domenica 9 agosto 2015

intervista doppia

Cosa vi è piaciuto di più dello Sri Lanka?
Grande: Gli elefanti. In Sri Lanka gli elefanti sono tantissimi. Abbiamo visto gli elefanti fare la doccia, fare il bagno, andare in processione tutti vestiti a festa. Mi è piaciuto quando l’elefantino voleva giocare con me, e cercava di sollevarmi con la proboscide. Due volte mi anche fatto cadere, ma non mi sono fatta niente. 
Piccola: Andare con la maschera a vedere i piccoli di squalo, sulla barriera corallina. Poi mi è piaciuto salire sulla montagna alta alta. E in cima alla montagna c’era una città antica.
Cosa non vi è piaciuto?
Grande: Quando al ristorante sbagliavano e ci portavano il riso spicy, piccante. A me il sapore piccante non piace. Qualche volta succedeva che avevo fame ma non riuscivo a mangiare, perché il riso era piccante; allora ci rimanevo male.
Piccola: Non mi piaceva fare la doccia, perché spesso era fredda; non mi piace fare la doccia fredda.
Cosa vi ha sorpreso?
Grande: Le scimmie! Non pensavo che rubassero le cose. 
Piccola: Le scimmie, perché sono un po’ cattivelle; una scimmia ha anche ringhiato alla mamma. 
Quale albergo vi è piaciuto di più?
Grande: Quello di Sigiriya, perché si mangiava bene e tanto. A me piaceva mangiare tutto quello che ci portavano.
Piccola: Quello di Arugam Bay, perché sembrava un piccolo villaggio in cui ognuno aveva la sua casetta. E anche noi avevamo la nostra casetta.
Qual è stato il vostro piatto cingalese preferito?
Grande: La minestra di lenticchie, ma solo quella che ci portavano all’albergo di Sigiriya, perché tutte le altre erano piccanti.
Piccola: La pizza! Qualche volta siamo andati a mangiarla, quindi la pizza è anche un piatto tipico cingalese. Io vorrei mangiare sempre pizza.
E il vostro frutto preferito?
Grande: Il frutto della passione! Mi piaceva soprattutto il succo fatto col frutto della passione.
Piccola: Il frutto della passione.
Cosa non vedete l’ora di ritrovare in Italia?
Grande: Le nonne. Mi sono mancate tanto.
Piccola: La mia pecorella di peluche, che è rimasta ad aspettarmi sul letto. Quando non la vedo per un po’ di tempo, il pelo sulla sua testa diventa ancora più morbido. Quindi sono molto contenta di ritrovarla.
Cosa vi dispiace lasciare in Sri Lanka?
Grande: Il tuk tuk.
Piccola: Il tuk tuk. Mi piaceva perché non si deve mettere la cintura di sicurezza; e poi perché arriva tutta l’aria in faccia.

giovedì 6 agosto 2015

biberon all'elefantino

Colombo
Orfanotrofio per elefanti. Sappiamo che si tratta di una calamita per turisti, ma non potevamo non andarci. Quindi siamo partiti da Kandy subito dopo colazione e ci siamo fermati a Pinnewala. Qui si trova un struttura che ospita circa 80 elefanti di età diverse, la maggior parte cuccioli, alcuni piccolissimi. Il parco nasce proprio con l’intento di far crescere piccoli elefanti orfani o abbandonati. In parte è diventato un carosello (carissimo, fra l’altro, il biglietto d’ingresso per gli stranieri), ma l’opportunità di giocare coi piccoli elefanti, dar loro da mangiare (frutta per i più grandi, latte per i più piccoli), vederli da vicino mentre fanno il bagno ci è parsa da non perdere. 
La giornata degli elefanti di Pinnewala segue ritmi precisi: ore 10, tutti al fiume a fare il bagno. Il gruppo di pachidermi attraversa il paese per andare a lavarsi. Prima gli elefanti passano attraverso bar e bancarelle, poi si buttano in acqua. Le mamme lavano i piccoli, qualcuno torma verso riva a mangiare le banane lanciate dalla Grande e dalla Piccola; lanciate solo da lontano, perché in questo momento gli animali si stanno bagnando e non è possibile toccarli. Ore 12, rientro al parco e ai box. Qui i cuccioli vengono di nuovo sciacquati con la pompa e poi rimangono nei loro box, dove non disdegnano visite. La Grande e la Piccola sono riuscite a giocare con un’elefantina scherzosa, che rubava le borse alle signore (e poi correva in giro, lanciandole in aria come trofei) e ha cercato un paio di volte di abbracciare le bambine con la proboscide, riuscendo solo a sollevarle un po’ e poi farle cadere. Loro hanno riso come matte, io in effetti ero un po’ preoccupata: le intenzioni erano buone, certo. Ma gli elefanti sono enormi anche da cuccioli. Un’eventuale mossa maldestra è sempre la mossa maldestra di un elefante. nessuna nefasta conseguenza, per fortuna. Ore 13, poppata: gli elefanti più piccoli vengono portati in un recinto dove ricevono biberon di latte, anche dai visitatori. La Grande e la Piccola non si sono tirate indietro, ma il momento è durato poco, perché le loro bottiglie da due litri sono state prosciugate dall’elefantino in meno di un minuto. Emozionante, comunque, poter interagire con questi splendidi animali, anche se in situazione controllata. L’unico problema di Pinnewala sono le richieste di mancia; non si potrebbero avvicinare gli elefanti durante il bagno, ma per 10 dollari il guardiano si allontana un attimo. Non si potrebbe entrare nello spazio riservato alla passeggiata, ma per 10 dollari il guardiano chiude un occhio. Tuttavia i cingalesi non sono mai troppo insistenti, quindi con un po’ di faccia tosta (e ricordando ad alta voce che avevamo già pagato un biglietto d’ingresso) la Grande e la Piccola sono riuscite ad avvicinare i piccoli Dumbo, accarezzarli e giocarci. Poi, sopraffatte dall’emozione, sono crollate addormentate in tuk tuk nell’ultimo tratto del nostro viaggio, da Pinnewala a Negombo. In poco meno di un mese abbiamo percorso quasi 2000 chilometri in una scatoletta rossa, la stessa che usano i cingalesi. Ci abbiamo messo 53 litri di benzina super-92 ottani, che da noi non si trova nemmeno più. Oggi restituire il nostro tuk tuk ci è sembrato strano e ci è sembrato uno strazio. 

mercoledì 5 agosto 2015

un po' cambiati

Kandy
La Famiglia in cammino ama farsi coinvolgere dai viaggi. Dopo quasi un mese di vagabondaggio in Sri Lanka, i cambiamenti sono evidenti; la Grande ha scoperto la meditazione. La sera, prima di dormire, si mette per qualche attimo sul letto imitando Buddha nella posizione della serenità (gambe incrociate, mani rilassate, occhi chiusi) e dice che il termine “serenità” è proprio azzeccato, perché meditando ci si rilassa. L’unica volta che ho provato a meditare io mi sono addormentata, ma questo a lei non lo dico. Forse non sono tagliata per la serenità.
La Piccola si comporta in modo impeccabile da due giorni. Non urla, non pesta a sangue sua sorella, non dice “no” ogni volta che apre bocca. Le ho fatto i complimenti per questa incedibile evoluzione; lei, di rimando:- Ma te l’avevo promesso, no? In effetti me l’aveva promesso. Ma io non avevo fatto nessun affidamento sui suoi propositi. Mi sorprende sempre (e un po’ mi indispone) il fatto che lei sia perfettamente in grado di comportarsi in modo civile e pacato. Il problema è che il più delle volte non ne ha voglia. La sua adolescenza sarà un incubo, ma per ora non ci pensiamo.
Io, cedendo alle pressioni del Papà (e anche, lo ammetto, vagamente incuriosita) mi sono sottoposta insieme a lui ad un trattamento ayurvedico di due ore. Abbiamo scelto un centro ufficialmente riconosciuto, condotto da una dottoressa con tanto di titolo. Il tentativo era quello di provare la vera medicina ayurvedica, non un’attrazione per turisti. O, per lo meno, volevamo trovare qualcosa che non fosse soltanto un’attrazione per turisti. La terapia, per ritrovare la salute e l’equilibrio, prevedeva un lungo massaggio con olio in tutto il corpo, a partire dalla testa; poi le gambe, le braccia, il torso e le spalle; quindi applicazione di una maschera al viso (puzzolentissima, ma la sensazione sulla pelle era piacevole) e colata di olio caldo sulla fronte. Questa parte è stata veramente rilassante: dopo averci bendato gli occhi, la dottoressa ha fatto colare piano piano sulle nostre fronti un’intera ciotola di olio profumato, molto caldo. Il massaggio sulla fronte era splendido, ma non sono bastati i due shampoo di fine seduta a togliermi l’olio dai capelli. Spero che le chiome unte a vita non siano il mio personale tributo alla medicina tradizionale cingalese. 
In ogni caso, dopo la colata di olio sulla fronte, unti come tonno in scatola, siamo stati infilati nel bagno di vapore; si tratta di una specie di sarcofago con una grata di legno al posto del fondo; su questa grata ci si distende. Da sotto arriva il vapore: il principio è identico a quello della cottura a vapore, e infatti sotto di noi si trovava una specie di pentolone con acqua calda. Anche questo è stato estremamente piacevole. Alla fine, mega-beverone dissetante (e diuretico…) e doccia. Trattamento di benessere da provare, ma la chiarezza mentale non l’ho ritrovata. Forse sono un caso disperato. 
Il Papà, solitamente il più morigerato del gruppo, si è lasciato andare a ben due sconsiderati acquisti: una maglietta con la stampa di un tuk tuk. E un set di tre tuk tuk colorati, di dimensioni diverse, da usare come soprammobili. Sembra a tutti incredibile che domani andremo a restituire il nostro bellissimo tuk tuk rosso. 

martedì 4 agosto 2015

buddha, san sebastiano e gli altri

Kandy
Assolutamente per caso, arriviamo al Tempio del Dente nel momento dell’ostensione della reliquia; non che si veda proprio il dente di Buddha (c’è anche chi sospetta che sia un dente di bufalo: troppo grande per essere umano; ma questo non importa, non più della questione del sangue di San Gennaro); ma almeno si vede, per un attimo passando insieme alla fila, la teca dorata in cui è custodito. La folla è inverosimile. Ovunque c’è gente che porta fiori, soprattutto gelsomini e loto, perché il loto è un germoglio bianco che nasce in mezzo al fango, e quindi simboleggia la possibilità di trovare in sé la luce, o Buddha stesso; ovunque c’è gente che si inginocchia e prega, che solleva i bambini per avvicinarli alla teca del dente. La devozione è affascinante. E soprattutto è sempre la stessa, qualunque sia la fede. 
Il tempio è sorvegliato con inusuali misure di sicurezza (anni fa c’è stato un attentato da parte delle Tigri Tamil) e sorge in un complesso molto grande, di cui fanno parte anche luoghi di culto minori e alcuni musei. Il più curioso di questi è quello dedicato a Raja, un elefante maestoso che per 50 anni ha portato sulla schiena la reliquia del dente durate la grande processione di Kandy, che si tiene annualmente. Raja è imbalsamato e accanto a lui ci sono alcuni dei paramenti che usava per le feste. Tuttora è oggetto di venerazione, tanto che molti fedeli si fermano a pregare davanti al suo corpo. Non è stato ancora ufficialmente sostituito dopo la sua morte nel 1988 (aveva più di 60 anni) perché per prendere il suo posto sono richieste caratteristiche specifiche in dimensioni e proporzioni; tra queste c’è perfino la grandezza del pene, cosa che provoca l’ilarità della Grande e della Piccola: in questa fase, qualsiasi riferimento a cacca, pipì o parti intime suscita scoppi irrefrenabili di risate. E al momento va bene così, se uno ci pensa.
Nel pomeriggio visitiamo il Devale di Kataragama: è un santuario colorato, come tutti i templi induisti, ma contiene al suo interno anche una statua di Buddha, perché il dio Kataragama è riconosciuto dalle due religioni. Mentre visitiamo il Devale siamo raggiunti da un monaco buddista che, un po’ nostro malgrado, ci coinvolge in un complesso rito di benedizione e augurio di buona fortuna. Mette le mani sulle teste delle nostre bambine, ci chiede insistentemente se siamo felici. Dice di vivere nel tempio da 25 anni; poi vuole sapere i nostri nomi per darci una benedizione solenne; ci tocca il viso più volte, usando alternativamente le mani e un ventaglio; poi annoda ai polsi di tutti dei braccialetti bianchi. Ad un certo punto io e il Papà ci rendiamo conto che probabilmente tutto questo sfocerà in una richiesta di denaro; ma la situazione è talmente divertente, la Grande e la Piccola talmente impressionate, che decidiamo di stare al gioco. Il monaco ci tocca le fronti e ripete il nome di Buddha, ma aggiunge anche Cristo, Kataragama, San Sebastiano e la Madonna di Fatima. Ovviamente alla fine lasciamo il nostro obolo. Ma adesso abbiamo la certezza che, in virtù della benedizione, faremo un ottimo viaggio di ritorno, le nostre bambine andranno benissimo a scuola e la nostra famiglia rimarrà unita per sempre. Parola di monaco. 

lunedì 3 agosto 2015

ritorno a valle

Kandy
Il Papà sta cercando di convincermi a provare un trattamento ayurvedico. Non distante dal nostro albergo (caro come il fuoco! Ma purtroppo non abbiamo trovato altro) c’è una grossa clinica che propone visite e terapie personalizzate in base alla diagnosi. Fra i trattamenti previsti ce n’è uno per “ritrovare la chiarezza mentale”, di cui il Papà sostiene che io abbia assoluto bisogno. A parte il fatto che la mia chiarezza mentale non è mai esistita e non mi pare possibile “ritrovarla”, io mi sento nel complesso molto scettica, anche perché fino ad oggi il nostro approccio con la medicina tradizionale cingalese (oltre che indiana) non è stato dei migliori. La Grande e la Piccola, a dispetto dell’olio naturale che avevo spalmato sulle loro teste (e su tutti i vestiti…) qualche giorno fa, hanno continuato ad ospitare colonie di pidocchi. Oggi però ho trovato la permetrina, innamorandomi in un istante del farmacista, e ne ho spalmata in abbondanza. Speriamo, finalmente, di chiudere la parentesi delle teste abitate. Si capirà quindi che la proposta di un pomeriggio ayurvedico non mi faccia far salti di gioia. Vediamo. Siamo intanto arrivati nella capitale culturale dello Sri Lanka, nota per ospitare il santuario buddista più importante dell’isola, poiché custodisce la reliquia dl un dente di Buddha. Per il momento ci siamo accontentati di un giro per le strade, che ci appaiono affascinanti e caotiche. Kandy, oltretutto, è la prima vera città in cui entriamo da venti giorni a questa parte e le dimensioni ci impressionano un po’. 
In mattinata, invece, ci siamo fermati a Nuwara Elyia, che ha ancora l’aspetto di una roccaforte inglese: ci sono le classiche cabine del telefono rosse, un campo da golf, grandi palazzi in stile coloniale; siamo stati prima all’ippodromo, dove le bambine hanno avuto il sospirato giro a cavallo; la Grande ha frequentato da poco un corso di equitazione ed era particolarmente fiera di saper governare il cavallo. Il povero cavallo probabilmente avrebbe compiuto il suo giro ance se fosse stato da solo e anche se il cavaliere avesse cercato di fargli cambiare direzione, ma questo ho evitato di dirlo. Subito dopo ci siamo diretti al Victoria Park, un grande giardino con un’area gioco per bambini, corredata di trenino e ruota panoramica, che le bambine avevano intravisto ieri e che volevano assolutamente provare. Solo dopo aver promesso mi sono resa conto di quanto fosse pericolante e pericolosa la situazione: il motore della ruota non era sufficiente a farla girare, quindi veniva aiutato a mano; c’erano, cioè, due ragazzi robusti che si arrampicavano sulle navicelle, aggrappandosi per cercare di far da contrappeso. Il giochino non riusciva sempre, e quindi ogni tanto la ruota si fermava, oscillava, tornava indietro. Ho passato tutto il tempo del giro col cuore in gola, aspettando che finisse. Dopo Nuwara Elyia abbiamo perso rapidamente quota. Siamo usciti dalla nebbia e dalla pioggia per tornare all’estate, e ora siamo a poco più di 500 metri di altitudine, con temperature di nuovo alte. Gli altipiani dello Sri Lanka sono da vedere, ma la Famiglia in cammino preferisce il caldo. 

domenica 2 agosto 2015

nemmeno per il matrimonio

Nuwara Elyia
All’inizio del viaggio trovavamo con facilità le cosiddette family room, ovvero stanze con due letti matrimoniali. Ultimamente, per motivi del tutto oscuri, non ne abbiamo più avute; ci siamo sistemati in camere triple, con un letto matrimoniale e un singolo. Abbiamo quindi inaugurato il “lettone delle ragazze” con me al centro, la Grande e la Piccola ai due lati. Chi se la passava meglio, però, era senza dubbio il Papà, comodamente sistemato nel letto singolo mentre io rischiavo la vita per tutta la notte: dormire accanto alla Piccola è pericoloso. Tra calci nelle costole, manate in faccia e furto di lenzuola, mi sono svegliata ogni mattina più stanca di quand’ero andata a dormire. Questa notte, però, il pestaggio notturno ha avuto minor durata: abbiamo puntato la sveglia alle 5 per andare a visitare il parco nazionale degli Horton Plains. Si tratta di un ambiente naturale estremamente caratteristico: è la cosiddetta foresta nebulare, in cui le piante traggono nutrimento dalla perenne umidità dell’aria, ovvero dalla nebbia. Se si vuole visitare il parco bisogna iniziare il sentiero alle 8 del mattino e non più tardi, perché verso le 12 arrivano ogni giorno nebbia e pioggia. Poiché ci si trova a più di 2000 metri di altitudine, col brutto tempo può fare davvero freddo, quindi muoversi molto presto è essenziale. Il sentiero della visita è circolare e lungo 9 chilometri. Costeggia un ruscello, due meravigliose cascate e due punti panoramici detti “fine del mondo”, perché il dirupo cade a picco per più di mille metri e si ha davvero la sensazione di essere sospesi nel vuoto. Nel parco è inoltre facile incontrare animali: proprio all’ingresso abbiamo visto un cervo maschio che mangiava placidamente, con grandi corna e coperto di pelo lungo. L’unico problema è stato che, essendo domenica, l’unico sentiero di visita era letteralmente invaso di visitatori, fra cui molte comitive chiassose. Questo ha tolto ai luoghi un po’ di poesia, ed ha certamente allontanato la maggior parte degli animali. 
Finito il sentiero ci siamo diretti al paese più alto dello Sri Lanka: oggi dormiamo a quasi 2000 metri di quota, in una cittadina costruita in epoca coloniale dai signori inglesi che cercavano frescura e riposo dai lunghi periodi di lavoro nelle piantagioni di tè. La zona è anche chiamata Litte England, piccola Inghilterra, e arrivandoci si capisce bene perché: molti edifici di Nuwara Elyia risalgono alla fine dell’Ottocento, ed hanno proprio l’aspetto di austeri ed eleganti palazzi inglesi, con imponenti mura di granito. Alloggiamo in un albergo di epoca coloniale (per quanto il suo fascino sia un po’… decadente) e ci siamo regalati una cena nel posto più esclusivo della città: si chiama Hill Club e fino ad una quarantina di anni fa non consentiva l’ingresso alle donne. Oggi invece per entrarci è necessaria la tessera associativa (per fortuna ne esistono anche di temporanee, valide solo per il giorno di emissione e quindi molto economiche) e soprattutto bisogna rispettare alcune regole nel vestire: giacca e cravatta per gli uomini. Il tutto ha gettato un po’ nel panico il Papà, che non ha indossato la cravatta nemmeno il giorno del nostro matrimonio (la giacca l’aveva, ma era tutta sporca delle zampate del nostro cane) e ovviamente in valigia non ha nulla di elegante. Per fortuna l’albergo dispone di una serie di cravatte e di giacche da dare in prestito agli avventori distratti; il Papà miracolosamente riesce a fare un nodo rispettabile e quindi possiamo accomodarci per la cena: salone elegantissimo, lume di candela, cameriere personale e pianoforte dal vivo. Domani la Famiglia in cammino sarà di nuovo per strada, tutta sporca e polverosa, ma stasera l’immagine del Papà con la cravatta ci colpisce: né la Grande, né la Piccola e nemmeno io l’avevamo mai visto così. 

sabato 1 agosto 2015

le piante di sir lipton

Haputale
Ma come facciamo a farle girare per 20 minuti? La Grande ha inserito un’aggiunta all’elenco dei mestieri preferiti. Oltre alla contadina, l’archeologa subacquea o fare il formaggio in una malga, adesso valuta anche di raccogliere foglie di tè. Intorno a noi ci sono piantagioni a perdita d’occhio, e si tratta di un lavoro sostanzialmente femminile. Mentre io mi auguro solo che queste donne ricevano un salario dignitoso per la loro fatica immane (ognuna di loro raccoglie 20 chili di foglioline al giorno, trasportandole in un grande sacco legato alla fronte, a scendere verso la schiena), la Grande e la Piccola sono entusiaste: cercano di partecipare, raccolgono anche loro alcune foglie che poi custodiscono per ore nei pugni chiusi; sono decise a trasformarle in bevanda. Del resto hanno capito il processo: questa mattina abbiamo anche visitato la fabbrica Dambatenne, costruita nel 1890 da Sir Thomas Lipton e rimasta sostanzialmente invariata. Alla fabbrica arriva ogni giorno il prodotto di 1200 raccoglitrici; i macchinari essiccano, setacciano e sminuzzano le foglioline; ne escono prodotti di diverse qualità (più o meno forte, secondo la finezza della polvere) che poi vengono spediti, in grossi colli, sui mercati asiatici e occidentali. La maggioranza dei passaggi pare alla Grande fattibile anche in casa, tranne un unico ostacolo: per favorire l’essiccazione, uno dei macchinari fa girare le foglie, già semi-disidratate, prima di mandarle al taglio e al setaccio. Su questo passaggio la Grande ha ancora dei dubbi, ma appena avrà risolto il problema è certa di procedere con la produzione autonoma di bustine Lipton in casa. 
Tutto intorno alla fabbrica ci sono sterminati pendii pieni di cespugli di tè, in file talmente ordinate da sembrare giardini. In mezzo alle coltivazioni sorgono alcuni piccoli villaggi, che evidentemente vivono sulla raccolta. In cima ad una collina c’è il “sedile di Lipton”, un punto panoramico che pare piacesse particolarmente al signor Lipton; noi però non abbiamo potuto apprezzare fino in fondo la vista, perché quando ci siamo arrivati era già il momento delle nuvole e della nebbia. Haputale è uno dei villaggi più pittoreschi dello Sri Lanka, grazie soprattutto alla sua collocazione su una cresta montuosa (siamo a 1600 metri). Tuttavia, la sua posizione estremamente panoramica lo rende anche esposto alle intemperie, e qui infatti piove ogni pomeriggio. Dopo aver tentato l’affaccio dal “sedile di Lipton” (riuscendo solo a fotografare il cartello, perché a causa della nebbia non si vedeva nient’altro) torniamo verso la nostra sistemazione cercando di evitare l’acqua (ma invece ci prendiamo il secondo acquazzone in tuk tuk. Non piacevolissimo).
Sulla via del ritorno ci imbattiamo in un’incredibile manifestazione di fede induista: due uomini, attaccati ad un sostegno con una miriade di ami da pesca conficcati nella pelle, sono trasportati con camioncini fino al tempio poco fuori dalla cittadina. Gli uomini sono quindi sospesi per aria, tenuti con decine di ami conficcati nella schiena, nelle braccia, nelle gambe, perché attraverso il dolore cercano la purificazione. Nel tragitto verso il tempio, una piccola folla di fedeli chiede la loro benedizione. All’arrivo, i due uomini vengono sganciati dagli ami, e sulle loro ferite sanguinanti viene sparsa cenere bianca, che pare abbia il potere di sanare gli strappi senza che rimangano cicatrici. Ci fermiamo per alcuni minuti. Le bambine sono abbastanza impressionate; spiego che gli ami affondati nella pelle non sono poi molto diversi dai piercing che io porto un po’ ovunque (mento sapendo di mentire, ovviamente). Loro non sembrano troppo convinte, ma si fanno bastare la mia versione e quindi tornano alle loro fantasie sulla produzione domestica di tè. A cena, la Piccola:- Sapete che ci sono anche persone che non viaggiano, e non scoprono niente? La Grande:- Ma noi come facciamo a far girare le foglie per 20 minuti?