì 24 marzo 2014

fossil hunting

Richmond
I pappagalli producono un rumore infernale. Fanno cacche enormi e rubano il cibo dal tavolo. Eppure, dopo due mesi e più, non ci siamo ancora stancati di vederli. Al tramonto sono uno spettacolo: si riuniscono in grandi stormi e volano tutti insieme, urlando, aprendo le ali grandi, alla ricerca di un albero dove dormire. Li guardiamo durante la cena, sulle rive di un piccolo lago.
Ci troviamo nella capitale australiana dei dinosauri, sempre nell'outback.
Da qualche tempo la Grande ha una vera passione per i dinosauri. Nella nostra "verissima casa" ha una specie di enciclopedia, e io le leggo ogni sera una decina di descrizioni. Il suo preferito è il gallimimus, ma ne riconosce molti altri che io, ovviamente, ho dimenticato (confesso di non prestare troppa attenzione alle descrizioni che leggo).
Richmond è un paese minuscolo, un posto da cow boy affacciato sulla strada. C'è un motel, un piccolo negozio di alimentari, una rivendita di alcolici (in Australia le rivendite di alcolici sono sempre separate dai supermercati, perché c'è bisogno di una licenza a parte). Ma il museo conserva fossili spettacolari, tutti trovati a poca distanza da qui, spesso dai proprietari degli allevamenti. Ci avviciniamo e la Grande urla, tutta eccitata:- Un kronosauro! Nel mio libro c'è! In effetti l'ingresso del museo è segnalato dall'enorme ricostruzione (a grandezza naturale, in puro stile kitsch australiano) di un dinosauro acquatico. Dentro, i pezzi più notevoli sono due scheletri: uno, quasi completo, è appunto di un kronosauro; l'altro, sorprendentemente intero, è di un pliosauro. La vera sorpresa, però, è fuori: apprendiamo che nelle vicinanze c'è un'area dove è consentito il fossil hunting, ovvero la ricerca autonoma di fossili. Possiamo forse sottrarci? Baldanzosi e armati di palette di plastica, ci dirigiamo al sito. Non c'è nulla di clamoroso (sono già passate orde di scienziati, di viaggiatori, di turisti), ma in effetti è piuttosto facile trovare fossili di conchiglie. Raccogliamo qualcuna di queste pietre. Le bambine sono felici, e pensano già di mostrarle ai loro amici a scuola materna. Tra l'altro, il fossile che abbiamo trovato compare anche sulla guida, il che conferisce "scientificità" al tutto.
Ceniamo con le costolette di vitello che ci hanno regalato i proprietari della fattoria di ieri. Temo che la Grande e la Piccola non riescano a mangiarle, perché la carne è molto soda e ben attaccata all'osso. Timore superfluo: loro, imitando il Papà, tengono le costolette con le mani e sgranocchiano senza problemi. Io, armata di forchetta e coltello, che non mollo neanche per un attimo, faccio molta più fatica. Il sapore era ottimo, ma un cow boy non sarebbe fiero di me.

dove nuotano le mucche

West Leichardt Cattle Station
Dormiamo di nuovo in mezzo al bush, la sterminata campagna semi-desertica australiana. Sopra di noi c'è un cielo incredibile, senza nessuna luce che non siano le stelle. Ci fanno compagnia decine di enormi rospi, il che è una benedizione, considerata la voracità con cui mangiano gli insetti.
Affascinati dalle fattorie dell'outback, abbiamo trovato ospitalità in una cattle station (che significa appunto "luogo di allevamento"), sfidando una lunga strada sterrata col nostro povero camper. Rispetto alle consuetudini australiane, questa "station" non è molto grande: conta circa 7000 mucche, su 125 mila ettari di terreno. Le mucche non vengono allevate per il latte, ma solo per la carne; non vengono mai munte, ma vagano semi-libere (semplicemente marchiate). Periodicamente, vengono radunate con elicotteri e cavalli, poi selezionate e vendute, macellate o vive, in Australia e in Asia.
La fattoria è nata nel 1926 (e quindi, per gli standard di qui, è un luogo "storico". In effetti è più vecchia della vicina città di Mt Isa). È stata prima una fermata della diligenza, poi una stazione del telegrafo. La famiglia (allargata ad un gruppo di lavoranti), di cui fa parte anche un bambino di sei anni, vive in una specie di grande giardino, innaffiato costantemente (trenta metri sotto terra c'è una sorgente), in cui si trovano cani, capre e maiali.
Avevamo voglia di stare nell'outback, lontani dalla città, e di sperimentare un outback diverso, quello delle immense fattorie dell'entroterra. La Grande era rimasta molto affascinata dai filmati visti l'altro giorno alla School of the Air, e la sistemazione di oggi la rafforza nella convinzione che vivere in un'immensa fattoria sia la sua dimensione ideale. Oggi le bambine hanno fraternizzato col piccolo di casa, giocando per lunghe ore senza sentire la curiosità di chiedergli il suo nome (la Grande, invece, si è subito informata sull'età). Si sono dondolate su una corda appesa all'albero nel piccolo parco giochi (in verità un po' rustico) della fattoria. Hanno accarezzato le capre e osservato i maiali. Non abbiamo detto loro che i maiali, catturati selvatici, vengono nutriti per poco tempo prima di essere macellati e  trasferiti nella cella frigo (dove siamo anche entrati: vagamente impressionante) per le esigenze alimentari della famiglia. Uno dei padroni di casa (anche lui un po'... rustico, ma a suo modo gentile) ci ha regalato alcuni enormi pezzi di carne, raccomandandoci di cuocerla sul barbecue.
Nel tardo pomeriggio siamo andati a vedere gli enormi recinti dove vanno le mucche quando vengono radunate. Sul sentiero di ritorno, sotto l'arcobaleno (oggi abbiamo avuto un rapido acquazzone), la Piccola si è sentita pervasa di spirito poetico. Camminava, raccoglieva legnetti (una delle sue occupazioni preferite: non c'è modo di farla desistere) e chiacchierava (anche questa è una delle sue occupazioni preferite; anche in questi caso non c'è modo di farla desistere):- Io lo so perché esistono i sassi - diceva -  Qui ci sono tanti sassi... Ecco mamma, ho raccolto due sassi per te. Mettili in tasca e non li perdere. Se li perdi, te ne prendo altri. Qui ho trovato dei fiori. Guarda, mamma, questi fiori sono per te. Guarda i laghetti! In quei laghetti le mucche vanno a bere. Magari qualche volta le mucche nuotano coi loro vitellini... È vero che le mucche nuotano? Ecco altri due sassi grossi per te. Il non faccio mai regali a me. Non faccio mai regali a nessuno. Solo a te, mamma. Mamma, sei bellissima. Io volevo proprio questi genitori e questa sorella. I sassi mettili in tasca, così non li perdi. 

sabato 22 marzo 2014

gelosia gelosia

In assenza di amici, nonni e cugini, la Grande e la Piccola convogliano interamente su di noi il loro enorme potenziale di abbracci, baci e coccole varie. Non importa se ci sono 40 gradi e noi siamo tutti sudaticci: le bambine vogliono essere prese in braccio, accarezzate e strapazzate. Il problema maggiore è che baci, mordicchi e grattatine vanno distribuiti in maniera assolutamente equa, altrimenti succede il finimondo. Quanto a contabilità delle coccole la Grande è una scienziata. Se prendo in braccio la Piccola e la tengo qualche secondo di troppo, lei si mette di lato, mi guarda torva e incrocia le braccia. La stai mangiucchiando da un sacco di tempo! Sono gelosa! Mormora. A volte mi sembra di tornare a tre anni fa, quando la Piccola era appena nata e la Grande manifestava il sul disappunto lanciando i piatti (pieni di cuscus) in giro per la cucina. Ora la Grande è ancora gelosa, e in più lo è anche la Piccola: poiché lei è donna di azione e non di elucubrazione, se ritiene che il bilancio-coccole sia a suo sfavore passa alle vie di fatto e cerca di menar le mani.
La gelosia si estende anche a me e il Papà. Se ci teniamo per mano scattano rappresaglie. La Grande, oltretutto, è convinta della teoria per cui "il matrimonio è la tomba dell'amore". Oggi, mentre mangiavamo una deliziosa anguria, è esplosa: - Ti ho sentito! - mi ha detto - lo hai chiamato "amore"!
- Beh, sì..   
- Non puoi chiamare così il Papà. I tuoi amori siamo solo io e la Piccola.
- Ma scusa, e il Papà no? Non dimenticare che è mio marito...
- Appunto. Prima di sposarsi ci si bacia, si fanno le coccole e ci si chiama "amore". Poi basta. Voi siete già sposati, quindi la dovete smettere.
Oggi ultima giornata a Mt Isa. Sulla costa il tempo non migliora, ma domani partiamo lo stesso. Oggi il campeggio si è riempito di viaggiatori, soprattutto persone anziane con camper e roulotte. In Australia ce ne sono tantissimi, di questi arzilli vecchietti che vanno in giro inseguendo il caldo e godendo del loro immenso paese. Di solito sono anche simpatici. Si fermano, ci chiedono di dove siamo. Si stupiscono perché veniamo da molto lontano e fanno i complimenti alle bambine. Poi ci si saluta e ognuno riprende la sua strada.

venerdì 21 marzo 2014

per ardua ad caelestia

Guardiamo le previsioni del tempo e non ci decidiamo a muoverci da Mt Isa: sulla costa, zona tropicale, la stagione delle piogge non è ancora finita e ci sono continui temporali. Qui è un paradiso. Non fa troppo caldo (massime sui 36-37 gradi), è ben ventilato e non ci sono mosche. Questa ci sembra una gran liberazione. Il lato negativo è che invece è pieno di zanzare; la sera dobbiamo chiudere di continuo la porta del camper, e consumiamo litri di repellente. Il Papà, di cui le zanzare sono particolarmente ghiotte, dalle 6 del pomeriggio in avanti indossa pantaloni lunghi e calzini. In compenso io e le ragazze trascorriamo 24 ore al giorno in canottiera e a piedi nudi. Il campeggio è tranquillo, abbiamo il bagno e la piscina. Ci prendiamo una pausa di vacanza in questo viaggio meraviglioso ma impegnativo. La Famiglia in cammino si gode tutto, ma può fare a meno di tutto: domani o dopodomani ripartiremo in ogni caso per la costa, e riprenderemo a dormire dove capita, facendo la doccia con le taniche.
Riprende quota il sogno di trasferirci qui: mentre io non desidero altro che una casa ad Alice Springs (ma il Papà sistematicamente mi riporta coi piedi per terra), la Grande è veramente colpita dalle fattorie. Tutto questo lato del Queensland è zona di allevamento. Ci sono fattorie enormi, con migliaia di animali, spesso in totale isolamento. Per i bambini che vivono in posti del genere, a Mt Isa esiste la School of the Air. La scuola ha una novantina di bambini dai 6 ai 12 anni, alcuni a migliaia di chilometri da qui, che seguono le lezioni con collegamento via computer e telefono. Assistere ad una lezione via etere è impressionante: ogni docente ha una sua stanza insonorizzata, da cui segue piccoli gruppi di bambini, interagendo con loro attraverso le cuffie e lo schermo. Gli scolari usano il materiale fornito periodicamente dalla scuola (che infatti ha un ufficio postale interno) e studiano da casa. Dopo aver visto un filmato sulla vita di questi bambini dell'outback, la Grande si è innamorata: oltre a seguire le lezioni "on air", i suoi coetanei si occupano delle mucche, strigliano i cavalli e puliscono i maiali. Se occasionalmente devono spostarsi, di solito lo fanno su mini-aerei guidati dai loro genitori. La Piccola ha seguito la visita alla scuola, ha sentito in cuffia una parte di lezione, poi ha chiesto quando potrà tornare nella sua "verissima scuola", che evidentemente ritiene preferibile. La Grande ha chiesto di potersi iscrivere in prima elementare alla School of the Air. L'idea di vivere nel deserto, puzzare di mucca, seguire le lezioni da casa, per lei ha un fascino incredibile.
Io ho delle riserve sulla puzza di mucca, ma sono molto colpita dalla scuola e dall'entusiasmo dei colleghi. Non sono convinta che una lezione via etere valga quanto vedersi in un'aula, ma trovo ammirevole lo sforzo: la School of the Air ha circa 30 insegnanti per 90 bambini. Organizza incontri periodici che richiedono viaggi in aereo. Spedisce quintali di materiale cartaceo. Tutta la  struttura sembra avere costi non indifferenti, e le famiglie non pagano niente, è tutto gestito con fondi pubblici.
Che ci siano ancora Stati che investono sull'istruzione? Possibile?
Ce ne andiamo e ripenso al motto che la scuola ha scelto. L'Australia è un paese anglofono; ma nel logo c'è una frase in latino.

giovedì 20 marzo 2014

una loro idea

La Piccola nuota. Nuota dove non tocca, senza paura e senza braccioli. Non siamo stati noi ad insegnarglielo. È stata sua sorella maggiore.
Incantati dal lusso del bagno privato, rinfrescati dalla piscina, desiderosi di prolungare l'estate (sulla costa, dove ci stiamo dirigendo, il tempo non è così bello) ci siamo fermati una notte in più a Mt Isa. La cittadina ha un fascino strano. Ha solo 90 anni ed è completamente in funzione dell'uranio e dell'argento, che si estraggono qui vicino, poco oltre la periferia. Siamo sempre in mezzo al nulla, in una zona semi-desertica, ma l'insediamento è piuttosto grosso. Grosso per le misure australiane, si intende, perché gli abitanti sono più o meno ventimila e quindi questo per noi è un paesone, più che una vera città. Non c'è molto da vedere e ne approfittiamo per una sosta-riposo. Mettiamo un po' di ordine nel camper, che è perennemente pieno di polvere e c'è roba buttata ovunque. Laviamo mutande, asciugamani e lenzuola. Prendiamo il sole a bordo piscina, mentre le bambine sguazzano.
Ad un certo punto oggi abbiamo sentito la Grande urlare emozionata: Guardate! Nuota da sola! Guardate! Abbiamo sollevato lo sguardo. I braccioli erano fuori dall'acqua. La Piccola si buttava dal bordo della piscina, sul lato meno profondo, percorreva due-tre metri e raggiungeva la Grande. La Grande, che invece toccava (è 11 centimetri più alta della Piccola, il che può fare la differenza), la aspettava a braccia tese, la sollevava, la faceva riposare. È stata una loro idea. Io avrei detto che 3 anni sono troppo pochi per nuotare. E invece.
Avrei voluto rimproverarle per aver tentato l'esperimento senza dirci nulla. Avrei dovuto rimproverare la Grande per aver tolto i braccioli a sua sorella, per averle detto "ce la puoi fare". Ma erano troppo felici e non ci sono riuscita. La Piccola si sentiva capace, e libera. La Grande era al colmo dell'emozione, e rideva e gridava: Guardate, nuota! Nuota senza braccioli! E sono stata proprio io ad insegnarglielo!

mercoledì 19 marzo 2014

lusso inaspettato

Mt Isa
- Noi siamo quasi come Peppa Pig e George, vero?
- Ragazze, sapete che anche in questa cittadina ci sono miniere?
- Domani non ho nessuna intenzione di alzarmi presto. Ritengo di aver già dato, stamattina.
- Perché Peppa e George sono sempre bravi, noi invece qualche volta facciamo le cattivelle...
- Ma si possono visitare?
- Cosa?
- Le miniere!
- Mamma, è vero che noi non siamo proprio sempre brave?
- Mah, sempre no... Però siete due brave bimbe.
- Ho fatto una macedonia di papaya. Sentirete che buona. Però potevamo prendere anche un po' d'uva...
- A sette dollari al chilo? Neanche sotto tortura. E poi l'hai appena detto, la papaya sarà buonissima.
- Mettiamo il repellente? Sento le zanzare che mi ronzano nelle orecchie.
- Cosa estraevano in queste miniere?
- Ora te lo metto. Finisci prima la carne. 
- Posso avere ancora pomodorini? 
- Ma ne hai già mangiati duecento!
- Posso andare in bagno, allora? 
- Anch'io, anch'io in bagno!
- Ragazze, è la decima volta che andate in bagno. Devo agitarmi?
- No, è che... è talmente bello andare in bagno da sola!
La Famiglia in cammino chiacchiera. Sarà che tre quarti dei componenti sono donne, sarà che siamo orgogliosi della nostra piccola isola linguistica, fatto sta che parliamo tutto il giorno. In situazioni come la cena, questo può diventare un problema: affrontiamo decine di argomenti contemporaneamente, e il tutto rischia di diventare una marmellata incomprensibile. Oggi, tuttavia, un argomento di conversazione emergeva sugli altri, ed era il bagno privato. Avendo percorso 700 chilometri in un giorno, abbiamo deciso di premiare le bambine sistemandoci per una notte in un campeggio con piscina. Il campeggio offre piazzole per camper con bagno privato. Dietro la nostra portiera, cioè, c'è un bagno con doccia (e chiave) riservato solo a noi. La scoperta è stata stupefacente: da due mesi, poiché il camper non ha un bagno, accompagno sempre io le ragazze al gabinetto, in modo che non si appoggino e non si sporchino. Loro, tuttavia, risentono della mancanza di privacy. Qui, data una piccola passata col disinfettante, con la sicurezza di essere solo noi ad usare il servizio, ho permesso loro di andarci da sole. Del resto avere un bagno a disposizione, un vero bagno, è un lusso non da poco. Quando saremo tornati nella nostra "verissima casa", considererò sotto una luce nuova il mio accappatoio appeso, gli spazzolini da poter lasciare sul lavandino, e la meravigliosa possibilità di fare la doccia in solitudine.
Siamo nello Stato del Queensland. Ci dirigiamo verso Est e verso l'oceano. Oggi siamo partititi alle 6 e abbiamo guidato fino al pomeriggio. Alle 17, quando le bambine si sono buttate in piscina urlando di gioia, la temperatura era ancora vicina ai 40.

martedì 18 marzo 2014

partenze all'alba

Tennant Creek
In Australia le distanze sono incredibili. Fra una cittadina e l'altra ci sono centinaia e centinaia di chilometri. Le lunghe percorrenze non sono uno sfizio, ma una necessità. Questo vale soprattutto per la vasta zona centrale, ancor meno densamente popolata della costa. Per minimizzare il disagio alle bambine (anche per biechi motivi egoistici: se loro si annoiano troppo, cominciano ad urlare e il nostro minuscolo camper diventa un inferno) in questi giorni sperimentiamo la tecnica della partenza all'alba. Ci svegliamo alle 6, mentre le bambine dormono al piano di sopra. Le spostiamo nel nostro letto, al piano di sotto (detta così sembra che gli spazi interni siano infiniti. In realtà è solo che il camper, di notte, si trasforma in un unico letto a castello matrimoniale, dove non c'è più spazio neanche per girarsi). Quindi partiamo. In questo modo riusciamo a fare i primi 200 chilometri prima del loro risveglio, che avviene verso le 8.30. A quel punto troviamo un'area di sosta, ci fermiamo e facciamo colazione. Guidare al mattino presto implica una grande attenzione agli animali, ma per il resto non è faticoso e non è difficile. Dopo un paio di mesi, ci siamo perfino abituati alla guida sulla corsia di sinistra, che non ci sembra più tanto sbagliata. Io confesso di avere ancora qualche problema con le rotatorie, che sono ovviamente da prendere al contrario, mentre il Papà è agilissimo su tutte le manovre. Il camper ha il cambio automatico, cosa che facilita la guida, anche se sembra di stare al volante di una macchina per bambini. Alcuni comandi sono posizionati al contrario: ogni volta che voglio mettere la freccia aziono il tergicristallo, ma questi sono dettagli. Il Papà, ovviamente, ha preso dimestichezza anche con questo.
Di solito ci fermiamo a mangiare un panino verso le 2, e cuciniamo per bene solo la sera: il camper ha due fornelli soltanto, di cui uno funziona male. Preparare da mangiare è una fatica a cui preferiamo sottoporci solo una volta al giorno.
Ci siamo spostati a nord e ora siamo a Tennant Creek. Il paese è tutto raccolto intorno alla strada ed è a maggioranza aborigena. Visitiamo il centro culturale: le bambine sono molto colpite dalla varietà di piante di cui i nativi riuscivano a servirsi per mangiare e per curarsi. Il bush, che a noi sembra così arido, offre invece "patate", "pomodori", "prugne".
Sulla strada ci siamo fermati al centro artistico di Ali Curung, un po' remoto ma molto interessante. Domani partiamo di nuovo alle 6 e puntiamo a est, verso il Queensland e verso il mare. Un po' mi dispiace lasciare il deserto, dove ho trovato la mia dimensione: temperature sopra i 40 gradi, vento secco e grandi possibilità di incontrare la cultura aborigena. Oltretutto il Queensland è il luogo in cui vive la terribile medusa a scatola, che popola i miei incubi da quando eravamo ancora in Italia. È vero, anch'io so essere velenosa, ma non ci tengo a misurarmi in uno scontro diretto...

l'età del goanna

McDouall Stuart Memorial rest area (Stuart Highway)
Sono ossessionata dall'età. Su 365, il giorno del mio compleanno è il peggiore. Ho festeggiato l'ultima volta per i 17 anni. Già a 18, il giorno del tema di greco all'esame di maturità, sentivo incombere la vecchiaia.
La Grande è ossessionata dall'età, ma in un senso del tutto opposto. Non vede l'ora di crescere. Mi chiede decine di volte al giorno quando inizierà a perdere i denti da latte. A tutti i bambini che incontra chiede, prima del nome, l'età. Mi chiede la taglia dei vestiti che indossa. L'altro giorno le ho comprato una maglietta "8 anni" e ne parla con vero orgoglio. Per questo è rimasta parecchio colpita nel sentire che Ruby ha 6 anni, come lei. Ruby ha scaglie grigiastre, un aspetto poco rassicurante ma un atteggiamento paziente e amichevole. È una femmina di goanna, mascotte del rettilario di Alice Springs. A differenza degli altri animali, Ruby è libera di girare per le sale, torna nella sua cuccia come un gattino e riceve le carezze dei visitatori. Oggi, fra la Grande e la Piccola, ha fatto il pieno di coccole per tutta la vita.
I musei australiani hanno sempre un approccio immersivo-interattivo-giocoso, il che per i bambini è un gran divertimento. Nei centri di conservazione si può dar da mangiare ai canguri, negli acquari si prendono in mano granchi giganti. Al rettilario, naturalmente, si prendono in mano i rettili. Oltre al giovane goanna (un lucertolone lungo un metro, ma che ha ancora margine di crescita), le bambine hanno preso in mano un'altra lucertola, più piccola, con testa a rombo e scaglie puntute. La Grande  e la Piccola, sollevando le braccia coi palmi aperti, hanno finto di essere alberi. La lucertola ci è cascata ed è rimasta volentieri aggrappata alle loro braccia. Poi è stata la volta del pitone. Una bestia lunghissima e pensante 7 chili, con la pelle stranamente compatta e liscia, che si strusciava sinuoso contro le braccia della Grande e della Piccola: Guarda, il serpente ci fa le coccole! commentava la Grande sorridendo. Il rettilario ospita naturalmente molti altri animali, fra cui tanti serpenti velenosi. Vederli, anche solo dietro ad un vetro, per me era vagamente inquietante. Le bambine, ovviamente, si divertivano come matte. Ci hanno chiesto più volte di portare un serpente nella nostra "verissima casa", ma per varie ragioni non credo che sia una buona idea.
Prima di lasciare Alice Springs ci informiamo sul tragitto per Utopia, la zona aborigena da cui provengono i quadri di cui ci siamo innamorati. Pare che Utopia sia l'unica area australiana sempre rimasta in mano agli aborigeni. Purtroppo le strade per arrivarci sono percorribili normalmente solo con fuoristrada, e attualmente sono chiuse perché allagate da alcuni forti acquazzoni degli ultimi giorni. Niente da fare. Ci dirigiamo allora verso nord, percorrendo circa 200 chilometri. Qui l'autostrada non ha illuminazione e non ha guard-rail (attenzione agli animali!); non ha nemmeno limiti di velocità, solo qualche cartello che invita a guidare "in base alle condizioni". Noi comunque notiamo che il camper oltre i 100 all'ora consuma ancor più della sua media, e quindi teniamo il piede molto leggero. Nel Northern Territory la presenza aborigena è molto forte, e non perdiamo la speranza di incontrare qualche comunità.

domenica 16 marzo 2014

la clonazione

Nove anni fa, prima di invecchiare, prima della Grande e la Piccola, prima che tutto avesse inizio, avevo detto al Papà che avrei passato la vita a raccogliere quello che lui sparpagliava in giro. Niente di più vero e di più facile: il Papà è uno specialista dell'amnesia. Dimentica di tutto: ombrelli, calzini, chiavi e portafogli. Il bello è che ha anche una fortuna sfacciata: dimentica, ma poi ritrova. L'altro giorno, in una gigantesca stazione di servizio, ha lasciato su un tavolo esterno il suo marsupio, contenente telefono, telecamera piccola, obiettivi di una macchina fotografica (non la mia, che a custodire quella ci penso io). Circa mezz'ora dopo un signore anziano lo ha raggiunto, chiedendogli se il marsupio fosse suo. Dentro c'era ancora tutto. In Australia la piccola delinquenza non esiste. La gente parcheggia l'auto e la lascia aperta, con le chiavi inserite. Chiude la porta di casa per dormire e non gira la chiave. Entra in negozio e lascia il portafogli fuori, nel portapacchi della bici.
In compenso, qualche simpaticone ha clonato la nostra carta di credito. Negli ultimi due giorni risultano spese per più di mille euro, effettuate - così pare - in Italia, probabilmente per acquisti on line. Siamo certi di essere in Australia e di non aver autorizzato spese folli su internet (tra cui settecento euro in un unico acquisto!), quindi quelle spese non le abbiamo fatte noi.
Ma che meraviglia: mente noi risparmiamo sull'acqua (avevamo superato i 30 dollari al giorno in acqua minerale, siamo passati all'acqua delle fontane), qualche truffatore ha speso alcune centinaia dei nostri euro.
La banca ci assicura che, documentando tutto per bene, l'assicurazione provvederà a rifonderci le spese. Forse non saranno nemmeno addebitate. Ma intanto siamo qui, in mezzo al deserto australiano, a combattere con estratti conto e centralini (e la differenza del fuso orario rende tutto un po' più difficile).
Non siamo, tuttavia, particolarmente abbattuti (molto seccati sì, però). Sarebbe stato peggio se l'altro giorno non ci avessero riportato il marsupio del Papà. Sarebbe stato peggio se non ci fossimo accorti della clonazione. Sarebbe stato peggio se, per paura, ce ne fossimo rimasti a casa nostra. Gli imprevisti fanno parte del viaggio. Il ladro è solo un ladro, a fronte di decine di australiani che continuano ad essere simpatici e accoglienti.
Oggi abbiamo passato la giornata a combattere con le mosche e a cercare pitture rupestri nelle grotte intorno ad Alice Springs. Siamo arrivati ad un sito magnifico: sulla volta di una grotta sono dipinte alcune larve stilizzate: le larve facevano parte del patrimonio di leggende degli aborigeni, e anche della loro dieta. È stato emozionante camminare alla ricerca dei segni rossi sulla pietra. Del resto oggi la temperatura aiutava: solo 40 gradi.

sabato 15 marzo 2014

nostalgia nostalgia

La Grande e la Piccola stanno bene. Sono affascinate dalle storie degli aborigeni, adorano la doccia serale e il parco sempre a pochi metri. Accarezzano gli animali e si divertono a dormire nel camper, nel letto matrimoniale al piano di sopra (anche se ogni tanto, quando non è così stanca da crollare immediatamente, la Piccola tormenta la Grande). Amano il suono della lingua inglese, amano sporcarsi in libertà.
Ma hanno anche nostalgia, inutile negarlo. Hanno nostalgia dei loro amici, dei Pan di Stelle, della pecorella di peluche.
Hanno soprattutto nostalgia dei nonni. Guardano, con occhi ardenti di desiderio, qualsiasi signora di mezza età nel raggio di un chilometro. Si buttano in braccio a chiunque rivolga loro un sorriso (il che non sempre mi rende felice). Vanno in brodo di giuggiole per i complimenti educati di qualsiasi sconosciuta.
Non oso pensare al momento in cui, fra un mese, rivedranno i loro "verissimi nonni".
Probabilmente li assaliranno di abbracci. Poiché la vita all'aria aperta le ha rese un po' selvatiche, saranno probabilmente abbracci feroci. Per proteggere la salute dei nonni, stiamo pensando di farli vedere da lontano prima dell'incontro vero e proprio.
Dedicheremo quest'ultimo mese australiano alla pianificazione di una strategia di avvicinamento indolore.
Ci siamo fermati in mezzo al deserto, ad Alice Springs. Siamo di nuovo immersi nella cultura aborigena, che qui è soprattutto arte. Ci sono numerose gallerie (alcune delle quali gestite da cooperative aborigene) di quadri e sculture. Ho trascinato le bambine a vedere una quantità di piccoli musei, ritratti, pitture. Abbiamo imparato a riconoscere i simboli della danza, del cibo, degli insetti. Sappiamo ora che la maggior parte degli artisti aborigeni è donna, il che ci fa apprezzare i dipinti ancora di più. Abbiamo letto decine di pannelli sulle cerimonie, sui riti di passaggio, sulle leggende dei nativi. Ci siamo innamorati (la Famiglia in cammino si innamora spesso e volentieri) di Lena Pwerle, un'anziana madre di cinque figli che dipinge simboli di sorgenti d'acqua. Ci siamo innamorati di Mary Morton, che ha come soggetti i semi e gli insetti del deserto. Entrambe vivono nella regione selvaggia di Utopia (bellissimo nome, fra l'altro), dove gli aborigeni mettono ancora in scena le loro danze, e l'ingresso ai non-aborigeni è impossibile. Lena nel suo villaggio è un'autorità. Quando arriva la si sente, perché urla di continuo. Mary è stata la seconda moglie di un marito anziano. L'abbiamo vista in foto, che ballava col seno dipinto. Abbiamo visto anche le foto di Lena, che ha fianchi abbondanti e ormai pochi denti. Dopo il tour de force culturale, io e il Papà ci sentivamo felici. L'arte aborigena ci lascia ogni volta a bocca aperta. La Grande e la Piccola erano stremate. Forse è per questo che si è fatta sentire la nostalgia dei nonni...

venerdì 14 marzo 2014

sul ciglio del burrone

Alice Springs
Abbiamo trascorso la serata di ieri, mentre i dingo affamati gironzolavano intorno alla nostra cena, a preparare la Grande e la Piccola; abbiamo detto loro che il sentiero sarebbe stato interessante, ma faticoso. Per rafforzare la motivazione, abbiamo promesso il gelato alla prima stazione di servizio.
Questa mattina ci siamo svegliati alle 6 (mai che si dorma, durante questo viaggio...) e siamo partiti alle 7 per il giro sul Kings Canyon, una delle meraviglie naturali dell'Australia centrale. Il percorso è lungo 7 chilometri, e un sentiero vero e proprio non c'è. Bisogna seguire le indicazioni e camminare sulle rocce, stando molto attenti a non allontanarsi dal tracciato, perché il canyon precipita a strapiombo per centinaia di metri, e non ci sono transenne di protezione. Il primo pezzo è di salita molto ripida. Ci sono dei gradini naturali, ma a tratti anche io e il Papà siamo costretti ad aiutarci con le mani. Siamo favoriti dalla temperatura (alle 7 il sole è appena sorto e fa ancora fresco), ma le mosche sono già sveglie, attive e assillanti. Raggiungiamo, tuttavia, la cima della salita e cominciamo a guardarci intorno. Il canyon è un enorme burrone di forma ellittica, con anfratti naturali e perfino un laghetto interno, circondato da piante, in una gola.
Prima di proseguire, tanto per rafforzare la motivazione (il problema dei bambini in montagna non è la fatica, ma la noia), distribuisco generose dosi della bibita energetica, dall'inquietante colore blu, che ho comprato per le bimbe. Il Papà racconta loro che è una pozione magica. Loro bevono, apprezzano e riprendiamo il percorso.
All'inizio camminiamo sul ciglio del burrone e siamo terrorizzati da eventuali colpi di testa della Piccola. Per sicurezza, il Papà le lega intorno alla vita una corda e la tiene come al guinzaglio. Dopo varie soste panoramiche raggiungiamo il cosiddetto "giardino dell'Eden". È uno stagno spettacolare, scavato nella roccia. Verrebbe voglia di fare il bagno, se non fosse vietato: gli aborigeni, che da sempre sfruttano questo bacino (un luogo di raccolta dell'acqua piovana) come un dono di sopravvivenza nel deserto, permettono di bagnarsi il viso e le mani, ma non di entrare  nello stagno, in modo che l'acqua si mantenga pulita. Qui facciamo una lunga sosta. Mangiamo biscotti e mele. Le bambine si divertono come matte a prendere e liberare le piccole rane che circondano il bacino. Riprendiamo la camminata e risaliamo lungo l'altro lato del canyon. Il panorama è sempre mozzafiato, ma ora fa caldo e le bambine sono stanche. La Piccola comincia a piangere. Mi allontano dal ciglio del burrone e la prendo in braccio. Lo sconforto dura poco: anche lei finisce il percorso con le sue gambe. Arrivate al camper, la Grande e la Piccola crollano addormentate. Al risveglio, rispettiamo la promessa del gelato.
Era dall'inizio del viaggio che io e il Papà pensavamo alla passeggiata di oggi. Avremmo voluto andarci tutti insieme, ma non eravamo certi che la Piccola fosse in grado. Come sempre, coi bambini, tutto sembra più difficile di quello che è.
In serata arriviamo ad Alice Springs.
Siamo nel centro dell'Australia.

cena coi dingo

Kings Canyon
Pur nel variegato panorama delle stazioni di servizio australiane, quella di oggi aveva dell'incredibile: a Kings Creek si può fare il pieno (nel Northern Territory, ahimè, benzina cara quasi quanto in Italia. E il nostro camper fa 8-9 km con un litro) ma anche organizzarsi una passeggiata sul dromedario. Si può mangiare un hamburger di coccodrillo, ma anche prenotare un volo panoramico in elicottero. Soprattutto, si può aiutare un'organizzazione umanitaria che manda i ragazzini aborigeni a studiare ad Adelaide. Il primo proprietario della stazione di servizio, arrivato qui nel 1981, si è accorto che i bambini del vicino villaggio non avevano reali opportunità di studiare. Stavano in un'unica scuola, dai 4 ai 15 anni, e ne uscivano senza nemmeno saper scrivere il loro nome. Così ha fondato la Conways' Kids, che è tuttora in attività. Naturalmente abbiamo lasciato il nostro piccolo contributo. Ci chiediamo sempre come, e perché, un popolo così affascinante sia rimasto di fatto ai margini della propria terra.
Dormiamo nel parco naturale Watarrka, famoso per i rettili e per i dingo. Oggi abbiamo visto il nostro primo goanna, un'enorme lucertola di due metri che ha attraversato la strada davanti a noi. In questa zona dell'Australia ci sono più specie di rettili che in ogni altra parte del mondo. I dingo, invece, sembrano grossi cani selvatici, con pelo giallastro e istinto da lupi. Ovunque ci sono cartelli che invitano a non avvicinarli, a non dar loro da mangiare, e men che meno toccarli. La difficoltà è stata tenere a bada le bambine, visto che i dingo sono ovunque intorno a noi, e naturalmente la Grande e la Piccola avrebbero voluto accarezzarli, o almeno provarci. Ma si tratta pur sempre di animali selvatici, e quindi le ho tenute ben distanti; nel frattempo i dingo, con aria affamata, giravano intorno al tavolo della nostra cena. La Grande e la Piccola vorrebbero un cane, quindi si sentivano particolarmente coinvolte. Non credo, però, che un selvaggio cane-lupo australiano sia quello che fa per noi. Fino ad oggi non avevamo mai visto i dingo in libertà, perché in altre zone dell'Australia non ci sono. Nel South Australia esiste addirittura una lunghissima rete-barriera, la cosiddetta "dog fence", costruita con lo scopo di non far passare i dingo da nord a sud.
A pochi chilometri da noi c'è il Kings Canyon, un luogo spettacolare e incredibile, con sentieri a strapiombo, laghetti incontaminati (dove è ovviamente vietatissimo fare il bagno) e panorami mozzafiato. Il sentiero per esplorarlo è lungo 6 chilometri, e in ripida salita nel primo tratto. Questa volta abbiamo pensato di coinvolgere le bambine nell'esplorazione, quindi domani ci alzeremo tutti presto per dare l'assalto alla scalata prima che la temperatura salga troppo (oggi comunque è stato fresco: solo 39 gradi la massima). Domani la Famiglia in cammino camminerà.

mercoledì 12 marzo 2014

palya

La Famiglia in cammino pensa che scalare Uluru non solo sia poco rispettoso (per gli Anangu la montagna è sacra) ma anche veramente stupido: la roccia è ripida e scivolosa, e in alto non c'è nulla da vedere. Gli Anangu, tra l'altro, non hanno mai visto Uluru dall'alto. La vera esperienza è il sentiero che gira intorno alla montagna. È lungo 11 chilometri (per quanto si tratti di un monolite - cioè una singola pietra - Uluru è grande come una montagna) e passa vicino a pozze d'acqua, siti di pitture rupestri, grotte in cui si riunivano gli anziani intorno al fuoco, tanto che la volta è annerita dal fumo. Il problema è che per 11 chilometri ci vogliono due ore e mezza di camminata, in mezzo alle mosche e con la temperatura a 40 gradi. Non ce la sentiamo di proporre l'intero tragitto alle bambine, nemmeno alla Grande. Dopo giorni di riflessione, di idee strambe, di ripensamenti, abbiamo optato per la seguente quadratura del cerchio: io e il Papà abbiamo percorso il sentiero da soli, uno per volta in giorni diversi. Entrambi siamo partiti all'alba, in modo da camminare per la prima parte al fresco e senza mosche (le malefiche si svegliano, tutte insieme, col sole). Nel frattempo, l'altro genitore rimaneva con le bambine ancora addormentate nel camper. Tutto molto intelligente, se non fosse che da due giorni ci alziamo alle 5.
Ieri è stata la volta del Papà. Oggi era il mio turno.
La camminata intorno a Uluru (Ayers Rock) vale il viaggio. Ad ogni anfratto della pietra è legata una leggenda. In ogni grotta ci sono pitture. Nei luoghi più impensati si nascondono pozze d'acqua che raccolgono naturalmente la pioggia. Per gli aborigeni questo luogo non era solo una spettacolare meraviglia della Natura (cosa che del resto è ancora oggi): era garanzia di vita. Acqua, ombra, riparo. A Uluru c'è tutto. Nel pomeriggio abbiamo portato la Grande e la Piccola a visitare qualche luogo significativo della roccia: non volevamo, in ogni caso, che perdessero l'opportunità. C'è la grotta in cui si riunivano le famiglie. La volta sotto cui le madri insegnavano alle figlie. Un anfratto dipinto con le mani che veniva usato dagli anziani come lavagna, per insegnare ai ragazzi la sopravvivenza nel deserto. La Grande lo ha ribattezzato "la scuola degli aborigeni" e vorrebbe assolutamente andarci. Che si tratti di una piccola caverna dipinta, dove da decenni non entra più nessuno, non la turba. Si sente pronta a raccogliere frutti commestibili e acqua potabile, oltre che a badare a sua sorella (il che, confesso, ogni tanto non sarebbe male).
Da qualche giorno raccontiamo leggende aborigene. Abbiamo capito che il corvo è nero perché è caduto nel fuoco e si è bruciato le piume, che il pappagallo bianco è arrabbiato con l'aquila e che le le pleiadi una volta sono scese sulla terra. Abbiamo anche imparato una parola aborigena: palya. Ciao.

martedì 11 marzo 2014

il deserto

Come si sente che l'Australia è un continente. Poche settimane fa eravamo in Tasmania, nel pieno dell'estate, e tenevamo addosso la felpa per tutto il giorno. La sera aggiungevamo la giacca a vento. La notte ci chiudevamo nei sacchi a pelo, e usavamo anche una copertona di lana.
Ora l'estate volge al termine, ma noi siamo nel deserto. Ieri e oggi il termometro ha segnato 46 gradi. Il dato in sé non mi fa impressione: a Catania ho già sperimentato un caldo simile. A Catania, tuttavia, ho sempre avuto una casa in cui riparare la Grande e la Piccola nei momenti più caldi. Una casa con fresche mura. Qui abbiamo il camper. Ma il camper non ha l'aria condizionata (il criterio della scelta è stato il risparmio); gli alberi sono pochissimi ed è difficile trovare un posto all'ombra, quindi cercare ristoro nel camper è come cercarlo in un'auto parcheggiata al sole.
La prima emergenza è quella dell'acqua: consumiamo circa 18 litri d'acqua al giorno solo per bere (il conto è subito fatto, perché sono due confezioni da 6 bottiglie grandi al giorno). Dobbiamo quindi comprare acqua ogni mattina, perché il camper è piccolo e non riusciamo a portare con noi più di due casse di acqua potabile. Non siamo gli unici ad avere questo problema, quindi le bottiglie vanno comprate al mattino presto, altrimenti i supermercati le finiscono ed è un dramma.
Per limitare il consumo di acqua, spesso nei campeggi la doccia costa 20 centesimi. La cifra è del tutto simbolica, ma il problema è avere sempre con sé una moneta da 20. Del resto fare la doccia durante il giorno non serve a molto. Dà sollievo sul momento, ma poi si suda il doppio. Meglio rimanere un po' appiccicosi fino a sera. Il vero ristoro è soltanto la doccia di sera.
Durante il giorno la Grande e la Piccola mangiano molto poco. Quasi mai hanno fame, il che per loro è stranissimo. Quando cala il sole, però, diventano due lupi, anzi, due dingo. Ieri sera abbiamo fatto mezzo chilo di pasta per quattro. Io ne ho prese solo due forchettate. Il resto se lo sono diviso gli altri tre quarti della Famiglia. La Grande e la Piccola avevano porzioni più abbondanti di quella del Papà.
La Piccola è sempre fiacca e assonnata. Di giorno fa il pisolino, ma poi si sveglia in un bagno, letteralmente un bagno, di sudore. Quando si alza, la sua canottiera va strizzata.
All'assillo delle mosche si è aggiunto quello delle formiche rosse. Malefiche formiche sparse ovunque, che salgono sui piedi e mordono. Per fortuna non iniettano veleno, quindi il dolore passa subito. Ma io continuo a chiedermi come mai il governo australiano non vari un piano di sterminio degli insetti.
Anche oggi giornata di immersione nella cultura aborigena. La Grande e la Piccola non fanno che parlare di pittura sul corpo, di danza, di musica coi bastoncini. La Grande si allena a copiare i simboli aborigeni coi pennarelli: ne ha già riempiti vari fogli, e ancora continua.
Oggi abbiamo imparato a lanciare un boomerang in modo che torni indietro. Torna indietro davvero, ed è spettacolare e pericoloso. Abbiamo imparato che gli aborigeni mangiavano le uova di goanna (un lucertolone lungo due metri). Il compito di prenderle spettava alle donne. Alcune le portavano via, ma altre le lasciavano nel nido, perché i piccoli goanna potessero nascere.
La Grande mi chiede spesso chi sia stato, di preciso, a portar via la terra agli aborigeni. Siamo stati noi, mamma? Ripete spesso, poco convinta delle mie risposte.
Siamo stati noi? Abbiamo fatto un deserto e ora lo chiamiamo pace?

lunedì 10 marzo 2014

roma

Yulara
Ci siamo innamorati di Roma. È stato un colpo di fulmine inatteso, imprevedibile, che ha coinvolto d'un colpo tutta la Famiglia in cammino.
Roma ha 55 anni, parla inglese a fatica e ha lunghi capelli arruffati. Sorride con una bocca un po' sdentata e dipinge stando seduta per terra. Roma è un'artista aborigena. Finalmente arriviamo in una cittadina in cui l'arte aborigena è conosciuta, esposta, valorizzata. Nel pomeriggio abbiamo assistito ad una performance di danza. La Grande e la Piccola sono rimaste a bocca aperta: gli aborigeni avevano il corpo dipinto, come nei libri che abbiamo letto insieme in questi giorni. Il colore sul corpo serve a mostrare la tribù e la terra di appartenenza.
Completamente affascinate, le bambine hanno pure preso parte al ballo, diventando per qualche minuto due emù danzanti.
Ci troviamo a pochi chilometri da Uluru (Ayers Rock). Nelle vicinanze della montagna, che per gli aborigeni è sacra, non è possibile fermarsi. L'unica possibilità è trovare posto qui a Yulara, dove le strutture ricettive sono molte e varie: tra queste c'è anche il nostro campeggio. A Yulara si può partecipare (finalmente!) a numerose espressioni dell'arte e della cultura degli aborigeni. Oggi abbiamo visto la danza, ma ci sono anche performance di digeridoo (lo strumento tradizionale, scavato dalle termiti), laboratori di artigianato e piccole gallerie d'arte. Il tutto è ovviamente un po' turistico, ma almeno abbiamo l'occasione di incontrare una cultura che fino ad oggi avevamo faticosamente cercato, senza avere troppo successo.
Roma ci indica quali sono i suoi quadri. I dipinti aborigeni non sono semplicemente puntini e figure: ognuno di essi racconta una storia. Ci innamoriamo di un'opera gialla e marrone, piuttosto grande, e facciamo i complimenti all'autrice; la galleria sviluppa un progetto per cui gli artisti, a turno, espongono e vengono ospitati: si possono vedere mentre lavorano, e hanno l'occasione di illustrare (per quanto la comunicazione - almeno quella verbale - sia faticosa) le loro opere. La Grande e la Piccola chiedono e ottengono una piccola guida coi significati dei più importanti simboli pittorici dei nativi. Hanno intenzione di provare a copiarli. Sono convinte di poter diventare due aborigene.
I nativi chiedono di non salire su Uluru, per non violare la spiritualità del loro sito. Noi ovviamente non saliremo; ma domani, alle prime luci dell'alba, faremo il giro a piedi, alla base della grande montagna sacra.