lunedì 31 marzo 2014

archeologhe contadine

- Ecco il nuovo giorno. È ora di raccogliere le uova.
Oggi, prestissimo, la Grande ha svegliato tutta la Famiglia in cammino. Le bambine sapevano che avrebbero trascorso un giorno da contadine, e hanno aperto gli occhi alle 6.30, in preda all'eccitazione.
La Grande barriera corallina è uno spettacolo di natura da togliere il fiato, ma l'Australia, quella vera e verace, vive nell'outback. L'outback degli aborigeni, dove abbiamo lasciato un pezzo di cuore (abbiamo tenuto l'altro pezzo solo per sopravvivere), ma anche l'outback dei cow boy, dei rodei e del bestiame. L'outback dove non cresce nulla, poca frutta e pochissima verdura, e l'unica possibile attività è l'allevamento.
Ci siamo fermati a Myella Farm e abbiamo provato tutte le attività di una vera fattoria australiana, ospiti di una famiglia che alleva mucche e cura canguri. Alle bambine è stata affidata per tutto il giorno la cura di Bandy, il cucciolo zoppo che ha bisogno del biberon. Lo hanno tenuto in braccio, nutrito e coccolato. Lo hanno aiutato a stare in piedi, sperando che ci riesca da solo quando non avrà più la fasciatura. Oltre a questo, al mattino presto la Grande e la Piccola sono uscite, su piccole auto 4x4, per radunare i cavalli. L'erba è insufficiente per l'alimentazione del cavallo, quindi ogni mattina bisogna portare gli animali nei box all'aperto e integrare con un mangime farinoso. Le bambine lo hanno preparato impastandolo con le mani, messo nei contenitori e distribuito ai 21 cavalli. Alle 8 e mezza già puzzavano di mangime, di cavallo e di fango. Poi hanno cavalcato attraverso la proprietà (cavalli grandi, non pony, ma ormai ci sono abituata e non mi agito nemmeno più). Hanno visto gli alberi-bottiglia, con uno strano tronco panciuto, gli uccelli rapaci, mucche e canguri. Sono andate nel pollaio a raccogliere le uova, preoccupandosi per la sorte dei pulcini, argomento che ho preferito non approfondire.
Nel pomeriggio hanno munto due mucche (e bevuto due bicchieroni di latte ancora caldo, semplicemente filtrato). E qui devo aggiungere che la mucca non è affatto facile da mungere. Io ci ho provato senza risultato. La Grande è stata molto più sicura e ci è riuscita. Sorrideva, cantava "Nella vecchia fattoria" e tirava le mammelle. La Piccola ha copiato la sorella, e ci è  riuscita anche lei. Il difficile per loro era prendere la mira nel secchio, e infatti il latte schizzava sui vestiti, i sandali, le braccia... In seguito alla mungitura delle mucche, la Grande ha una vescica sul dito, che esibisce con particolare orgoglio; ha dichiarato che deve riflettere bene sul lavoro che farà da adulta. Fare l'archeologa subacquea le piacerebbe, ma anche il mestiere della contadina ha il suo appeal. La Piccola pensa di fare entrambe le cose: al mattino la contadina, al pomeriggio l'archeologa subacquea. Al momento non vede problemi di incompatibilità.
La sera, dopo l'ultima poppata di Bandy  (che come neonato è fantastico: se ne sta tutto il giorno buono buono nella sua borsa, a meno che non lo si prenda), le bambine hanno ricevuto in prestito due walkie-talkie dal fattore. In preda alla stanchezza, ubriache di felicità (e di sonno), hanno iniziato a parlare fra di loro:
- Lo sai che sei la bambina più bella del mondo?
- No, siamo tutte e due belle allo stesso modo. La mamma lo dice sempre!
- Ma tu sei bravissima! Sei riuscita subito a mungere la mucca!
- Sì, ma ricordati che tutti i lavori li abbiamo fatti insieme. Come sono felice che tu sia sulla Terra!

bandy

Myella Farm
- Dove lo potremmo tenere?
- Ti prego, prendiamolo. Mi occuperò io di dargli da mangiare tutti i giorni.
- Ragazze, non credo che sia una buona idea. È un animale selvatico.
- Ma non è vero! Vedi come si fa accarezzare? Vedi come si mordicchia la coda?
- SÌ, ma rimarrà qui solo finché non sarà grande. Poi lo libereranno. Non può vivere in casa.
- Potremmo fargli una cuccia in camera nostra. Vedi come chiude gli occhi? Vedi che si sta addormentando in braccio a me?
- E se all'aeroporto ci dicono qualcosa? Eh, mamma? Che succede se aprono la valigia e lo trovano?
La Grande e la Piccola sono impazzite per Bandy. Bandy è un "joey", un cucciolo di canguro che viene ancora allattato, ma può già mettere la testa fuori dal marsupio della madre, e qualche volta anche saltar fuori. Lui però non ha più la mamma, che è stata investita da un'auto poco lontano da qui. Viene alimentato tre volte al giorno con latte in polvere (lo stesso che si usa per i neonati umani). E non può saltare, perché ha una gamba rotta, per effetto delle stesso incidente che ha ucciso sua madre.
Prima di buttarci definitivamente sulla costa, volevamo un ultimo pezzetto di outback. Oggi dormiamo in una fattoria. Per le dimensioni australiane, il posto è decisamente piccolo: solo mille ettari per trecento mucche. Ci sono poi cavalli, galline, cani, pappagalli parlanti e... Canguri. Myella Farm è anche un ospedale accreditato per piccoli orfani. I cangurini vengono tenuti qui, e nutriti con latte, finché non imparano a cavarsela, cioè fino a 15 mesi di vita circa. Poi, un bel giorno, se ne vanno e non tornano più. Non riconoscono nemmeno i loro "padroni" di una volta. Finché sono piccoli, però, sembrano proprio animali domestici: oggi le bambine hanno giocato con Henry, un cucciolo di un anno che si faceva coccolare come un cagnolino e alzava la testa più che poteva, per prendere i grattini sotto il collo. Bandy invece ha solo sei mesi, e quando siamo arrivati era sotto i ferri: i proprietari della fattoria gli stavano cambiando la fasciatura alla zampa. Poi, per tranquillizzarlo, lo hanno messo in una borsa morbida, dove si è rannicchiato come fosse nel marsupio della mamma. A quel punto la Grande e la Piccola hanno potuto prenderlo in braccio e dargli un biberon di latte. Lui ha bevuto d'un fiato e poi ha cominciato a ciucciarsi la coda, come un neonato che si succhia il pollice. Ha trascorso il resto del pomeriggio in una borsa termica, in modo che non prendesse freddo, finché la Grande e la Piccola non gli hanno dato anche la poppata della sera. L'aspetto problematico dell'esperienza è che si sono ufficialmente innamorate, e ora non parlano d'altro che di portarlo con noi, nella nostra "verissima casa". Io mi interrogo sugli effetti di un canguro in soggiorno.

sabato 29 marzo 2014

tanto per essere chiari

St Lawrence
Forse gli australiani hanno un concetto di "politically correct" diverso dal nostro. Forse hanno una sensibilità più elastica, o forse semplicemente preferiscono la chiarezza. Fatto sta che le insegne australiane sono stupefacenti.
Noi percorriamo parecchi chilometri, quindi abbiamo occasione di guardare i cartelli stradali. Molto spesso, a bordo strada, c'è un'insegna col disegno di un'auto che si schianta e la scritta: "rest or R.I.P.", riposati o riposa in pace.
Un altro cartello recita "la fatica uccide" e mostra una bara e una croce.
Le insegne che invitano a rispettare i limiti di velocità rivelano lo stesso gusto per l'orrido: riproducono un cartello con limite, tondo bianco e contorno rosso; ma il contorno sembra colare, come se fosse sangue.
La mania della chiarezza non riguarda solo le strade, ma anche le spiagge. In Australia, se si cammina sulle scogliere in giornate di brutto tempo, può capitare di essere portati via da un'onda. Tempo fa, su una spiaggia molto frequentata, abbiamo visto un'insegna con due foto: la prima riportava un orario, e ritraeva un uomo su uno scoglio. La seconda, scattata due minuti dopo, una grande onda e lo scoglio vuoto. Evidentemente il poveretto non ha fatto una bella fine. Il titolo era: "gone fishing", cioè: (era) andato a pescare.
I pacchetti delle sigarette non si possono guardare senza avere un moto di paura e ribrezzo: sono completamente neri, con immagini di polmoni tumefatti, bambini attaccati ai respiratori, feti morti. Se per caso mi capita di vedere un pacchetto di sigarette abbandonato, faccio girare le bambine dall'altra parte, perché non prendano paura. Probabilmente la dissuasione funziona, perché qui è veramente raro vedere qualcuno con la sigaretta accesa. O forse c'entra il fatto che un pacchetto costa dai 15 ai 22 dollari.
Trovo particolarmente interessanti i cartelli nei bagni pubblici. Sui lavandini spesso è riprodotta la sequenza fotografica di un corretto lavaggio delle mani, con tanto di istruzioni: bagnare; mettere il sapone; strofinare per 20 secondi; eccetera. Non parlo dei bagni di una scuola elementare, ma di comuni bagni pubblici. In due mesi e mezzo, ne abbiamo visti un bel po'. Quando si va in bagno, bisogna lavare le mani per evitare malattie, e infatti nelle toilette è appeso un ricco campionario di sintomi di malattie veneree e tumori vari, con relative foto e descrizioni particolareggiate. La malattia descritta più spesso è la clamidia. Io l'avevo sentita nominare solo da Miranda in "Sex and the City", e ora ne conosco i sintomi in tutti i particolari. È piuttosto angosciante, mentre si fa pipì (o la si fa fare alle bambine, cosa non sempre semplice), osservare le foto delle parti intime malate di qualcun altro. Di sicuro non viene nessuna voglia di appoggiarsi all'asse.

venerdì 28 marzo 2014

alla ricerca di Nemo

A cena, davanti al semplice uovo sodo che adora, la Piccola è ubriaca di stanchezza. Si è svegliata alle sette e mezza, non ha dormito nel pomeriggio e ora parla a ruota libera:- Mi è piaciuto il pranzo. Io ho mangiato tantissimo perché c'erano tante cose buone e non panini. C'era il riso buonissimo. Poi mi piacevano i goanna che giravano intorno a noi. Mi è piaciuta la spiaggia, e poi quando facevamo snorkelling, perché ho visto tante piante e tanti pesci. C'era anche Dory, ma Nemo non c'era. Mi è piaciuta la barca perché dopo l'immersione ci hanno dato i biscotti, e perché la barca andava veloce. E poi mi è piaciuto questo campeggio, e la doccia, e questi genitori e questa sorella...
Siamo stati a lungo in dubbio: nell'ultima settimana sulla costa del Queensland ha sempre piovuto. Le previsioni davano buone speranze per oggi, ma quando ci siamo svegliati pioveva a dirotto. Poi avevamo paura del mal di mare: gli operatori assicuravano che sulla barca non avremmo sofferto, ma la Grande è un po' soggetta. Ci sarebbe dispiaciuto che passasse la giornata vomitando. Poi c'era il problema dei soldi: l'escursione costava, eccome. Noi siamo alla fine del viaggio, coi conti in rosso (più la clonazione della carta di credito: la banca ci rimborserà il furto, ma intanto abbiamo dovuto "anticipare" noi i soldi al ladro). E poi, e poi, e poi... Io e il Papà abbiamo passato la giornata di ieri a discutere, contare, valutare, ossessivamente collegati a vari siti di previsioni del tempo. Avevamo rimandato la decisione a questa mattina; questa mattina pioveva, ma siamo partiti lo stesso. Pazzi. Sapevamo che qui non saremmo mai più tornati. Adesso o mai più.
Abbiamo preso una barca per le Whitsundays, un leggendario paradiso marino australiano al largo di Airlie Beach. Sono 74 piccole isole, molte delle quali disabitate, abbracciate dalla barriera corallina. A Whitehaven Beach, una delle 10 spiagge più belle del mondo, pioveva ancora. Ma subito dopo è uscito, magicamente, il sole. Pazzi e fortunati. Ci siamo goduti il buffet sulla spiaggia, circondati da enormi goanna in cerca di cibo. La Grande e la Piccola, ovviamente, hanno fatto onore al pranzo. Poi hanno giocato sulla sabbia bianca. Si sono infilate le mute anti-medusa (a noleggio) e si sono tuffate nell'acqua turchese, inventando nel frattempo il gioco della mamma-goanna col piccolo-goanna.
Hanno messo maschera e pinne e si sono immerse in mezzo ai coralli, alla ricerca del pesciolino Nemo e del suo papà. Anemoni di mare ne abbiamo visti, ma Nemo non c'era. C'era invece la sua amica Dory, di un blu intenso e con la coda gialla. C'erano decine di pesci rossi, gialli, arancioni: ne eravamo letteralmente circondati. C'erano coralli che ondeggiavano, e piante azzurre che palpitavano.
Abbiamo assaggiato la Grande barriera corallina.

giovedì 27 marzo 2014

migliaia, milioni

Airlie Beach
Ho sempre ritenuto che gli insetti fossero interessanti. Non ho mai avuto la psicosi delle api, delle vespe, dei ragni. Tuttavia, dopo due mesi in Australia, quando sento parlare di un insetto mi viene voglia di prendere un lanciafiamme. Non so se la causa sia il maggior numero di animali che girano liberi, o la popolazione umana a densità decisamente bassa, fatto sta che qui gli insetti sono un tormento.
Se sono nere, le formiche si infilano dappertutto. Non le ho ancora debellate dal camper e ormai ci ho rinunciato. Si infilano nel frigorifero e trovano il prosciutto. Si infilano nel freezer e sopravvivono per giorni. Se sono rosse, le formiche non entrano nel camper, ma in compenso mordono i piedi. Non occorre disturbarle, schiacciarle, insidiare il formicaio. È sufficiente camminare su un sentiero che loro ritengano "roba loro" per sentirsi i piedi continuamente pizzicati. Le maledette si infilano fra piede e sandalo e mordono, mordono, mordono.
Le zanzare sono milioni. Cioè milioni. Sono attive ben prima del tramonto e ben dopo l'alba, quindi stiamo molto attenti a chiudere la porta del camper ogni volta che entriamo e usciamo. Nonostante questo, spesso passiamo la notte in compagnia del ronzio di un'orrida zanzarina nelle orecchie. Per motivi misteriosi, io vengo presa di mira molto poco. Il Papà e la Piccola hanno evidentemente il cosiddetto "sangue dolce" e vengono immancabilmente morsi. Ogni sera spruzziamo il repellente (così forte che fa tossire, tipo DDT), ogni mattina spalmiamo la pomata al cortisone per alleviare il prurito.
Le cavallette, poverine, sono semplicemente idiote. Saltano in giro a caso. Volano in faccia, addosso, nel camper. Sono enormi, quindi trovarsele sul naso non è particolarmente piacevole.
Le falene sono altrettanto stupide. Volano a razzo verso la luce e ci sbattono contro finché muoiono. Se entrano nel camper, vengono a passeggiare addosso a noi mentre dormiamo. Svegliarsi nel cuore della notte con una falena tipo "Silenzio degli innocenti" sul braccio non è particolarmente divertente. Di solito vengo colta da crisi isterica, uccido tutto quello che trovo e, tanto per avere compagnia, sveglio anche il Papà (sempre che non sia già sveglio per la zanzara).
Le mosche sono impressionanti. È incredibile quanto le mosche possano rovinare una gita, un paesaggio, una giornata. Volano intorno al viso come nuvole, a centinaia. Si infilano nel naso e negli occhi. Ultimamente stiamo sperimentando, con buoni risultati, una pomata repellente che consideriamo l'acquisto dell'anno. Non le tiene lontane, ma almeno evita che rimangano sul viso. Loro si posano, sentono il repellente e se ne vanno. Il problema è che la crema unge, e quindi abbiamo i visi sempre lucidi, come se ci avessimo passato la cera. Da quando siamo sulla costa, comunque, il problema delle mosche si è ridimensionato. In compenso sono arrivati miliardi di moscerini (che amano tuffarsi nei piatti della nostra cena) e le zanzare sono ulteriormente aumentate.
Ci sono poi scarabei grandi come un pugno, scarafaggi velocissimi, enormi ragni velenosi.
Da qualche tempo apprezziamo particolarmente la compagnia dei rospi, che saranno pure brutti, ma mangiano gli insetti. Bisognerebbe riempire l'Australia di rospi. Migliaia di rospi. Milioni di rospi. Milioni di milioni di rospi.

mercoledì 26 marzo 2014

dentro la rete

Guthalungra rest area (Bruce Highway)
La Piccola ha l'animo di un ingegnere: dovunque si trovi, qualsiasi materiale trovi, lei comincia a costruire. L'altro giorno a Richmond, mentre la Famiglia in cammino si dedicava con entusiasmo alla ricerca dei fossili (la Grande ne parla come di uno dei pomeriggi più entusiasmanti del viaggio), lei ha dichiarato che la "scavatura" con la paletta era troppo faticosa. Ha preso un mucchio di sassi e ha cominciato ad innalzare torri.
La Piccola ha anche l'animo di un tecnico informatico: schermi, computer e tablet sono la sua passione. Due mesi fa, sul volo per Sidney, mentre la Famiglia in cammino cercava di estrarre i telecomandi dalle postazioni, lei si era già infilata la cuffia, aveva acceso l'impianto e aveva fatto partire il primo film. Oggi, all'acquario di Townsville, la sua più grande gioia sono stati gli schermi interattivi. Poco importa che visualizzassero filmati sulla riproduzione dei cavallucci marini o sui pesci pagliaccio nei loro anemoni: l'importante era avere a disposizione un po' di pulsanti per navigare.
Siamo arrivati sulla costa, in zona tropicale. La stagione umida sta finendo, ma evidentemente ancora non è finita, visto che abbiamo avuto pioggia torrenziale dalla mattina alla sera. Per salvare la giornata, siamo entrati all'acquario di Townsville, che riproduce alcuni ambienti della Grande barriera corallina. Annesso all'acquario c'è l'ospedale per le tartarughe marine, dove gli animali vengono curati e poi rimessi in libertà. La Grande, che in questo periodo sogna di fare l'archeologa subacquea e da sempre ama gli animali, si è particolarmente goduta questa parte della visita. Nelle vasche su cui ci affacciavamo c'erano tre tartarughe, un maschio e due femmine, di 50, 70 e 80 anni. La Grande, che in questo periodo è fissata con l'età, è rimasta particolarmente colpita nel sentire che le tartarughe erano più vecchie dei suoi nonni.
L'acquario ha anche una sezione sugli animali marini pericolosi: il peggiore è naturalmente la cubomedusa, l'essere più velenoso al mondo (oltre che il più odiato da me). Qui in Queensland, zona in cui la medusa abbondantemente bazzica, le spiagge sono generalmente fornite di bottiglie di aceto (l'unico blando antidoto che si conosca) e attrezzate con reti. Si consiglia caldamente di fare il bagno solo all'interno delle reti, che tengono fuori i simpatici animaletti. Il tutto mi angoscia molto, e per sicurezza ho vietato alle bambine di fare il bagno, fuori o dentro le reti. L'orrida medusa in spiaggia non arriva, ed io mi aggrappo a questa certezza. Stiamo pensando anche di comprare le stingers-suits, mute integrali in lycra anti-puntura. Visti i costi, le compreremo solo alle bambine, e terremo per noi il brivido della sfida alla sorte.

martedì 25 marzo 2014

dieci cose che

Campaspe River rest area (Flinders Highway)
Elenco (parziale) di quello che è stato oggi. L'elenco (parziale) comprende ciò che la Famiglia in cammino ha avuto, visto o fatto:
1. Risveglio alle 6 (solo per la componente maggiorenne). A quell'ora iniziava ad albeggiare. Fuori dal camper c'era un gruppo di canguri grigi, che sono scappati appena hanno sentito aprirsi il portellone.
2. Sosta-colazione al parco giochi di Hughenden, gestito dai Lions. Bisogna dire che qui in Australia i Lions sono una potenza; quasi tutti i parchi di paese, di solito corredati di bagni, tavoli e barbecue, sono donati alla comunità e gestiti dai Lions. Una manna anche per i viaggiatori con bambini, tra l'altro.
3. Pazze corse sullo skateboard (la Grande). Pazzissime corse a piedi (la Piccola) e riapertura (sempre la Piccola) della ferita al ginocchio con cui combatto da un mese e che resiste a tutto: disinfettante, mercurocromo, bacini e cerotti.
4. Libro-attività sui dinosauri, malauguratamente donato alla Grande dall'addetta al museo dei fossili di Hughenden (siamo ancora in zona di ritrovamenti preistorici notevoli). Questo ha fatto sì che passassimo la serata a contare disegni di impronte, unire i puntini, cercare le parole nascoste. E pensare che odio l'enigmistica. La Grande l'adora.
5. Gita a piedi alla Porcupine Gorge, uno stretto canyon roccioso, sormontato da una spettacolare, e quasi perfetta, piramide di roccia naturale. Sotto la piramide di roccia scorre un torrente fangoso.
6. Lamentele (la Piccola) per il sentiero: solo 2 chilometri e mezzo, ma roccioso e in forte pendenza.
7. Bagno nel torrente fangoso, ma solo per i tre quarti della Famiglia. Io mi sono rifiutata con sdegno (mio) e dileggio (i tre quarti che erano a mollo).
8. Doccia per tutti con tanica appesa fuori dal camper. Perché posso sopportare di vedere la Grande e la Piccola nel fango, ma solo se penso intensamente alla tanica piena e alla doccia a cui le sottoporrò poco dopo. La tanica, inseparabile compagna di viaggio, è una borsa di gomma morbida, nera, che si appende fuori al sole in modo che l'acqua si scaldi. Non è altro che una versione più pratica del bidone che usavano i miei genitori, quando ci portavano al mare da bambini. Un giorno vorrei scrivere un'ode alla tanica, che salva la mia sanità mentale. Ammesso che la mia sanità mentale ci sia, o ce ne sia traccia.
9. Pasta al pomodoro alle 4 del pomeriggio, cioè dopo la passeggiata, il bagno, la doccia e sotto un acquazzone torrenziale. Lo so che gli allevatori aspettavano la pioggia da due anni. Tuttavia trovarmi sotto l'unica pioggia degli ultimi due anni non mi ha particolarmente entusiasmato. Al contrario il Papà, che è uomo di animo nobile, riusciva ed essere contento per gli allevatori.
10. Affannosa ricerca, sotto il diluvio universale, di una pompa di benzina e poi di un'area di sosta sulla strada verso il mare.
Vieni via con me. Così si intitolava la trasmissione di Fazio e Saviano in cui leggevano elenchi su qualsiasi cosa. Mi è venuta improvvisamente in testa stasera, mentre cenavamo, chiusi nel camper per evitare la pioggia.

lunedì 24 marzo 2014

fossil hunting

Richmond
I pappagalli producono un rumore infernale. Fanno cacche enormi e rubano il cibo dal tavolo. Eppure, dopo due mesi e più, non ci siamo ancora stancati di vederli. Al tramonto sono uno spettacolo: si riuniscono in grandi stormi e volano tutti insieme, urlando, aprendo le ali grandi, alla ricerca di un albero dove dormire. Li guardiamo durante la cena, sulle rive di un piccolo lago.
Ci troviamo nella capitale australiana dei dinosauri, sempre nell'outback.
Da qualche tempo la Grande ha una vera passione per i dinosauri. Nella nostra "verissima casa" ha una specie di enciclopedia, e io le leggo ogni sera una decina di descrizioni. Il suo preferito è il gallimimus, ma ne riconosce molti altri che io, ovviamente, ho dimenticato (confesso di non prestare troppa attenzione alle descrizioni che leggo).
Richmond è un paese minuscolo, un posto da cow boy affacciato sulla strada. C'è un motel, un piccolo negozio di alimentari, una rivendita di alcolici (in Australia le rivendite di alcolici sono sempre separate dai supermercati, perché c'è bisogno di una licenza a parte). Ma il museo conserva fossili spettacolari, tutti trovati a poca distanza da qui, spesso dai proprietari degli allevamenti. Ci avviciniamo e la Grande urla, tutta eccitata:- Un kronosauro! Nel mio libro c'è! In effetti l'ingresso del museo è segnalato dall'enorme ricostruzione (a grandezza naturale, in puro stile kitsch australiano) di un dinosauro acquatico. Dentro, i pezzi più notevoli sono due scheletri: uno, quasi completo, è appunto di un kronosauro; l'altro, sorprendentemente intero, è di un pliosauro. La vera sorpresa, però, è fuori: apprendiamo che nelle vicinanze c'è un'area dove è consentito il fossil hunting, ovvero la ricerca autonoma di fossili. Possiamo forse sottrarci? Baldanzosi e armati di palette di plastica, ci dirigiamo al sito. Non c'è nulla di clamoroso (sono già passate orde di scienziati, di viaggiatori, di turisti), ma in effetti è piuttosto facile trovare fossili di conchiglie. Raccogliamo qualcuna di queste pietre. Le bambine sono felici, e pensano già di mostrarle ai loro amici a scuola materna. Tra l'altro, il fossile che abbiamo trovato compare anche sulla guida, il che conferisce "scientificità" al tutto.
Ceniamo con le costolette di vitello che ci hanno regalato i proprietari della fattoria di ieri. Temo che la Grande e la Piccola non riescano a mangiarle, perché la carne è molto soda e ben attaccata all'osso. Timore superfluo: loro, imitando il Papà, tengono le costolette con le mani e sgranocchiano senza problemi. Io, armata di forchetta e coltello, che non mollo neanche per un attimo, faccio molta più fatica. Il sapore era ottimo, ma un cow boy non sarebbe fiero di me.

dove nuotano le mucche

West Leichardt Cattle Station
Dormiamo di nuovo in mezzo al bush, la sterminata campagna semi-desertica australiana. Sopra di noi c'è un cielo incredibile, senza nessuna luce che non siano le stelle. Ci fanno compagnia decine di enormi rospi, il che è una benedizione, considerata la voracità con cui mangiano gli insetti.
Affascinati dalle fattorie dell'outback, abbiamo trovato ospitalità in una cattle station (che significa appunto "luogo di allevamento"), sfidando una lunga strada sterrata col nostro povero camper. Rispetto alle consuetudini australiane, questa "station" non è molto grande: conta circa 7000 mucche, su 125 mila ettari di terreno. Le mucche non vengono allevate per il latte, ma solo per la carne; non vengono mai munte, ma vagano semi-libere (semplicemente marchiate). Periodicamente, vengono radunate con elicotteri e cavalli, poi selezionate e vendute, macellate o vive, in Australia e in Asia.
La fattoria è nata nel 1926 (e quindi, per gli standard di qui, è un luogo "storico". In effetti è più vecchia della vicina città di Mt Isa). È stata prima una fermata della diligenza, poi una stazione del telegrafo. La famiglia (allargata ad un gruppo di lavoranti), di cui fa parte anche un bambino di sei anni, vive in una specie di grande giardino, innaffiato costantemente (trenta metri sotto terra c'è una sorgente), in cui si trovano cani, capre e maiali.
Avevamo voglia di stare nell'outback, lontani dalla città, e di sperimentare un outback diverso, quello delle immense fattorie dell'entroterra. La Grande era rimasta molto affascinata dai filmati visti l'altro giorno alla School of the Air, e la sistemazione di oggi la rafforza nella convinzione che vivere in un'immensa fattoria sia la sua dimensione ideale. Oggi le bambine hanno fraternizzato col piccolo di casa, giocando per lunghe ore senza sentire la curiosità di chiedergli il suo nome (la Grande, invece, si è subito informata sull'età). Si sono dondolate su una corda appesa all'albero nel piccolo parco giochi (in verità un po' rustico) della fattoria. Hanno accarezzato le capre e osservato i maiali. Non abbiamo detto loro che i maiali, catturati selvatici, vengono nutriti per poco tempo prima di essere macellati e  trasferiti nella cella frigo (dove siamo anche entrati: vagamente impressionante) per le esigenze alimentari della famiglia. Uno dei padroni di casa (anche lui un po'... rustico, ma a suo modo gentile) ci ha regalato alcuni enormi pezzi di carne, raccomandandoci di cuocerla sul barbecue.
Nel tardo pomeriggio siamo andati a vedere gli enormi recinti dove vanno le mucche quando vengono radunate. Sul sentiero di ritorno, sotto l'arcobaleno (oggi abbiamo avuto un rapido acquazzone), la Piccola si è sentita pervasa di spirito poetico. Camminava, raccoglieva legnetti (una delle sue occupazioni preferite: non c'è modo di farla desistere) e chiacchierava (anche questa è una delle sue occupazioni preferite; anche in questi caso non c'è modo di farla desistere):- Io lo so perché esistono i sassi - diceva -  Qui ci sono tanti sassi... Ecco mamma, ho raccolto due sassi per te. Mettili in tasca e non li perdere. Se li perdi, te ne prendo altri. Qui ho trovato dei fiori. Guarda, mamma, questi fiori sono per te. Guarda i laghetti! In quei laghetti le mucche vanno a bere. Magari qualche volta le mucche nuotano coi loro vitellini... È vero che le mucche nuotano? Ecco altri due sassi grossi per te. Il non faccio mai regali a me. Non faccio mai regali a nessuno. Solo a te, mamma. Mamma, sei bellissima. Io volevo proprio questi genitori e questa sorella. I sassi mettili in tasca, così non li perdi. 

sabato 22 marzo 2014

gelosia gelosia

In assenza di amici, nonni e cugini, la Grande e la Piccola convogliano interamente su di noi il loro enorme potenziale di abbracci, baci e coccole varie. Non importa se ci sono 40 gradi e noi siamo tutti sudaticci: le bambine vogliono essere prese in braccio, accarezzate e strapazzate. Il problema maggiore è che baci, mordicchi e grattatine vanno distribuiti in maniera assolutamente equa, altrimenti succede il finimondo. Quanto a contabilità delle coccole la Grande è una scienziata. Se prendo in braccio la Piccola e la tengo qualche secondo di troppo, lei si mette di lato, mi guarda torva e incrocia le braccia. La stai mangiucchiando da un sacco di tempo! Sono gelosa! Mormora. A volte mi sembra di tornare a tre anni fa, quando la Piccola era appena nata e la Grande manifestava il sul disappunto lanciando i piatti (pieni di cuscus) in giro per la cucina. Ora la Grande è ancora gelosa, e in più lo è anche la Piccola: poiché lei è donna di azione e non di elucubrazione, se ritiene che il bilancio-coccole sia a suo sfavore passa alle vie di fatto e cerca di menar le mani.
La gelosia si estende anche a me e il Papà. Se ci teniamo per mano scattano rappresaglie. La Grande, oltretutto, è convinta della teoria per cui "il matrimonio è la tomba dell'amore". Oggi, mentre mangiavamo una deliziosa anguria, è esplosa: - Ti ho sentito! - mi ha detto - lo hai chiamato "amore"!
- Beh, sì..   
- Non puoi chiamare così il Papà. I tuoi amori siamo solo io e la Piccola.
- Ma scusa, e il Papà no? Non dimenticare che è mio marito...
- Appunto. Prima di sposarsi ci si bacia, si fanno le coccole e ci si chiama "amore". Poi basta. Voi siete già sposati, quindi la dovete smettere.
Oggi ultima giornata a Mt Isa. Sulla costa il tempo non migliora, ma domani partiamo lo stesso. Oggi il campeggio si è riempito di viaggiatori, soprattutto persone anziane con camper e roulotte. In Australia ce ne sono tantissimi, di questi arzilli vecchietti che vanno in giro inseguendo il caldo e godendo del loro immenso paese. Di solito sono anche simpatici. Si fermano, ci chiedono di dove siamo. Si stupiscono perché veniamo da molto lontano e fanno i complimenti alle bambine. Poi ci si saluta e ognuno riprende la sua strada.

venerdì 21 marzo 2014

per ardua ad caelestia

Guardiamo le previsioni del tempo e non ci decidiamo a muoverci da Mt Isa: sulla costa, zona tropicale, la stagione delle piogge non è ancora finita e ci sono continui temporali. Qui è un paradiso. Non fa troppo caldo (massime sui 36-37 gradi), è ben ventilato e non ci sono mosche. Questa ci sembra una gran liberazione. Il lato negativo è che invece è pieno di zanzare; la sera dobbiamo chiudere di continuo la porta del camper, e consumiamo litri di repellente. Il Papà, di cui le zanzare sono particolarmente ghiotte, dalle 6 del pomeriggio in avanti indossa pantaloni lunghi e calzini. In compenso io e le ragazze trascorriamo 24 ore al giorno in canottiera e a piedi nudi. Il campeggio è tranquillo, abbiamo il bagno e la piscina. Ci prendiamo una pausa di vacanza in questo viaggio meraviglioso ma impegnativo. La Famiglia in cammino si gode tutto, ma può fare a meno di tutto: domani o dopodomani ripartiremo in ogni caso per la costa, e riprenderemo a dormire dove capita, facendo la doccia con le taniche.
Riprende quota il sogno di trasferirci qui: mentre io non desidero altro che una casa ad Alice Springs (ma il Papà sistematicamente mi riporta coi piedi per terra), la Grande è veramente colpita dalle fattorie. Tutto questo lato del Queensland è zona di allevamento. Ci sono fattorie enormi, con migliaia di animali, spesso in totale isolamento. Per i bambini che vivono in posti del genere, a Mt Isa esiste la School of the Air. La scuola ha una novantina di bambini dai 6 ai 12 anni, alcuni a migliaia di chilometri da qui, che seguono le lezioni con collegamento via computer e telefono. Assistere ad una lezione via etere è impressionante: ogni docente ha una sua stanza insonorizzata, da cui segue piccoli gruppi di bambini, interagendo con loro attraverso le cuffie e lo schermo. Gli scolari usano il materiale fornito periodicamente dalla scuola (che infatti ha un ufficio postale interno) e studiano da casa. Dopo aver visto un filmato sulla vita di questi bambini dell'outback, la Grande si è innamorata: oltre a seguire le lezioni "on air", i suoi coetanei si occupano delle mucche, strigliano i cavalli e puliscono i maiali. Se occasionalmente devono spostarsi, di solito lo fanno su mini-aerei guidati dai loro genitori. La Piccola ha seguito la visita alla scuola, ha sentito in cuffia una parte di lezione, poi ha chiesto quando potrà tornare nella sua "verissima scuola", che evidentemente ritiene preferibile. La Grande ha chiesto di potersi iscrivere in prima elementare alla School of the Air. L'idea di vivere nel deserto, puzzare di mucca, seguire le lezioni da casa, per lei ha un fascino incredibile.
Io ho delle riserve sulla puzza di mucca, ma sono molto colpita dalla scuola e dall'entusiasmo dei colleghi. Non sono convinta che una lezione via etere valga quanto vedersi in un'aula, ma trovo ammirevole lo sforzo: la School of the Air ha circa 30 insegnanti per 90 bambini. Organizza incontri periodici che richiedono viaggi in aereo. Spedisce quintali di materiale cartaceo. Tutta la  struttura sembra avere costi non indifferenti, e le famiglie non pagano niente, è tutto gestito con fondi pubblici.
Che ci siano ancora Stati che investono sull'istruzione? Possibile?
Ce ne andiamo e ripenso al motto che la scuola ha scelto. L'Australia è un paese anglofono; ma nel logo c'è una frase in latino.

giovedì 20 marzo 2014

una loro idea

La Piccola nuota. Nuota dove non tocca, senza paura e senza braccioli. Non siamo stati noi ad insegnarglielo. È stata sua sorella maggiore.
Incantati dal lusso del bagno privato, rinfrescati dalla piscina, desiderosi di prolungare l'estate (sulla costa, dove ci stiamo dirigendo, il tempo non è così bello) ci siamo fermati una notte in più a Mt Isa. La cittadina ha un fascino strano. Ha solo 90 anni ed è completamente in funzione dell'uranio e dell'argento, che si estraggono qui vicino, poco oltre la periferia. Siamo sempre in mezzo al nulla, in una zona semi-desertica, ma l'insediamento è piuttosto grosso. Grosso per le misure australiane, si intende, perché gli abitanti sono più o meno ventimila e quindi questo per noi è un paesone, più che una vera città. Non c'è molto da vedere e ne approfittiamo per una sosta-riposo. Mettiamo un po' di ordine nel camper, che è perennemente pieno di polvere e c'è roba buttata ovunque. Laviamo mutande, asciugamani e lenzuola. Prendiamo il sole a bordo piscina, mentre le bambine sguazzano.
Ad un certo punto oggi abbiamo sentito la Grande urlare emozionata: Guardate! Nuota da sola! Guardate! Abbiamo sollevato lo sguardo. I braccioli erano fuori dall'acqua. La Piccola si buttava dal bordo della piscina, sul lato meno profondo, percorreva due-tre metri e raggiungeva la Grande. La Grande, che invece toccava (è 11 centimetri più alta della Piccola, il che può fare la differenza), la aspettava a braccia tese, la sollevava, la faceva riposare. È stata una loro idea. Io avrei detto che 3 anni sono troppo pochi per nuotare. E invece.
Avrei voluto rimproverarle per aver tentato l'esperimento senza dirci nulla. Avrei dovuto rimproverare la Grande per aver tolto i braccioli a sua sorella, per averle detto "ce la puoi fare". Ma erano troppo felici e non ci sono riuscita. La Piccola si sentiva capace, e libera. La Grande era al colmo dell'emozione, e rideva e gridava: Guardate, nuota! Nuota senza braccioli! E sono stata proprio io ad insegnarglielo!

mercoledì 19 marzo 2014

lusso inaspettato

Mt Isa
- Noi siamo quasi come Peppa Pig e George, vero?
- Ragazze, sapete che anche in questa cittadina ci sono miniere?
- Domani non ho nessuna intenzione di alzarmi presto. Ritengo di aver già dato, stamattina.
- Perché Peppa e George sono sempre bravi, noi invece qualche volta facciamo le cattivelle...
- Ma si possono visitare?
- Cosa?
- Le miniere!
- Mamma, è vero che noi non siamo proprio sempre brave?
- Mah, sempre no... Però siete due brave bimbe.
- Ho fatto una macedonia di papaya. Sentirete che buona. Però potevamo prendere anche un po' d'uva...
- A sette dollari al chilo? Neanche sotto tortura. E poi l'hai appena detto, la papaya sarà buonissima.
- Mettiamo il repellente? Sento le zanzare che mi ronzano nelle orecchie.
- Cosa estraevano in queste miniere?
- Ora te lo metto. Finisci prima la carne. 
- Posso avere ancora pomodorini? 
- Ma ne hai già mangiati duecento!
- Posso andare in bagno, allora? 
- Anch'io, anch'io in bagno!
- Ragazze, è la decima volta che andate in bagno. Devo agitarmi?
- No, è che... è talmente bello andare in bagno da sola!
La Famiglia in cammino chiacchiera. Sarà che tre quarti dei componenti sono donne, sarà che siamo orgogliosi della nostra piccola isola linguistica, fatto sta che parliamo tutto il giorno. In situazioni come la cena, questo può diventare un problema: affrontiamo decine di argomenti contemporaneamente, e il tutto rischia di diventare una marmellata incomprensibile. Oggi, tuttavia, un argomento di conversazione emergeva sugli altri, ed era il bagno privato. Avendo percorso 700 chilometri in un giorno, abbiamo deciso di premiare le bambine sistemandoci per una notte in un campeggio con piscina. Il campeggio offre piazzole per camper con bagno privato. Dietro la nostra portiera, cioè, c'è un bagno con doccia (e chiave) riservato solo a noi. La scoperta è stata stupefacente: da due mesi, poiché il camper non ha un bagno, accompagno sempre io le ragazze al gabinetto, in modo che non si appoggino e non si sporchino. Loro, tuttavia, risentono della mancanza di privacy. Qui, data una piccola passata col disinfettante, con la sicurezza di essere solo noi ad usare il servizio, ho permesso loro di andarci da sole. Del resto avere un bagno a disposizione, un vero bagno, è un lusso non da poco. Quando saremo tornati nella nostra "verissima casa", considererò sotto una luce nuova il mio accappatoio appeso, gli spazzolini da poter lasciare sul lavandino, e la meravigliosa possibilità di fare la doccia in solitudine.
Siamo nello Stato del Queensland. Ci dirigiamo verso Est e verso l'oceano. Oggi siamo partititi alle 6 e abbiamo guidato fino al pomeriggio. Alle 17, quando le bambine si sono buttate in piscina urlando di gioia, la temperatura era ancora vicina ai 40.

martedì 18 marzo 2014

partenze all'alba

Tennant Creek
In Australia le distanze sono incredibili. Fra una cittadina e l'altra ci sono centinaia e centinaia di chilometri. Le lunghe percorrenze non sono uno sfizio, ma una necessità. Questo vale soprattutto per la vasta zona centrale, ancor meno densamente popolata della costa. Per minimizzare il disagio alle bambine (anche per biechi motivi egoistici: se loro si annoiano troppo, cominciano ad urlare e il nostro minuscolo camper diventa un inferno) in questi giorni sperimentiamo la tecnica della partenza all'alba. Ci svegliamo alle 6, mentre le bambine dormono al piano di sopra. Le spostiamo nel nostro letto, al piano di sotto (detta così sembra che gli spazi interni siano infiniti. In realtà è solo che il camper, di notte, si trasforma in un unico letto a castello matrimoniale, dove non c'è più spazio neanche per girarsi). Quindi partiamo. In questo modo riusciamo a fare i primi 200 chilometri prima del loro risveglio, che avviene verso le 8.30. A quel punto troviamo un'area di sosta, ci fermiamo e facciamo colazione. Guidare al mattino presto implica una grande attenzione agli animali, ma per il resto non è faticoso e non è difficile. Dopo un paio di mesi, ci siamo perfino abituati alla guida sulla corsia di sinistra, che non ci sembra più tanto sbagliata. Io confesso di avere ancora qualche problema con le rotatorie, che sono ovviamente da prendere al contrario, mentre il Papà è agilissimo su tutte le manovre. Il camper ha il cambio automatico, cosa che facilita la guida, anche se sembra di stare al volante di una macchina per bambini. Alcuni comandi sono posizionati al contrario: ogni volta che voglio mettere la freccia aziono il tergicristallo, ma questi sono dettagli. Il Papà, ovviamente, ha preso dimestichezza anche con questo.
Di solito ci fermiamo a mangiare un panino verso le 2, e cuciniamo per bene solo la sera: il camper ha due fornelli soltanto, di cui uno funziona male. Preparare da mangiare è una fatica a cui preferiamo sottoporci solo una volta al giorno.
Ci siamo spostati a nord e ora siamo a Tennant Creek. Il paese è tutto raccolto intorno alla strada ed è a maggioranza aborigena. Visitiamo il centro culturale: le bambine sono molto colpite dalla varietà di piante di cui i nativi riuscivano a servirsi per mangiare e per curarsi. Il bush, che a noi sembra così arido, offre invece "patate", "pomodori", "prugne".
Sulla strada ci siamo fermati al centro artistico di Ali Curung, un po' remoto ma molto interessante. Domani partiamo di nuovo alle 6 e puntiamo a est, verso il Queensland e verso il mare. Un po' mi dispiace lasciare il deserto, dove ho trovato la mia dimensione: temperature sopra i 40 gradi, vento secco e grandi possibilità di incontrare la cultura aborigena. Oltretutto il Queensland è il luogo in cui vive la terribile medusa a scatola, che popola i miei incubi da quando eravamo ancora in Italia. È vero, anch'io so essere velenosa, ma non ci tengo a misurarmi in uno scontro diretto...

l'età del goanna

McDouall Stuart Memorial rest area (Stuart Highway)
Sono ossessionata dall'età. Su 365, il giorno del mio compleanno è il peggiore. Ho festeggiato l'ultima volta per i 17 anni. Già a 18, il giorno del tema di greco all'esame di maturità, sentivo incombere la vecchiaia.
La Grande è ossessionata dall'età, ma in un senso del tutto opposto. Non vede l'ora di crescere. Mi chiede decine di volte al giorno quando inizierà a perdere i denti da latte. A tutti i bambini che incontra chiede, prima del nome, l'età. Mi chiede la taglia dei vestiti che indossa. L'altro giorno le ho comprato una maglietta "8 anni" e ne parla con vero orgoglio. Per questo è rimasta parecchio colpita nel sentire che Ruby ha 6 anni, come lei. Ruby ha scaglie grigiastre, un aspetto poco rassicurante ma un atteggiamento paziente e amichevole. È una femmina di goanna, mascotte del rettilario di Alice Springs. A differenza degli altri animali, Ruby è libera di girare per le sale, torna nella sua cuccia come un gattino e riceve le carezze dei visitatori. Oggi, fra la Grande e la Piccola, ha fatto il pieno di coccole per tutta la vita.
I musei australiani hanno sempre un approccio immersivo-interattivo-giocoso, il che per i bambini è un gran divertimento. Nei centri di conservazione si può dar da mangiare ai canguri, negli acquari si prendono in mano granchi giganti. Al rettilario, naturalmente, si prendono in mano i rettili. Oltre al giovane goanna (un lucertolone lungo un metro, ma che ha ancora margine di crescita), le bambine hanno preso in mano un'altra lucertola, più piccola, con testa a rombo e scaglie puntute. La Grande  e la Piccola, sollevando le braccia coi palmi aperti, hanno finto di essere alberi. La lucertola ci è cascata ed è rimasta volentieri aggrappata alle loro braccia. Poi è stata la volta del pitone. Una bestia lunghissima e pensante 7 chili, con la pelle stranamente compatta e liscia, che si strusciava sinuoso contro le braccia della Grande e della Piccola: Guarda, il serpente ci fa le coccole! commentava la Grande sorridendo. Il rettilario ospita naturalmente molti altri animali, fra cui tanti serpenti velenosi. Vederli, anche solo dietro ad un vetro, per me era vagamente inquietante. Le bambine, ovviamente, si divertivano come matte. Ci hanno chiesto più volte di portare un serpente nella nostra "verissima casa", ma per varie ragioni non credo che sia una buona idea.
Prima di lasciare Alice Springs ci informiamo sul tragitto per Utopia, la zona aborigena da cui provengono i quadri di cui ci siamo innamorati. Pare che Utopia sia l'unica area australiana sempre rimasta in mano agli aborigeni. Purtroppo le strade per arrivarci sono percorribili normalmente solo con fuoristrada, e attualmente sono chiuse perché allagate da alcuni forti acquazzoni degli ultimi giorni. Niente da fare. Ci dirigiamo allora verso nord, percorrendo circa 200 chilometri. Qui l'autostrada non ha illuminazione e non ha guard-rail (attenzione agli animali!); non ha nemmeno limiti di velocità, solo qualche cartello che invita a guidare "in base alle condizioni". Noi comunque notiamo che il camper oltre i 100 all'ora consuma ancor più della sua media, e quindi teniamo il piede molto leggero. Nel Northern Territory la presenza aborigena è molto forte, e non perdiamo la speranza di incontrare qualche comunità.

domenica 16 marzo 2014

la clonazione

Nove anni fa, prima di invecchiare, prima della Grande e la Piccola, prima che tutto avesse inizio, avevo detto al Papà che avrei passato la vita a raccogliere quello che lui sparpagliava in giro. Niente di più vero e di più facile: il Papà è uno specialista dell'amnesia. Dimentica di tutto: ombrelli, calzini, chiavi e portafogli. Il bello è che ha anche una fortuna sfacciata: dimentica, ma poi ritrova. L'altro giorno, in una gigantesca stazione di servizio, ha lasciato su un tavolo esterno il suo marsupio, contenente telefono, telecamera piccola, obiettivi di una macchina fotografica (non la mia, che a custodire quella ci penso io). Circa mezz'ora dopo un signore anziano lo ha raggiunto, chiedendogli se il marsupio fosse suo. Dentro c'era ancora tutto. In Australia la piccola delinquenza non esiste. La gente parcheggia l'auto e la lascia aperta, con le chiavi inserite. Chiude la porta di casa per dormire e non gira la chiave. Entra in negozio e lascia il portafogli fuori, nel portapacchi della bici.
In compenso, qualche simpaticone ha clonato la nostra carta di credito. Negli ultimi due giorni risultano spese per più di mille euro, effettuate - così pare - in Italia, probabilmente per acquisti on line. Siamo certi di essere in Australia e di non aver autorizzato spese folli su internet (tra cui settecento euro in un unico acquisto!), quindi quelle spese non le abbiamo fatte noi.
Ma che meraviglia: mente noi risparmiamo sull'acqua (avevamo superato i 30 dollari al giorno in acqua minerale, siamo passati all'acqua delle fontane), qualche truffatore ha speso alcune centinaia dei nostri euro.
La banca ci assicura che, documentando tutto per bene, l'assicurazione provvederà a rifonderci le spese. Forse non saranno nemmeno addebitate. Ma intanto siamo qui, in mezzo al deserto australiano, a combattere con estratti conto e centralini (e la differenza del fuso orario rende tutto un po' più difficile).
Non siamo, tuttavia, particolarmente abbattuti (molto seccati sì, però). Sarebbe stato peggio se l'altro giorno non ci avessero riportato il marsupio del Papà. Sarebbe stato peggio se non ci fossimo accorti della clonazione. Sarebbe stato peggio se, per paura, ce ne fossimo rimasti a casa nostra. Gli imprevisti fanno parte del viaggio. Il ladro è solo un ladro, a fronte di decine di australiani che continuano ad essere simpatici e accoglienti.
Oggi abbiamo passato la giornata a combattere con le mosche e a cercare pitture rupestri nelle grotte intorno ad Alice Springs. Siamo arrivati ad un sito magnifico: sulla volta di una grotta sono dipinte alcune larve stilizzate: le larve facevano parte del patrimonio di leggende degli aborigeni, e anche della loro dieta. È stato emozionante camminare alla ricerca dei segni rossi sulla pietra. Del resto oggi la temperatura aiutava: solo 40 gradi.

sabato 15 marzo 2014

nostalgia nostalgia

La Grande e la Piccola stanno bene. Sono affascinate dalle storie degli aborigeni, adorano la doccia serale e il parco sempre a pochi metri. Accarezzano gli animali e si divertono a dormire nel camper, nel letto matrimoniale al piano di sopra (anche se ogni tanto, quando non è così stanca da crollare immediatamente, la Piccola tormenta la Grande). Amano il suono della lingua inglese, amano sporcarsi in libertà.
Ma hanno anche nostalgia, inutile negarlo. Hanno nostalgia dei loro amici, dei Pan di Stelle, della pecorella di peluche.
Hanno soprattutto nostalgia dei nonni. Guardano, con occhi ardenti di desiderio, qualsiasi signora di mezza età nel raggio di un chilometro. Si buttano in braccio a chiunque rivolga loro un sorriso (il che non sempre mi rende felice). Vanno in brodo di giuggiole per i complimenti educati di qualsiasi sconosciuta.
Non oso pensare al momento in cui, fra un mese, rivedranno i loro "verissimi nonni".
Probabilmente li assaliranno di abbracci. Poiché la vita all'aria aperta le ha rese un po' selvatiche, saranno probabilmente abbracci feroci. Per proteggere la salute dei nonni, stiamo pensando di farli vedere da lontano prima dell'incontro vero e proprio.
Dedicheremo quest'ultimo mese australiano alla pianificazione di una strategia di avvicinamento indolore.
Ci siamo fermati in mezzo al deserto, ad Alice Springs. Siamo di nuovo immersi nella cultura aborigena, che qui è soprattutto arte. Ci sono numerose gallerie (alcune delle quali gestite da cooperative aborigene) di quadri e sculture. Ho trascinato le bambine a vedere una quantità di piccoli musei, ritratti, pitture. Abbiamo imparato a riconoscere i simboli della danza, del cibo, degli insetti. Sappiamo ora che la maggior parte degli artisti aborigeni è donna, il che ci fa apprezzare i dipinti ancora di più. Abbiamo letto decine di pannelli sulle cerimonie, sui riti di passaggio, sulle leggende dei nativi. Ci siamo innamorati (la Famiglia in cammino si innamora spesso e volentieri) di Lena Pwerle, un'anziana madre di cinque figli che dipinge simboli di sorgenti d'acqua. Ci siamo innamorati di Mary Morton, che ha come soggetti i semi e gli insetti del deserto. Entrambe vivono nella regione selvaggia di Utopia (bellissimo nome, fra l'altro), dove gli aborigeni mettono ancora in scena le loro danze, e l'ingresso ai non-aborigeni è impossibile. Lena nel suo villaggio è un'autorità. Quando arriva la si sente, perché urla di continuo. Mary è stata la seconda moglie di un marito anziano. L'abbiamo vista in foto, che ballava col seno dipinto. Abbiamo visto anche le foto di Lena, che ha fianchi abbondanti e ormai pochi denti. Dopo il tour de force culturale, io e il Papà ci sentivamo felici. L'arte aborigena ci lascia ogni volta a bocca aperta. La Grande e la Piccola erano stremate. Forse è per questo che si è fatta sentire la nostalgia dei nonni...

venerdì 14 marzo 2014

sul ciglio del burrone

Alice Springs
Abbiamo trascorso la serata di ieri, mentre i dingo affamati gironzolavano intorno alla nostra cena, a preparare la Grande e la Piccola; abbiamo detto loro che il sentiero sarebbe stato interessante, ma faticoso. Per rafforzare la motivazione, abbiamo promesso il gelato alla prima stazione di servizio.
Questa mattina ci siamo svegliati alle 6 (mai che si dorma, durante questo viaggio...) e siamo partiti alle 7 per il giro sul Kings Canyon, una delle meraviglie naturali dell'Australia centrale. Il percorso è lungo 7 chilometri, e un sentiero vero e proprio non c'è. Bisogna seguire le indicazioni e camminare sulle rocce, stando molto attenti a non allontanarsi dal tracciato, perché il canyon precipita a strapiombo per centinaia di metri, e non ci sono transenne di protezione. Il primo pezzo è di salita molto ripida. Ci sono dei gradini naturali, ma a tratti anche io e il Papà siamo costretti ad aiutarci con le mani. Siamo favoriti dalla temperatura (alle 7 il sole è appena sorto e fa ancora fresco), ma le mosche sono già sveglie, attive e assillanti. Raggiungiamo, tuttavia, la cima della salita e cominciamo a guardarci intorno. Il canyon è un enorme burrone di forma ellittica, con anfratti naturali e perfino un laghetto interno, circondato da piante, in una gola.
Prima di proseguire, tanto per rafforzare la motivazione (il problema dei bambini in montagna non è la fatica, ma la noia), distribuisco generose dosi della bibita energetica, dall'inquietante colore blu, che ho comprato per le bimbe. Il Papà racconta loro che è una pozione magica. Loro bevono, apprezzano e riprendiamo il percorso.
All'inizio camminiamo sul ciglio del burrone e siamo terrorizzati da eventuali colpi di testa della Piccola. Per sicurezza, il Papà le lega intorno alla vita una corda e la tiene come al guinzaglio. Dopo varie soste panoramiche raggiungiamo il cosiddetto "giardino dell'Eden". È uno stagno spettacolare, scavato nella roccia. Verrebbe voglia di fare il bagno, se non fosse vietato: gli aborigeni, che da sempre sfruttano questo bacino (un luogo di raccolta dell'acqua piovana) come un dono di sopravvivenza nel deserto, permettono di bagnarsi il viso e le mani, ma non di entrare  nello stagno, in modo che l'acqua si mantenga pulita. Qui facciamo una lunga sosta. Mangiamo biscotti e mele. Le bambine si divertono come matte a prendere e liberare le piccole rane che circondano il bacino. Riprendiamo la camminata e risaliamo lungo l'altro lato del canyon. Il panorama è sempre mozzafiato, ma ora fa caldo e le bambine sono stanche. La Piccola comincia a piangere. Mi allontano dal ciglio del burrone e la prendo in braccio. Lo sconforto dura poco: anche lei finisce il percorso con le sue gambe. Arrivate al camper, la Grande e la Piccola crollano addormentate. Al risveglio, rispettiamo la promessa del gelato.
Era dall'inizio del viaggio che io e il Papà pensavamo alla passeggiata di oggi. Avremmo voluto andarci tutti insieme, ma non eravamo certi che la Piccola fosse in grado. Come sempre, coi bambini, tutto sembra più difficile di quello che è.
In serata arriviamo ad Alice Springs.
Siamo nel centro dell'Australia.

cena coi dingo

Kings Canyon
Pur nel variegato panorama delle stazioni di servizio australiane, quella di oggi aveva dell'incredibile: a Kings Creek si può fare il pieno (nel Northern Territory, ahimè, benzina cara quasi quanto in Italia. E il nostro camper fa 8-9 km con un litro) ma anche organizzarsi una passeggiata sul dromedario. Si può mangiare un hamburger di coccodrillo, ma anche prenotare un volo panoramico in elicottero. Soprattutto, si può aiutare un'organizzazione umanitaria che manda i ragazzini aborigeni a studiare ad Adelaide. Il primo proprietario della stazione di servizio, arrivato qui nel 1981, si è accorto che i bambini del vicino villaggio non avevano reali opportunità di studiare. Stavano in un'unica scuola, dai 4 ai 15 anni, e ne uscivano senza nemmeno saper scrivere il loro nome. Così ha fondato la Conways' Kids, che è tuttora in attività. Naturalmente abbiamo lasciato il nostro piccolo contributo. Ci chiediamo sempre come, e perché, un popolo così affascinante sia rimasto di fatto ai margini della propria terra.
Dormiamo nel parco naturale Watarrka, famoso per i rettili e per i dingo. Oggi abbiamo visto il nostro primo goanna, un'enorme lucertola di due metri che ha attraversato la strada davanti a noi. In questa zona dell'Australia ci sono più specie di rettili che in ogni altra parte del mondo. I dingo, invece, sembrano grossi cani selvatici, con pelo giallastro e istinto da lupi. Ovunque ci sono cartelli che invitano a non avvicinarli, a non dar loro da mangiare, e men che meno toccarli. La difficoltà è stata tenere a bada le bambine, visto che i dingo sono ovunque intorno a noi, e naturalmente la Grande e la Piccola avrebbero voluto accarezzarli, o almeno provarci. Ma si tratta pur sempre di animali selvatici, e quindi le ho tenute ben distanti; nel frattempo i dingo, con aria affamata, giravano intorno al tavolo della nostra cena. La Grande e la Piccola vorrebbero un cane, quindi si sentivano particolarmente coinvolte. Non credo, però, che un selvaggio cane-lupo australiano sia quello che fa per noi. Fino ad oggi non avevamo mai visto i dingo in libertà, perché in altre zone dell'Australia non ci sono. Nel South Australia esiste addirittura una lunghissima rete-barriera, la cosiddetta "dog fence", costruita con lo scopo di non far passare i dingo da nord a sud.
A pochi chilometri da noi c'è il Kings Canyon, un luogo spettacolare e incredibile, con sentieri a strapiombo, laghetti incontaminati (dove è ovviamente vietatissimo fare il bagno) e panorami mozzafiato. Il sentiero per esplorarlo è lungo 6 chilometri, e in ripida salita nel primo tratto. Questa volta abbiamo pensato di coinvolgere le bambine nell'esplorazione, quindi domani ci alzeremo tutti presto per dare l'assalto alla scalata prima che la temperatura salga troppo (oggi comunque è stato fresco: solo 39 gradi la massima). Domani la Famiglia in cammino camminerà.

mercoledì 12 marzo 2014

palya

La Famiglia in cammino pensa che scalare Uluru non solo sia poco rispettoso (per gli Anangu la montagna è sacra) ma anche veramente stupido: la roccia è ripida e scivolosa, e in alto non c'è nulla da vedere. Gli Anangu, tra l'altro, non hanno mai visto Uluru dall'alto. La vera esperienza è il sentiero che gira intorno alla montagna. È lungo 11 chilometri (per quanto si tratti di un monolite - cioè una singola pietra - Uluru è grande come una montagna) e passa vicino a pozze d'acqua, siti di pitture rupestri, grotte in cui si riunivano gli anziani intorno al fuoco, tanto che la volta è annerita dal fumo. Il problema è che per 11 chilometri ci vogliono due ore e mezza di camminata, in mezzo alle mosche e con la temperatura a 40 gradi. Non ce la sentiamo di proporre l'intero tragitto alle bambine, nemmeno alla Grande. Dopo giorni di riflessione, di idee strambe, di ripensamenti, abbiamo optato per la seguente quadratura del cerchio: io e il Papà abbiamo percorso il sentiero da soli, uno per volta in giorni diversi. Entrambi siamo partiti all'alba, in modo da camminare per la prima parte al fresco e senza mosche (le malefiche si svegliano, tutte insieme, col sole). Nel frattempo, l'altro genitore rimaneva con le bambine ancora addormentate nel camper. Tutto molto intelligente, se non fosse che da due giorni ci alziamo alle 5.
Ieri è stata la volta del Papà. Oggi era il mio turno.
La camminata intorno a Uluru (Ayers Rock) vale il viaggio. Ad ogni anfratto della pietra è legata una leggenda. In ogni grotta ci sono pitture. Nei luoghi più impensati si nascondono pozze d'acqua che raccolgono naturalmente la pioggia. Per gli aborigeni questo luogo non era solo una spettacolare meraviglia della Natura (cosa che del resto è ancora oggi): era garanzia di vita. Acqua, ombra, riparo. A Uluru c'è tutto. Nel pomeriggio abbiamo portato la Grande e la Piccola a visitare qualche luogo significativo della roccia: non volevamo, in ogni caso, che perdessero l'opportunità. C'è la grotta in cui si riunivano le famiglie. La volta sotto cui le madri insegnavano alle figlie. Un anfratto dipinto con le mani che veniva usato dagli anziani come lavagna, per insegnare ai ragazzi la sopravvivenza nel deserto. La Grande lo ha ribattezzato "la scuola degli aborigeni" e vorrebbe assolutamente andarci. Che si tratti di una piccola caverna dipinta, dove da decenni non entra più nessuno, non la turba. Si sente pronta a raccogliere frutti commestibili e acqua potabile, oltre che a badare a sua sorella (il che, confesso, ogni tanto non sarebbe male).
Da qualche giorno raccontiamo leggende aborigene. Abbiamo capito che il corvo è nero perché è caduto nel fuoco e si è bruciato le piume, che il pappagallo bianco è arrabbiato con l'aquila e che le le pleiadi una volta sono scese sulla terra. Abbiamo anche imparato una parola aborigena: palya. Ciao.

martedì 11 marzo 2014

il deserto

Come si sente che l'Australia è un continente. Poche settimane fa eravamo in Tasmania, nel pieno dell'estate, e tenevamo addosso la felpa per tutto il giorno. La sera aggiungevamo la giacca a vento. La notte ci chiudevamo nei sacchi a pelo, e usavamo anche una copertona di lana.
Ora l'estate volge al termine, ma noi siamo nel deserto. Ieri e oggi il termometro ha segnato 46 gradi. Il dato in sé non mi fa impressione: a Catania ho già sperimentato un caldo simile. A Catania, tuttavia, ho sempre avuto una casa in cui riparare la Grande e la Piccola nei momenti più caldi. Una casa con fresche mura. Qui abbiamo il camper. Ma il camper non ha l'aria condizionata (il criterio della scelta è stato il risparmio); gli alberi sono pochissimi ed è difficile trovare un posto all'ombra, quindi cercare ristoro nel camper è come cercarlo in un'auto parcheggiata al sole.
La prima emergenza è quella dell'acqua: consumiamo circa 18 litri d'acqua al giorno solo per bere (il conto è subito fatto, perché sono due confezioni da 6 bottiglie grandi al giorno). Dobbiamo quindi comprare acqua ogni mattina, perché il camper è piccolo e non riusciamo a portare con noi più di due casse di acqua potabile. Non siamo gli unici ad avere questo problema, quindi le bottiglie vanno comprate al mattino presto, altrimenti i supermercati le finiscono ed è un dramma.
Per limitare il consumo di acqua, spesso nei campeggi la doccia costa 20 centesimi. La cifra è del tutto simbolica, ma il problema è avere sempre con sé una moneta da 20. Del resto fare la doccia durante il giorno non serve a molto. Dà sollievo sul momento, ma poi si suda il doppio. Meglio rimanere un po' appiccicosi fino a sera. Il vero ristoro è soltanto la doccia di sera.
Durante il giorno la Grande e la Piccola mangiano molto poco. Quasi mai hanno fame, il che per loro è stranissimo. Quando cala il sole, però, diventano due lupi, anzi, due dingo. Ieri sera abbiamo fatto mezzo chilo di pasta per quattro. Io ne ho prese solo due forchettate. Il resto se lo sono diviso gli altri tre quarti della Famiglia. La Grande e la Piccola avevano porzioni più abbondanti di quella del Papà.
La Piccola è sempre fiacca e assonnata. Di giorno fa il pisolino, ma poi si sveglia in un bagno, letteralmente un bagno, di sudore. Quando si alza, la sua canottiera va strizzata.
All'assillo delle mosche si è aggiunto quello delle formiche rosse. Malefiche formiche sparse ovunque, che salgono sui piedi e mordono. Per fortuna non iniettano veleno, quindi il dolore passa subito. Ma io continuo a chiedermi come mai il governo australiano non vari un piano di sterminio degli insetti.
Anche oggi giornata di immersione nella cultura aborigena. La Grande e la Piccola non fanno che parlare di pittura sul corpo, di danza, di musica coi bastoncini. La Grande si allena a copiare i simboli aborigeni coi pennarelli: ne ha già riempiti vari fogli, e ancora continua.
Oggi abbiamo imparato a lanciare un boomerang in modo che torni indietro. Torna indietro davvero, ed è spettacolare e pericoloso. Abbiamo imparato che gli aborigeni mangiavano le uova di goanna (un lucertolone lungo due metri). Il compito di prenderle spettava alle donne. Alcune le portavano via, ma altre le lasciavano nel nido, perché i piccoli goanna potessero nascere.
La Grande mi chiede spesso chi sia stato, di preciso, a portar via la terra agli aborigeni. Siamo stati noi, mamma? Ripete spesso, poco convinta delle mie risposte.
Siamo stati noi? Abbiamo fatto un deserto e ora lo chiamiamo pace?

lunedì 10 marzo 2014

roma

Yulara
Ci siamo innamorati di Roma. È stato un colpo di fulmine inatteso, imprevedibile, che ha coinvolto d'un colpo tutta la Famiglia in cammino.
Roma ha 55 anni, parla inglese a fatica e ha lunghi capelli arruffati. Sorride con una bocca un po' sdentata e dipinge stando seduta per terra. Roma è un'artista aborigena. Finalmente arriviamo in una cittadina in cui l'arte aborigena è conosciuta, esposta, valorizzata. Nel pomeriggio abbiamo assistito ad una performance di danza. La Grande e la Piccola sono rimaste a bocca aperta: gli aborigeni avevano il corpo dipinto, come nei libri che abbiamo letto insieme in questi giorni. Il colore sul corpo serve a mostrare la tribù e la terra di appartenenza.
Completamente affascinate, le bambine hanno pure preso parte al ballo, diventando per qualche minuto due emù danzanti.
Ci troviamo a pochi chilometri da Uluru (Ayers Rock). Nelle vicinanze della montagna, che per gli aborigeni è sacra, non è possibile fermarsi. L'unica possibilità è trovare posto qui a Yulara, dove le strutture ricettive sono molte e varie: tra queste c'è anche il nostro campeggio. A Yulara si può partecipare (finalmente!) a numerose espressioni dell'arte e della cultura degli aborigeni. Oggi abbiamo visto la danza, ma ci sono anche performance di digeridoo (lo strumento tradizionale, scavato dalle termiti), laboratori di artigianato e piccole gallerie d'arte. Il tutto è ovviamente un po' turistico, ma almeno abbiamo l'occasione di incontrare una cultura che fino ad oggi avevamo faticosamente cercato, senza avere troppo successo.
Roma ci indica quali sono i suoi quadri. I dipinti aborigeni non sono semplicemente puntini e figure: ognuno di essi racconta una storia. Ci innamoriamo di un'opera gialla e marrone, piuttosto grande, e facciamo i complimenti all'autrice; la galleria sviluppa un progetto per cui gli artisti, a turno, espongono e vengono ospitati: si possono vedere mentre lavorano, e hanno l'occasione di illustrare (per quanto la comunicazione - almeno quella verbale - sia faticosa) le loro opere. La Grande e la Piccola chiedono e ottengono una piccola guida coi significati dei più importanti simboli pittorici dei nativi. Hanno intenzione di provare a copiarli. Sono convinte di poter diventare due aborigene.
I nativi chiedono di non salire su Uluru, per non violare la spiritualità del loro sito. Noi ovviamente non saliremo; ma domani, alle prime luci dell'alba, faremo il giro a piedi, alla base della grande montagna sacra.

evviva i pennelli

Agnes Creek rest area (Stuart Highway)
Siamo di nuovo sulla strada. Andiamo verso il centro dell'Australia e verso Uluru (Ayers Rock). La Stuart Highway, che per l'appunto è un'autostrada, assomiglia in realtà ad una delle nostre strade statali, e non la più frequentata. Non ci sono guard-rail, non c'è illuminazione, solo una striscia d'asfalto dritta in mezzo al deserto. Non c'è traffico. Si può guidare per decine di chilometri senza incontrare nessuno. Non un'auto, un camion, un paese. Bisogna invece stare attenti agli animali: mucche e cavalli pascolano proprio a lato della strada. Canguri e wallaby, soprattutto la mattina e la sera, attraversano di continuo (e infatti se ne vedono a decine, morti investiti, con enormi rapaci che banchettano intorno a loro). Vediamo qualche altro camper, poche auto e gli enormi Road Train, camion con due o tre rimorchi, spaventosi e pieni di luci. A lato della strada ci sono ogni tanto delle aree di sosta (parcheggi allestiti con tavoli, come quello in cui siamo ora) o enormi distributori di carburante, corredati di bar, ristorante, supermarket, ufficio postale, stazione di polizia. Cerchiamo di far benzina sempre, perché fra un distributore e l'altro possono esserci centinaia di chilometri.
Abbiamo trascorso la mattinata a Coober Pedy. È una cittadina caldissima, piena di mosche, buchi ovunque (le miniere di opale) e un'orrida polvere giallastra che si appiccica al sudore. Coober Pedy è una strada centrale, con traverse sterrate, intorno a cui si raccolgono costruzioni basse e brutte. Eppure si respira (insieme alla polvere) uno strano fascino. La maggior parte della vita si volge sotto terra: nel corso dell'unico secolo di vita del paese, tanta gente ha ricavato le abitazioni col piccone, quando ancora si poteva scavare dove si voleva senza permesso (ma questo, ci pare, avviene in parte anche oggi). La cosa appare vagamente contro natura, ma ha un senso, visto che negli ambienti sotterranei, come in cantina, la temperatura rimane costante, fa fresco e non ci sono insetti (non per questo, però, mi viene voglia di andare a vivere in cantina).
Oggi le bambine si sono divertite ad esplorare una delle miniere più antiche. Munite di casco, si sono avventurate nei cunicoli, fingendo di essere cercatrici di opali. Poco dopo, le abbiamo portate a visitare la chiesa cattolica sotterranea, con annessa canonica sotterranea comunicante. Dopo la funzione, una ragazza ha chiesto alle bambine di partecipare al laboratorio artistico della parrocchia, in corso proprio in chiesa. Lo scopo era dipingere tutti insieme (un gruppo di una dozzina di bambini) su una grande tela e realizzare un cartellone sul tema della riconciliazione con la popolazione aborigena. A Coober Pedy, peraltro, la comunità dei nativi è piuttosto numerosa. La Grande e la Piccola hanno colto volentieri l'occasione per dipingere e si sono messe al lavoro. La Piccola, che disegna piuttosto bene ma ha ancora delle ricadute sull'astratto, si è appropriata di un angolo e ci ha fatto un'enorme macchia con tutti i colori possibili. Un pasticcio enorme, che ha contagiato anche le sue mani, le braccia, il vestito. La Grande, non sapendo bene come rappresentare la "riconciliazione", è andata sul sicuro e ha disegnato la nostra famiglia: la mamma coi capelli neri fino ai piedi, gli occhiali tondi del papà, il sorriso suo e della sorella. Tutte e due si sono divertite. Hanno lavorato e chiacchierato con gli altri bambini. Avevano i due unici visetti bianchi, ma non se ne sono accorte, il che ci è parso un buon segno.

sabato 8 marzo 2014

oltre i 40

Coober Pedy
Più dei 40 gradi, il problema è stato l'umidità. Oggi, su questa zona del deserto, si è radunata una calotta di nuvole grigie, che hanno reso l'aria veramente pesante. La Famiglia in cammino, peraltro, non ha grossi problemi col caldo. Ci adattiamo bene a temperature molto elevate, e sopportiamo senza patemi la perenne sensazione (in realtà è molto più che una sensazione) di sudaticcio.
Molto più fastidiose sono state le mosche. Nell'outback sono un tormento da non credere. Si infilano negli occhi e annegano. Si infilano nel naso e annegano. Si infilano nella bocca e si fanno mangiare. Se fossero solo in po' più furbe, starebbero lontane dai visi e ci sentiremmo tutti meglio. Ma poiché le mosche non sono note per la loro intelligenza, continuano a ronzare intorno alle facce. Le bambine hanno le retine proteggi-viso. A me e al Papà non resta che muoverci, muoverci di continuo, portandoci dietro una schifosa nuvoletta di mosche ronzanti. La gente del posto dice che è sempre così. Solo al crepuscolo le mosche si ritirano, e lasciano spazio alle zanzare. Decine di zanzare, piccole e voraci, che portano tra l'altro un bel po' di malattie, fra cui alcune interessanti, come l'encefalite (mi sono informata da un farmacista del posto, e ovviamente ho speso decine di dollari in repellenti).
A questo punto ci si chiede come mai esista gente che abita in questo luogo remotissimo, a 600 chilometri dal mare, nella savana, con le mosche, le zanzare, la polvere e i 40-50 gradi. La risposta sono i buchi nel terreno, intorno e dentro al paese: qui c'è stata, e per molti aspetti c'è ancora, la corsa all'opale, una pietra preziosa che si trova in grandi quantità. La Grande e la Piccola si sono fatte contagiare, hanno preso le loro palette di plastica e si sono messe a scavare nei cumuli di detriti delle miniere. Naturalmente non hanno trovato nulla e ci sono rimaste un po' male. Si sono consolate con la visita ad una casa sotterranea: a Coober Pedy le temperature sono talmente alte che tante abitazioni, chiese, negozi, sono ricavati sotto terra, come tane. Alcune abitazioni si possono visitare, e non ci siamo fatti scappare l'occasione. Siamo entrati in una casa degli anni Sessanta, scavata a forza di piccone da una donna imprenditrice. Ambiente suggestivo, per quanto un po' pacchiano. La Grande e la Piccola sono rimaste a bocca aperta davanti alla piscina ricavata in soggiorno, e hanno adorato Helen. Helen, che custodisce la casa insieme a George (ma non sono loro i proprietari) ha un piccolo cane bianco e una passione per i bambini. Mentre noi ci godevano la visita alla casa, Helen ha fatto giocare le bambine col cane, le ha prese in braccio, ha riso con loro e ha fatto il girotondo. Io e il Papà abbiamo lasciato fare. La Grande e la Piccola si sono innamorate:- Ci trattava come una nonna...

impatto con l'inglese

Bookaloo rest area (Stuart Highway)
Da quasi due mesi viviamo in un Paese anglofono. La cosa è particolarmente evidente se si considera che abbiamo incontrato pochi stranieri e pochissimi italiani (solo tre ragazzi in camper, qualche settimana fa in Tasmania). Per il resto, la Famiglia in cammino costituisce un'orgogliosa isola linguistica, ma è ben circondata da gente che parla solo in inglese. Lo slang australiano è particolarmente forte, ed esistono numerose espressioni che qui sono comunissime ma che non rientrano nella lingua standard. Gli australiani salutano con "G' day!". Oppure: "Hi, mate!". Il termine "Barbie" non indica la fidanzata di Ken, curve mozzafiato e maledetto vitino da vespa, ma è un affettuoso diminuitivo per "barbecue". A questo punto uno potrebbe pensare che l'australiano medio è legatissimo al suo barbecue, quanto lo è alla sua ragazza. Questo spiegherebbe perché gli australiani cominciano a friggere uova e bacon alle 8 del mattino, vanno avanti tutto il giorno senza soluzione di continuità e finiscono a mezzanotte. Ma è una parentesi a cui mi dedicherò con più calma.
Fatto sta che la Famiglia in cammino ha dovuto adattare l'orecchio a numerose espressioni tipiche di qui, oltre che alla micidiale pronuncia. Passati i primi giorni di totale sconcerto, ora ci sentiamo più integrati (ma comunque orgogliosi della nostra isola linguistica). L'adattamento riguardava soprattutto la numerosa componente femminile della Famiglia: il Papà, avendo vissuto per due anni in Inghilterra, non ha avuto nessunissimo problema. La Grande, grazie ad un progetto della scuola materna, capisce un po' di inglese e lo parla. È in grado di fare amicizia coi coetanei e risponde ad alcune semplici domande. Soprattutto, è molto orgogliosa della sua competenza e non perde occasione di mostrarla. Spesso gli australiani se ne stupiscono. Io ho studiato l'inglese al liceo (liceo classico, peraltro). Nei primi giorni di viaggio, non capivo quasi nulla. Ora capisco quasi tutto, il che è una piccola soddisfazione. Alla mia età, con capelli bianchi incipienti e rughe incombenti, pensavo fosse impossibile progredire con la conoscenza di una lingua. E invece.
La Piccola è letteralmente beata. Lei adora il suono della lingua inglese. Adora che le si parli in inglese. Cerca di imparare i vocaboli e ci assilla con un sacco di domande. Quando qualche australiano si rivolge a lei, mostra un sorriso serafico e si sente importante. Non capisce assolutamente nulla, ma ha imparato a dire "yes" con un garbo tale che la gente ci casca.
Ancora un mese di questa immersione linguistica e possiamo davvero trasferirci in Australia. Peccato che anche la Grande abbia iniziato ad ostacolare queste fantasie, dicendo che le mancano il suo letto, i suoi Pan di Stelle, i suoi amici. Peccato.
Dormiamo a bordo dell'autostrada. Siamo diretti a Coober Pedy, capitale mondiale dell'opale, dove in inverno la temperatura scende sotto zero, ma in estate può arrivare a 50 gradi.
In mattinata, alle Flinders Ranges, abbiamo visitato le splendide pitture aborigene di Arkaroo, che raccontano la leggenda di Wilpena Pound. Wilpena Pound è un'enorme formazione montuosa dalla forma ellittica che ha il fascino di un'oasi: fuori c'è la savana, dentro un bosco rigoglioso. Si arriva al punto panoramico con una camminata di un'oretta, su sentiero scosceso e sconnesso (non avrei scommesso sulla tenuta della Piccola, e invece è andata benone). Durante la salita abbiamo raccontato alle bambine la leggenda: due enormi serpenti, dopo aver divorato decine di uomini, non riuscivano più a muoversi. Si sono distesi per trovare sollievo e invece sono morti. I loro corpi hanno formato le due catene montuose che costituiscono l'ellissi di Wilpena Pound. Tutto il racconto è rappresentato con pitture rosse e bianche, astratte con le mani, ad Arkaroo.
La cultura aborigena (prima di Maometto, prima di Cristo, prima degli Egizi) ci lascia tutti a bocca aperta.

venerdì 7 marzo 2014

l'unico inaccessibile

In Australia tutti i siti di interesse storico sono perfettamente segnalati. Tuttavia, il   sito di Yourambulla è difficile da trovare. Ci sono ovunque uffici turistici, che spesso sopravvivono grazie al lodevole lavoro dei volontari. Negli uffici turistici si trovano sempre mappe molto dettagliate, brossure pieghevoli su ogni attrazione, depliant illustrati su tutti i siti. Ma su Yourambulla niente di niente, se non qualche cenno nei depliant generali sulle Flinders Ranges. Tutti i sentieri che avevamo percorso fino ad oggi erano tenuti perfettamente, battuti ben bene, con gradini e corrimani. Ci sono perfino molti sentieri civilmente "sbarrierati", ovvero accessibili a passeggini e carrozzine. Il sito di Yourambulla è diviso in tre parti. Dall'una all'altra parte ci sono poche indicazioni e il sentiero non esiste, tanto che si rischia di perdersi fra le rocce rosse. Meravigliose rocce rosse, intendiamoci, ma forse non il luogo ideale per trascorrere il resto della giornata o del viaggio. In Australia tutti i siti storici sono sempre aperti, sette giorni su sette. Magari con orari non troppo estesi, ma qualsiasi museo di paese è aperto anche la domenica. Il sito di Yourambulla è chiuso da anni (noi siamo entrati lo stesso, ma che rimanga un segreto), perché su una passerella c'è un'unica trave di legno instabile.
Yourambulla è un sito di pitture rupestri aborigene. Non ha avuto la stessa sorte di altri luoghi, storici o ritenuti tali, che abbiamo visitato. Non è stato valorizzato in nessun modo. A poca distanza dalle pitture rupestri c'è una fattoria di pecorai di metà Ottocento. Su questa, ovviamente perfettamente segnalata ed accessibile, esistono libri, documenti e cartine. Sui dipinti aborigeni si fa a fatica a trovare informazioni: non esiste quasi nulla di scritto (non un depliant, figurarsi un libro), e gli abitanti della zona, per quanto gentilissimi, ne sanno veramente poco.
Eppure i disegni sono molti e magnifici: nelle tre grotte, disseminate su un pendio roccioso abitato da canguri e wallaby, sono disegnati boomerang, impronte di animali ed emù stilizzati. Emozionante. Purtroppo la Grande e la Piccola sono rimaste un po' deluse: loro non percepiscono ancora la potenza dell'astrazione, e quindi, pur senza avere il coraggio di dirlo, hanno vissuto i disegni come degli scarabocchi. La Grande, tuttavia, ha proposto di trasferirci in Australia e diventare aborigeni anche noi.
Altra giornata nelle Flinders Ranges, una zona desertica (per certi aspetti simile alla savana, ma con qualche albero verde in più) che regala paesaggi incredibili di pietre aspre e montagne, oltre ad una fauna particolarmente numerosa: oggi avremmo visto, avventurandoci col camper su strade sterrate, almeno una ventina di emù in corsa e altrettanti canguri e wallaby saltellanti. Il tempo continua ad essere splendido, e le previsioni sono buone anche per i prossimi giorni.
Dopo cinque giorni di campeggio libero, bisognini dietro gli alberi, sudore e polvere, ci siamo regalati la sosta in un vero camping. Lavatrice, bagni, docce e perfino una piccola piscina: l'acqua è un lusso incredibile. Soprattutto nel deserto.

mercoledì 5 marzo 2014

apposita retina cercasi disperatamente

Hawker
Il Papà ha fondato (parole sue di oggi) l'Esercito di Liberazione dalle Mamme Loffie. Si tratta di un'organizzazione sovversiva di cui fanno parte lui e lui medesimo, ma che riscuote un grosso successo con la Grande e la Piccola.
Il problema è che io non mi sento particolarmente rigida e perfezionista, e tuttavia sono sempre... Adulta. Madre. Chioccia. Il che è certamente un difetto. Lui invece riesce a tornare davvero bambino con le sue bambine, e pazienza se i quaranta sono passati da un pezzo (cioè sono passati per lui, beninteso). Oggi, vedendo un torrente di fango in mezzo al deserto delle Flinders Ranges, è stato il primo a gioire. Si è buttato in acqua, in mutande e ridendo, e poi ha chiamato la Grande e la Piccola a condividere la sua gioia. Io ho cercato di soffocare mille pensieri: che ne so, il colore marroncino dell'acqua, il fatto che ovviamente non fosse trattata, e altre sottigliezze del genere. Dopo, ma solo dopo, sono stata grata al Papà per aver regalato alle bimbe una gioia che io, spontaneamente, non avrei saputo inventare: il bagno in una pozza nel deserto. Le ragazze, emergendo con piedi e mani color pece, avevano un sorrisone:- Ma che felicità! Sono emozionata! - urlava la Piccola. - Eh, sì - rispondeva la Grande - non avevamo mai fatto il bagno nel fango! È bellissimo! 
In serata avrei voluto strofinarle con la carta vetrata. Mi sono accontentata dello shampoo e la mia coscienza è a posto lo stesso.
Oggi abbiamo avuto un primo assaggio di vero outback australiano, un deserto con terra spaccata e piante basse. Dalla costa sopra Adelaide siamo saliti verso nord. Abbiamo attraversato Quorn, un paese semi-vuoto che sembra il set di un film western, insegne "vecchissimo stile" comprese. Poi abbiamo percorso una serie di strade sterrate, alla ricerca di formazioni rocciose asperrime e bellissimi wallaby delle rocce, dal tipico colore grigio-rossastro.
Anche oggi temperature altissime, vicine ai 40 gradi, e anche oggi siamo stati perseguitati dalle terribili mosche australiane. Perfino la Grande, pacifica com'è, le ha definite "insopportabili". Entrano negli occhi, nel naso, in bocca. Mirano al viso, più che al cibo. La Piccola è l'unica della Famiglia che sia riuscita ad ucciderne diverse. Si volta di scatto, con sguardo angelico e manina assassina, e colpisce. Dopo, tutta orgogliosa, le prende e me le mostra:- Guarda, mamma, un'altra mosca morta!
Il problema è che in realtà le mosche non le danno troppo fastidio. Ed è davvero un problema, perché di solito non si prende il disturbo di ucciderle o scacciarle. Oggi, per esempio, ne ha mangiate due insieme ad un boccone di pane, senza nemmeno accorgersi (e senza che nessuno avesse il coraggio di farglielo notare). Poco dopo mi ha chiesto di soffiarle il naso:- C'è una mosca che mi dà fastidio... Diceva. Il peggio è che la mosca, ormai tristemente annegata, c'era sul serio.
Tolte le orride formiche di questi giorni, io non credo di avere un cattivo rapporto con gli insetti. Se trovo per casa un ragno, lo prendo con le mani e lo butto fuori dalla finestra. Ho insegnato alla Grande e alla Piccola a non aver paura delle api e delle vespe. Ma adesso ho capito perché in Australia, ad ogni angolo di strada, siano in vendita cappelli con apposita retina proteggi-viso. Domani li compro anch'io.

martedì 4 marzo 2014

solo vent'anni

Clements Gap
Siamo in un luogo surreale. La camp area è ricavata nel cortile di una vecchia scuola elementare, che ha chiuso nel 1942. Un vecchietto del posto, che forse l'aveva frequentata, ha attrezzato il cortile con tavoli e panche (ma altri servizi non ce ne sono), oltre che con una serie di pupazzi, vecchi oggetti, cartelli con messaggi edificanti. C'è un vecchio Babbo Natale con l'inquietante scritta: "Siete tutti miei bambini... Ci vediamo il 25 dicembre". Ci sono ritagli di giornale, fiori finti e cartoline; e poi vecchi giocattoli, peluche e bambolotti disposti in tutta l'area. Le bambine avrebbero voluto prenderne qualcuno, ma dato lo spessore dello strato di polvere che li copriva ho imposto il divieto assoluto. C'è un vassoio che dice: "Non rubare nulla, ricordati che qualcuno ti vede" e molti altri simili gingilli. Ciliegina sulla torta: le ceneri del vecchietto che ha allestito tutto questo sono qui, sotto una lapide a pochi metri dal nostro camper. E ci sono anche, ovviamente (siamo in mezzo alla campagna e fa molto caldo) nugoli e nugoli di insetti.
Abbiamo salutato il mare, che rivedremo solo fra qualche settimana. Puntiamo verso l'interno: vogliamo essere ad Alice Springs fra due settimane, giorno più giorno meno. Nel frattempo, ci siamo goduti la mattinata in fondo alla Yorke Peninsula, nell'Innes National Park, un posto selvaggio: non abbiamo incontrato altri viaggiatori, solo canguri ed emù. Anche oggi abbiamo visto una famiglia di questi magnifici uccelli corridori. A dirla tutta abbiamo dovuto aspettarli, mentre con tutta calma attraversavano la strada davanti a noi. La Grande e la Piccola hanno osservato con meraviglia la mamma emù che "rimproverava" i suoi piccoli, rincorrendoli a becco aperto se si allontanavano. Nella classifica dell'animale australiano preferito, in continuo aggiornamento, oggi l'emù ha guadagnato un sacco di punti.
Abbiamo anche fatto il bagno in due meravigliose spiagge. Mentre io prendevo il sole (pressoché la mia unica attività quando sono al mare. Una volta che ho scattato le foto, per me il mare si potrebbe anche togliere, mi basta la spiaggia) il Papà ha portato le bambine ad esplorare i fondali con la maschera. Presa dall'entusiasmo, la Grande ha dichiarato che nella vita farà l'archeologa subacquea. - Mamma - mi ha chiesto - cosa devo fare per diventare archeologa subacquea?
- Mah, devi prima iniziare e finire la scuola elementare, poi andare alla scuola media; poi dovrai frequentare il liceo, ovviamente il liceo classico. Poi andrai all'università e ti iscriverai in Lettere Classiche. Poi, dopo la laurea, potrai diventare archeologa subacquea.
- Ma quanto tempo ci vorrà?
- Così ad occhio, direi una ventina d'anni...
- Yuppiiii! Ci sono quasi! Hai sentito, Papà? Fra una ventina d'anni potrò fare l'archeologa subacquea!

animali sì, animali no

Pondalowie Bay (Innes National Park)
Le orride, nonostante le mie ripetute campagne di sterminio, non se ne sono ancora andate. Non hanno toccato beni salvavita, quali la crema antirughe e il caffè, ma in compenso si sono accampate nel frigorifero. Da tre giorni la Famiglia in cammino mangia pane ripieno di formiche, prosciutto all'aroma di formica, formaggio formicoso. La Grande finge di non vedere temendo che i poveri insetti subiscano le mie rappresaglie. La Piccola non si accorge. Il Papà non ci fa caso. Io ho i nervi a pezzi.
Da due giorni fa un gran caldo. Sono le dieci di sera e siamo ancora in canottiera, il che è un'ottima notizia. Il rovescio della medaglia, però, è che gli insetti si sono moltiplicati. Oltre che con le odiose formiche, oggi abbiamo dovuto fare i conti con centinaia di mosche. Mosche assetate, per di più, che quindi mirano alle labbra, nella speranza di rubare qualche goccia di saliva. Il tutto fa un po' schifo, soprattutto se si considera il rischio di mangiarle. In serata siamo stati felici di cenare all'aperto, ma ci siamo trovati in una nuvola di zanzare. Abbiamo spruzzato repellente a litri sulle nostre braccia e gambe, e ci siamo comunque goduti la bistecca: la Famiglia in cammino preferisce le temperature alte, le ciabatte e i pantaloncini, a costo di fronteggiare orde di insetti voraci. Del resto, fortunatamente, i nostri incontri con la fauna locale non si limitano a questo. Oggi, facendo il bagno su una spiaggia di sabbia bianca, tutta per noi, abbiamo incontrato alcuni eagle ray; credo che in italiano si chiamino "razze". Sono quei pesci larghi, con grandi pinne che sembrano ali. All'acquario di Genova si possono accarezzare, ma qui ho preferito tener lontane le bimbe: l'Australia è piena di simpatici cucciolotti dal morso letale, meglio non correre rischi. Tuttavia è stato bello, per la Grande e la Piccola, correre in un'acqua finalmente tiepida, circondate da questi grandi pesci che sbattono le pinne come se volassero. Nel pomeriggio siamo arrivati all'Innes National Park, una riserva naturale che è come un immenso safari all'aperto, con animali liberi ovunque ci si volti. Passando sulla strada col camper, e passeggiando sui sentieri storici delle miniere di gesso, abbiamo visto tre famiglie di emù, adulti e piccoli, che camminavano impettiti e flemmatici. La Grande, che adora gli emù, è rimasta ogni volta a bocca aperta. Abbiamo incontrato tantissimi canguri grigi. Alcuni di questi sembravano curiosi e si sono fermati a guardarci. Un canguro ha girato intorno al nostro tavolo per tutta la cena, sgranando gli occhi. Forse si indignava nel vedere che la Piccola mangiava con le mani (ha una sua teoria per cui il cibo mangiato con le mani è più gustoso. Io di solito le impongo le posate, ma a volte sono stanca e fingo di non vedere), o biasimava la nostra italianissima "scarpetta" col pane. Fatto sta che ci ha fatto compagnia, venendo anche vicino, per una buona oretta. Il problema è che abbiamo avuto compagnia anche da un ragno nero, enorme, grande come una mano, che penzolava accanto al nostro tavolo. Io avrei voluto dargli da mangiare qualche decina di formiche e poi ucciderlo con torture, ma facevo eroicamente finta di nulla. In Australia esistono anche ragni velenosi (che strano, eh?), ma non so se questo appartenesse al club. Niente di più facile: qui dovunque ci si volti c'è una creatura che può ammazzare un uomo in un attimo, ma non voglio allarmare la Grande e la Piccola e quindi cerco di mantenere la calma. Del resto le bambine di fronte al ragno erano elettrizzate:- Guarda, mamma - dicevano - che meraviglia, c'è Aracne! 

domenica 2 marzo 2014

deviazione imprevista

Moonta
Il Papà continua a studiare l'itinerario del prossimo mese e mezzo. Sarà che siamo più o meno a metà del viaggio, sarà che non sopporta la flemma femminile dei tre quarti della famiglia, ma da un paio di giorni è sempre col naso nella cartina e la matita in mano. Lui non ipotizza, programma. Lui non guarda, impara a memoria.
Ovviamente, in queste situazioni il mio massimo divertimento è scombinare i suoi piani perfetti.
Oggi, con un sorriso innocente, gli ho imposto una deviazione di due giorni. Ora siamo sulla Yorke Peninsula, a nord di Adelaide. La zona è poco battuta dal turismo (anche se in Australia non abbiamo mai avuto problemi di sovraffollamento: i posti sono tanti e la gente è poca), ci sono insediamenti aborigeni antichi, mentre il passato recente è legato alle miniere di rame. Ci sono anche spiagge meravigliose, cosa che non guasta mai.
Oggi, quindi, ci siamo dedicati alla visita delle miniere di rame e dell'annesso museo. Gli australiani hanno la mania di conservare la propria storia (ovviamente intesa dall'arrivo degli occidentali in avanti) in gallerie interattive, e la cosa diverte sempre molto le bambine. Hanno partecipato prima alla caccia al tesoro nel museo delle miniere, poi abbiamo percorso insieme il lungo giro del sito minerario. Noi europei, forti di migliaia di anni di Storia (sì, proprio con la S maiuscola), continuiamo a sorridere vedendo esposti gli scarponi degli anni Venti o i banchi di scuola degli anni Trenta. Mi chiedo, tuttavia, cosa direbbe un australiano medio, maniaco della conservazione, assistendo al crollo della nostra Pompei. La risposta è impegnativa, e al momento non mi viene.
Pomeriggio dedicato alla spiaggia di sabbia bianca e scogli, con acqua finalmente bella calda. La Grande ha indossato la maschera e si è dedicata all'esplorazione dei fondali. Ha visto pesci di tutti i colori e si è sentita molto orgogliosa. All'uscita, sporgendo dall'asciugamano col naso, ha dichiarato che anche quello del sommozzatore potrebbe essere un bel lavoro...
La Piccola, che è donna di grande impeto, ha preferito le corrate (così dice lei) a gambe levate sulla sabbia.
Un po' di vita da spiaggia, finalmente.

sabato 1 marzo 2014

invasione di camper

Kadina
- Sono dappertutto. È un'invasione. Sbucano ovunque. Siamo spacciati... L'unica soluzione è cambiare camper. Guarda! Eccone un'altra! E un'altra!
- Non esagerare. Se uno lascia il camper in mezzo al bosco può succedere, mi pare normale...
- Normale? Ti pare normale? Non le sopporto! Non ce la faccio? E la mia caffettiera? Eh? Avranno trovato la caffettiera? E la mia crema antirughe?
- Mamma, non possiamo schiacciarle. Dobbiamo prenderle una per una e mandarle fuori pian piano!
- Ah! Ma io le uccido tutte! Non le voglio vedere!
- Ma perché? Tanto non pungono...
- La Piccola ha ragione. Adesso calmati. È tutto confezionato o chiuso, non troveranno niente da mangiare e se ne andranno.
- Mamma, ti prego, non far loro del male!
- Basta, Grande. Non voglio sentire niente. Il camper è casa mia, e io a casa mia non le voglio! Meno male che non hanno trovato la crema antirughe.
La Famiglia in cammino oggi è andata al Centro di conservazione della fauna di Cleland, vicino ad Adelaide. Le bambine hanno dato da mangiare a canguri, emù, wallaby, topi marsupiali (nei confronti dei quali è scattato l'amore, chissà perché. In fin dei conti non sono altro che ratti saltellanti) e uccelli. Hanno rischiato di finire in acqua rincorrendo i pellicani e imparato che i dingo somigliano ai cani, ma non sono adatti come animali da compagnia. Il Centro di Cleland, nell'omonimo parco nazionale, si occupa di preservare le specie australiane autoctone, anche attraverso progetti di reintroduzione, e offre la possibilità di entrare in contatto diretto con gli animali. Il visitatore può entrare in tutti i recinti (non ci sono gabbie), accarezzare, dar da mangiare. Il tutto su spazi piuttosto grandi, quindi si ha l'impressione di vedere gli animali nel loro ambiente. Soltanto i dingo e i diavoli della Tasmania, per ovvie ragioni, non si possono avvicinare. Ma gli altri girano liberi. Anzi, ho pure dovuto difendere la mia macchina fotografica dall'attacco di un pellicano, che la scambiava per un pesce. Le ragazze sono andate ovviamente in visibilio: qui in Australia hanno visto ormai moltissimi animali in libertà, ma si sa, le carezze non sono mai abbastanza. La Grande ha rinnovato la sua passione per i wallaby e ha dichiarato che quello dell'archeologa è un bellissimo lavoro, ma anche occuparsi degli animali, come quella ragazza che dava la carne ai dingo, sarebbe bello...
L'unico problema è che, durante la nostra assenza, il camper è stato assaltato ed invaso da centinaia di formiche. Formiche sul pavimento. Formiche sui sedili. Formiche nella dispensa! Un incubo. Il Papà e la Piccola se ne sono accorti a stento, e comunque l'evento non li tocca. La Grande, che ha da sempre uno spirito "francescano", vorrebbe accompagnarle fuori senza far loro male. Io detesto anche solo l'idea di avere addosso o in "casa" parassiti o insetti di qualsiasi genere. Il pensiero (e, ahimè, anche la vista) delle formiche nel camper mi manda in paranoia. Mi sono armata di scopetta e ho cominciato a colpire dove capitava. Domani, tanto per non sbagliare, sterminerò qualsiasi forma di vita con più di quattro zampe nel raggio di un chilometro.