venerdì 31 luglio 2015

giorno di festa alla cascata

Ella
I cingalesi adorano i picnic con la famiglia. Certo, il loro concetto di “famiglia” è leggermente diverso dal nostro. La Famiglia in cammino, per esempio, è formata da quattro componenti: la Mamma, il Papà, la Grande e la Piccola. La famiglia cingalese comprende genitori, figli, nonni, zii, parenti e vicini di casa. Sono sempre gruppi enormi, esuberanti e colorati. A ben vedere, anche il concetto cingalese di picnic è diverso dal nostro: quando andiamo in montagna, di solito mangiamo un panino. La madre cingalese, aiutata dalla suocera, la cugina e la zia, prepara a bordo strada un banchetto: accende il fuoco, fa bollire i cavoli, prepara un riso e curry che serve rapidamente a tutti i componenti della famiglia. Tira fuori nuove pietanze, piatti e bicchieri (le posate no, perché qui spesso la gente non le usa). Quindi oggi (era giorno festivo, come sempre quando c’è plenilunio), decine di famiglie allargate si sono ritrovate sotto le cascate di Rawana Ella, un luogo particolarmente popolare e anche anche molto bello: l’acqua scende dalla montagna per ben 90 metri prima di formare un serie di pozze gelide; uno spettacolo della natura. A bordo strada, ma proprio sulla strada che passa accanto alla cascata, decine di famiglie hanno preparato da mangiare tutto il giorno, coi più piccoli che giocavano sulla statale, le madri a guardarli e a mescolare la zuppa, i nonni a rincorrerli. Nel frattempo, nelle pozze d’acqua della cascata, altre centinaia di persone si lavavano, nuotavano, schiamazzavano in un’unica meravigliosa festa bagnata. E in mezzo a queste centinaia di persone si sono tuffate anche la Grande e la Piccola. Io naturalmente avevo cercato di vietarlo, considerando che le rocce fossero troppo scivolose, ma il Papà non ha saputo resistere alla tentazione di un tuffo, e ha portato con sé le bambine gioiose. Purtroppo la festa è stata guastata dal nostro primo acquazzone cingalese, quindi siamo rapidamente tornati a rifugiarci al tuk tuk, ovviamente bagnandoci lo stesso. 
In mattinata, invece, avevamo visitato il monastero di Adisham, una grande casa di epoca coloniale oggi abitata da un gruppo di monaci benedettini che si mantengono vendendo i prodotti della loro azienda agricola (il succo di fragole era ottimo). Ma la parte migliore della gita ad Adisham è stato il viaggio; il monastero si trova a Haputale, poco più di 20 chilometri da qui, e per arrivarci abbiamo preso un pittoresco treno che passava in mezzo alle piantagioni di tè. Per la Grande e la Piccola è stata un’avventura: biglietto di terza classe e terza classe affollatissima, con bambini che spuntavano ovunque, gente seduta per terra e un affollamento impensabile. Senza contare il fatto che salire in carrozza è stato come dare l’assalto alla diligenza, attraversando vari binari (non necessariamente il treno si ferma vicino ad una banchina), sgomitando con gli altri passeggeri (all’inizio pareva che non si riuscisse nemmeno ad entrare: troppa folla) e passandoci le bambine uno con l’altro, perché non ci sono scalette di accesso. In realtà non ci sono nemmeno le porte, e quindi il treno viaggia sempre aperto: chi rimane vicino all’uscita deve stare attento, nel tragitto, a non rotolare fuori; per noi il tutto è stato divertente, anche se non esattamente confortevole. Ma i cingalesi a tutto questo non badano: anche uno sopra l’altro, anche in un vagone che va a venti all’ora, loro sorridono.

giovedì 30 luglio 2015

tuk tuk sì e tuk tuk no

Ella
La Famiglia in cammino invidia l’Ape; che esistessero due classi sociali di mezzi a motore lo sapevamo già; ci sono i guidatori di mezzi grossi e i guidatori di tuk tuk, che i mezzi grossi ritengono di poter buttare fuori strada. Da poco abbiamo capito che anche la classe dei tuk tuk è divisa in due. Ci sono quelli con l’Ape Piaggio, che ha un inarrestabile motore diesel e soprattutto è più grande e ha perfino una specie di bagagliaio; e ci sono quelli col Bajaj, di fabbricazione indiana, notevolmente più piccolo e molto più diffuso. Noi naturalmente abbiamo il Bajaj. Rosso fiammante, cilindrata 200. Una scatoletta. Questo comporta, diciamocelo, alcuni notevoli svantaggi; il primo è che, stando io seduta dietro tra le due bambine, praticamente viaggio con le ginocchia in bocca. Oltretutto, poiché non c’è bagagliaio, noi occupanti del sedile dietro abbiamo un po’ di borse fra le gambe. Durante la marcia quindi devo: assicurarmi di avere la bandana ben stretta, perché arriva aria da tutte le parti, come se si fosse su una decappottabile. I primi giorni non ci avevo fatto molto caso e infatti avevo la saggina al posto dei capelli. Devo tenere le gambe rigidamente nella stessa posizione, con le ginocchia in bocca e una borsa da bloccare con le caviglie. Tenere ben stretta con le mani la carta stradale, che rischia in ogni momento di volare fuori. Al momento attuale, la carta sembra un residuato bellico, segno di tutte le volte che in effetti mi era scappata, ma l’ho riagganciata in volo. Devo inoltre coccolare a turno la Grande e la Piccola, che mi si strusciano addosso dai due lati e tengono il conto delle coccole con una precisione ragionieristica. Sempre a turni rigorosi, inoltre, permetto loro di dormire con la testa sulle mie gambe già anchilosate. A tutto questo oggi si sono aggiunte due novità: la prima è l’enorme palloncino rosa, a forma di squalo, che la Piccola ha ricevuto in regalo ieri alla fiera di Kataragama; è davvero grandissimo, plasticoso e rischia di volare fuori in ogni momento. Bloccarlo dentro al tuk tuk ha richiesto tutti i miei sforzi. D’altronde avevamo promesso alla Piccola che, se fosse stata brava durante la processione, avrebbe potuto scegliere un regalino, e questo è stato l’infausto risultato. La seconda novità è un’enorme busta di frutta, dono per gli elefanti selvatici: ieri, pochi chilometri prima di arrivare a Kataragama, abbiamo trovato in mezzo alla strada un elefante. Gli altri guidatori gli porgevano frutta dai finestrini; d’altronde è noto che dar da mangiare agli elefanti porta fortuna, e su questo immagino che il pachiderma fosse d’accordissimo, visto che non accennava a spostarsi, ma tendeva speranzoso la proboscide verso qualsiasi veicolo passasse. Credo che su quel tratto di strada ci sia stato il senso alternato per ore, perché lui di spostarsi non ne aveva intenzione, e occupava per intero una corsia. Le bambine ci sono rimaste male perché non hanno potuto dargli nulla; quindi, nella speranza di incontrare altri esemplari, oggi abbiamo aggiunto al nostro carico anche un casco di banane. Elefanti a cui darle, ovviamente, non se ne sono visti. Però, nonostante i capelli da buttar via, le gambe anchilosate e la mappa stradale a rischio decollo, viaggiare in tuk tuk ci piace un sacco. Stiamo perennemente in un ciclone d’aria e non abbiamo mai caldo. Ci sentiamo parte del gruppo, perché la grande maggioranza dei cingalesi viaggia così. Non abbiamo difficoltà su sterrati, stradine strette, parcheggi impossibili. Ogni tanto riusciamo perfino a dare un passaggio a qualche signora a bordo strada. E se per caso rimaniamo insabbiati (come è successo un paio di settimane fa) basta una piccola spinta per tirarci fuori; invece, quando il fuoristrada del safari è rimasto nel fiume, c’è voluto un sacco di tempo e l’energia di una dozzina di uomini. Inoltre, cosa da non trascurare, in tuk tuk si può tranquillamente entrare tutti sporchi di sabbia, di ritorno dal mare. Tanto, alla prima curva, la sabbia vola via. 
Oggi siamo ad Ella, un villaggio sulle montagne, a mille metri di altitudine. Il paesaggio è completamente cambiato. Fino a questa mattina passavamo in mezzo alle risaie. Le bambine hanno imparato riconoscere le piante del riso, il riso messo a seccare per terra, i grandi sacchi pronti per il trasporto. Qui intorno, invece, ci sono distese di piante di tè a perdita d’occhio. Cosa ancor più incredibile, la temperatura è cambiata; questa sera, per la prima volta, abbino tirato fuori le felpe dalle valigie. 

mercoledì 29 luglio 2015

abiti da festa per elefanti

Kataragama
All’ingresso dell’enorme zona sacra di Kataragama i venditori ambulanti propongono grandi teli di plastica. Non abbiamo mai visto niente del genere (non venduto per strada, almeno) e solo dopo qualche minuto ne capiamo l’utilità: migliaia di persone questa notte dormiranno per terra, nelle vicinanze del tempio. Ci sono soprattutto famiglie allargate, con anziani e bambini piccoli. Hanno portato perfino l’occorrente per cucinare; quindi, nel tardo pomeriggio, il recinto sacro è una distesa di gente che accende fornelletti, che chiacchiera, che rincorre i bambini. Una distesa. Vicino al tempio c’è anche un corso d’acqua, dove centinaia di persone si stanno lavando. Hanno diligentemente portato bagnoschiuma e shampoo. Insaponano se stessi, i vestiti, i bambini. In Sri Lanka lo spettacolo di famiglie intere che si lavano nei fiumi, anche in città, è piuttosto frequente. Ma qui parliamo di centinaia e centinaia di persone che sguazzano fra i mulinelli e la schiuma. Secondo la tradizione questo è il lavacro purificatore che il fedele affronta prima di recasi al tempio, di solito portando offerte di frutta. In questi giorni si celebra il festival di Kataragama, una divinità riconosciuta dagli induisti e dai buddisti. Ma la città è sacra anche per i musulmani e per i cristiani. Una specie di Santiago in versione locale, e infatti anche qui arrivano pellegrinaggi a piedi da tutta l’isola. Il più faticoso parte addirittura da Jaffna, che si trova nell’estremo nord. Come avviene per il Cammino di Santiago, anche qui ci sono numerosi ostelli dove i pellegrini possono trovare un letto. Ma tanti di loro preferiscono equipaggiarsi con coperte e quindi dormire all’aperto. Il festival, che dura circa un mese, prevede quotidianamente una serie di riti che culminano con la processione serale: centinaia e centinaia di suonatori, ballerini e acrobati, oltre ad una ventina di elefanti bardati, che si muovono su un percorso circolare per circa tre ore. Con un po’ di fortuna riusciamo a conquistare quattro posti a sedere in prima fila poco prima che cominci la parata. Alla Grande piacciono i danzatori travestiti da pavoni, che imitano i movimenti del collo dell’uccello, simbolo di buona fortuna. Qui in Sri Lanka, oltretutto, è molto facile vedere pavoni liberi, che scorrazzano nelle vicinanze delle strade. Ne abbiamo incontrati decine, ma ogni volta è una sorpresa. La Piccola guarda incantata gli acrobati del fuoco, che fanno danzare giganteschi cerchi di fiamme sopra le loro e le nostre teste. Tutte e due si divertono a riconoscere, sotto la bardatura da parata (Non sapevo che esistessero vestiti per elefanti - ripete la Piccola), gli animali che hanno incontrato nel pomeriggio. Li hanno  visti in una strada vicina al tempio, sempre all’interno della zona sacra, mentre aspettavano il momento di andare in scena. La Grande e la Piccola hanno accarezzato il cucciolo (che più tardi ha aperto la processione) e hanno dato da mangiare ad un esemplare enorme, con una zanna soltanto, ricevendone in cambio ruvide carezze di proboscide. Pare, tra l’altro, che dar da mangiare agli elefanti porti fortuna (nella simbologia buddista l’elefante rappresenta la nascita). 
La processione finisce alle 23. Intorno alle zona sacra, dove adesso centinaia di famiglie stanno dormendo una accanto all’altra, rimane anche di notte un’enorme fiera con bancarelle di tutti i generi. La Piccola riesce a farsi regalare un palloncino e ora dorme abbracciata ad un pacchianissimo squalo rosa. Domani portarlo in tuk tuk sarà uno spasso. 

martedì 28 luglio 2015

laguna blu

Arugam Bay
Nonostante i dubbi del primo giorno, ci dispiace che sia giunto il momento di levare le tende anche da qui. In effetti, fino ad oggi in Sri Lanka non c’è stato un posto in cui non ci saremmo fermati volentieri una notte in più. Concludiamo la nostra permanenza ad Arugam Bay con una sontuosa cena di pesce. Ieri, lo ammetto, ci siamo fatti tentare dalla pizza, salutata dalla Grande e dalla Piccola come un’apparizione: ne hanno mangiata più di mezza a testa, gettandosi letteralmente  a capofitto sul ovatto, come se min mangiassero da settimane. Alla fine del pasto la Piccola ha sollevato la testa con aria di importanza e ha proclamato:- Se il mondo sareste fatto solo di pizza… che meraviglia! Me lo mangerei tutto! Per una volta non ce l’ho proprio fatta a correggerla; a 5 anni usa il congiuntivo di solito correttamente, ma la costruzione del periodo ipotetico presenta ancora delle insidie.
Nel pomeriggio, escursione in barca sulla laguna di Pottuvil, a pochi chilometri da qui. Grazie al senso dell’orientamento (e alla fortuna leggendaria) del Papà, siamo riusciti a contattare direttamente la cooperativa dei pescatori che se ne occupa, senza passare per una delle numerose agenzie di Arugam Bay. In questo modo, oltre a risparmiare qualcosa, abbiamo finanziato direttamente i pescatori, non ricorrendo ad intermediari. Le acque della laguna sono basse e piene di vegetazione. Le barche, quindi, devono avere un pescaggio ridottissimo e sono spinte a remi. Si tratta, più che altro, di zattere. Con una di queste, dunque, siamo partiti all’esplorazione: la laguna è immensa, e tutta circondata di mangrovie:- Sembrano mostri con i piedi in acqua! ha commentato la Grande. Pare che nella laguna vivano dei coccodrilli, ma non siamo riusciti a  vederli. Non che mi sia dispiaciuto troppo, perché a bordo di una zattera non mi sarei sentita a mio agio se un mostruoso alligatore avesse deciso si inseguirci. Intorno agli alberi e sull’acqua volavano decine di uccelli di specie diverse: ibis, aironi, becchi a spatola e molti rapaci. Alla fine, quando già cominciava ad imbrunire, sono comparsi anche stormi di pappagalli colorati.
Guardate - ha detto la Grande, puntando il dito in alto - ci sono tantissimi pappagalli! Ma… perché i pappagalli si chiamano pappagalli?
La Piccola:- Perché ripetono. Quando qualcuno ripete, si dice pappagallo. 

lunedì 27 luglio 2015

c'era un monaco che spazzava il sentiero

Arugam Bay
Il trattamento ayurvedico ha avuto effetti sorprendenti: dopo due giorni di continui bagni in mare, i capelli delle bambine sono ancora lucenti e morbidi. Immagino anche anche i pidocchi abbiano gradito, visto che sono ancora tutti al loro posto. E io posso anche aver commesso qualche errore nell’applicazione; ma a questo punto vorrei solo trovare una bella, concertata e aggressiva permetrina, in modo da chiudere la faccenda. Purtroppo, anche qui, si trova solo una lozione ayurvedica. La boccetta è diversa da quella del nostro caro olio e immagino lo sia anche il prodotto, ma confesso di non avere molta fiducia. 
Al di là del problema delle teste abitate, la tappa ad Arugam Bay si sta rivelando più interessante del previsto. Il posto continua a sembrarci fuori contesto, come se non avesse niente a che fare con lo Sri Lanka, ma ha un suo fascino; qui si raduna una sorprendete quantità di giovanotti “alternativi”, molti dei quali hanno capelli rasta (da cui la Grande e la Piccola sono rimaste molto colpite), girano scalzi a torso nudo e hanno l’aria di chi vive in un’altra dimensione. Una specie di hippie dei nostri giorni; grazie alle indicazioni di uno di loro, un ragazzo-padre inglese, abbiamo scoperto una favolosa spiaggia qualche chilometro fuori dal paese: pochissima gente, sabbia con cui giocare e onde perfette per il surf, su cui recentemente si è lanciata anche la Piccola. 
Ancora un po’ più oltre c’è il monastero buddista di Kudimbigala, che abbiamo visitato oggi pomeriggio; Kudimbigala non risponde al nostro concetto di monastero: si tratta di alcune decine di piccole grotte disseminate in un’area di 47 chilometri quadrati. Un tempo qui vivevano, nella povertà più assoluta, circa 200 monaci. Oggi i monaci sono una decina, e il nucleo abitato è soltanto quello centrale. Ogni monaco, che vive in castità e in povertà assoluta, ha a disposizione una piccola cella ricavata sotto un masso, con una doccia esterna. Nessun bene materiale, nemmeno un paio di scarpe. Su una collina, vicino ad una statua bianca di Buddha, c’è un’area comune dove i monaci tengono i loro libri, conservano il cibo e mangiano. Poiché non hanno energia elettrica (e quindi nemmeno il frigorifero) mangiano solo cibi secchi come riso e legumi, offerti dai fedeli in visita al monastero. I monaci vivono di carità e accettano offerte di cibo. Sul sentiero che passa in mezzo alle grotte incontriamo un monaco molto giovane, intento a pulire il sentiero con una scopa. Confesso che l’immagine di una persona che spazza con grande cura un sentiero di montagna, come se pulisse il soggiorno di casa, mi lascia interdetta per qualche secondo. Sono invece le bambine a farsi avanti. Il monaco spiega loro che questo luogo è abitato da più di mille anni. Che lui si è ritirato qui circa un anno fa, e che lo ha fatto per dedicarsi alla meditazione e allo studio del buddismo. A questo punto parte la mia domanda:- Ma non è difficile vivere qui…così? Lui mi guarda come se non capisse, poi sorride e risponde:- No. Non è difficile. 
Ci allontaniamo un attimo. Poi, all’improvviso, la Grande:- Perché hai chiesto se la vita qui è difficile?
Io:- Mah… secondo te non lo è?  
- Un po’ all’inizio, forse… Ma poi ci si abitua.
Interviene la Piccola:- A me piacerebbe venire ad abitare in una di queste grotte.
Io ci penso un attimo. Forse hanno ragione i monaci. Forse la strada giusta è mollare tutto. Auto, vestiti, cellulare. Mollare tutto e andare in un bosco a meditare tutta la vita. Forse per un periodo. Forse un’altra volta. Forse in una prossima vita. Chiedo alla Piccola:- E perché vorresti vivere così?
Lei si ferma, allarga le braccia e sorride:- Non lo so.
Risponde la Grande:- Perché si è liberi. 

domenica 26 luglio 2015

decalogo (o quasi) di sopravvivenza: non aprite quella porta

Arugam Bay
I viaggi della Famiglia in cammino presuppongono sempre un buon livello di organizzazione. Dopo due settimane esatte, abbiamo finalmente elaborato il nostro decalogo di sopravvivenza in Sri Lanka con due bambine e budget scarso: 
  1. Sorridere sempre. Anche quando si vuol dire no, grazie; anche quando ci si vuole allontanare. I cingalesi sono persone estremamente gentili. Loro non dicono mai di no; e qualsiasi cosa debbano dire, la dicono sorridendo (tranne i militari che l’altro giorno volevano arrestarci per il volo col drone; ma quello è un altro discorso).
  2. Poiché i cingalesi sorridono sempre e dicono sempre di sì, accertarsi che abbiano capito davvero quello che si sta loro chiedendo. Ci siamo resi conto che a volte non capiscono, ma sorridono e dicono ok per un fatto di cortesia; il che però può avere effetti spiacevoli. Quindi, non accontentarsi di un semplice ok, ma porre una domanda che esiga una risposta minimamente articolata; tanto per essere sicuri.
  3. Avere sempre con sé biscotti e acqua; durante questo viaggio non pranziamo quasi mai (il che qualche volta scatena il disappunto della Grande e della Piccola), un po’ per risparmiare, ma soprattutto per godere appieno delle giornate. Siamo quindi abituati a cene e colazioni abbondanti, ma è necessario avere sempre con sé qualcosa da sgranocchiare; giusto per placare improvvisi e devastanti attacchi di fame.
  4. Quando si ordina un caffè, premettere sempre la parola black, nero. In questo modo arriverà una disgustosa brodaglia quasi insapore. Ma almeno non arriverà una brodaglia marroncina, fatta di caffè acquoso con l’aggiunta di latte condensato. Imbevibile. Tra parentesi, io sono in paurosa crisi di astinenza da espresso; faccio qui appello ad amiche, parenti e conoscenti: la prossima volta che mi vedete, non fate domande e offritemi un caffè. Qualsiasi ora sia.
  5. Quando si chiede da mangiare per le bambine, premettere sempre not spicy, non piccante. La cucina cingalese è veramente ottima, ma prevede l’aggiunta di abbondanti dosi di peperoncino ovunque. Tolto il peperoncino, la Grande e la Piccola apprezzano molto i piatti locali. Ma togliere il peperoncino è essenziale.
  6. Contrattare: non siamo al livello dei paesi arabi (dove di solito si cerca di spuntare poco più ella metà del prezzo di partenza) ma un po’ di margine c’è sempre. Il costo dell’alloggio, per esempio, di solito è trattabile.
  7. Allontanarsi dai corvi: i centri urbani sono quasi sempre frequentati da gruppi di uccellacci neri, che amano le immondizie e spiccano il volo solo all’ultimo, spesso accompagnando il decollo con una bella caccona che arriva addosso al malcapitato più vicino: ho già varie esperienze personali; quindi, mai avvicinarsi ai corvi.
  8. Quando si parcheggia il tuk tuk, non lasciare mai niente a vista, soprattutto se colorato, perché le scimmie sono delle terribili ladre. Sanno benissimo che, a differenza delle auto, i tuk tuk sono facilmente accessibili; e di solito si precipitano a curiosare appena vedono allontanarsi gli occupanti. Qualche giorno fa, una scimmia ci ha svitato uno specchietto retrovisore; poi, per fortuna, è stata distratta da una copertina colorata, quindi ha mollato lo specchietto per terra e ha rubato la copertina. Vedere la scimmia in cima all’albero con la nostra copertina in bocca faceva sorridere, ma il povero Papà ha dovuto sudare per recuperare il maltolto. Un’altra volta, sorprendendo due scimmie che rovistavano sui nostri sedili, abbiamo urlato per cacciarle via. E loro, per tutta risposta, ci hanno ringhiato contro. Abbiamo dovuto tirare dei sassi per terra e brandire un bastone perché si decidessero a fuggire. 
  9. Nelle stanze d’albergo, tenere rigorosamente chiusa la porta del bagno; i bagni sono sempre infestati da zanzare, scarafaggi, rane. Se non si vuole che l’allegra compagnia entri anche in camera, ricordarsi, assolutamente ricordarsi di chiudere sempre.
  10. Per un vero decalogo mancherebbe un’ultima regola, lo so. Ma la Famiglia in cammino, anche quando si sforza di essere precisa, non lo è mai fino in fondo. Tenere a mente nove regole e rispettarle tutte ci sembra già un ottimo risultato.

sabato 25 luglio 2015

onde perfette

Arugam Bay
I cingalesi ci chiedono spesso la nazionalità, e ho l’impressione che come italiani siamo piuttosto deludenti: non sappiamo cucinare, non giochiamo a calcio e anzi il calcio non ci interessa proprio. Questo per loro è inconcepibile: ogni volta che diciamo “siamo italiani” la risposta è sempre: Football! Football! Noi abbiamo imparato a fare grandi sorrisi, smettendo di puntualizzare che del campionato sappiamo poco o nulla. Loro invece sono spesso in grado di citare nomi e squadre, anche se non sono sempre aggiornatissimi. Un paio di giorni fa, un signore anziano ci ha detto con grande entusiasmo: Football! Barosi! Barosi! Noi ci siamo guardati interdetti per vari secondi prima di capire che intendeva citare Paolo Rossi. Ci sembra che il calcio sia considerato uno sport appassionante anche in Sri Lanka (secondo, probabilmente, solo al cricket, che qui si vede giocare in ogni angolo di strada): oggi, sulla spiaggia di sabbia in cui le bambine costruivano il loro castello, si svolgeva una partita di football combattutissima e più o meno con trenta giocatori. 
Partendo da Trincomalee avevamo promesso alle bambine di andare di nuovo qualche giorno al mare. Oggi siamo ad Arugam Bay, il paradiso dei surfisti in Sri Lanka e uno dei posti famosi al mondo fra gli appassionati. L’idea è quella di riposarci qualche giorno (l’avevamo promesso a loro, e anche a noi non dispiace) e magari noleggiare una tavola per la Grande, che si era appassionata al surf in Australia ma che al rientro non ha più avuto occasione di tenersi in esercizio. La spiaggia di sabbia è particolare, con una lunga insenatura la cui forma prolunga molto le onde, rendendole particolarmente adatte per il surf. Vicino alla spiaggia ci sono molti noleggi che espongono tavole di tutte le dimensioni, e qui intorno la forma di alloggio più diffusa, chiamata cabana, è simile ai nostri bungalow. Il posto sembra vivace ed è pieno di gioventù, ma è anche decisamente diverso da tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi: ci sono ristoranti ricercati, bar con musica, negozietti e perfino alcuni studi di tatuaggi e piercing. Gli alberghi sono strapieni, e oggi abbiamo faticato più di due ore, battendo sistematicamente tutte le guesthouse, prima di trovare un posto. Fino ad oggi non avevamo mai visto niente del genere, e quindi il tutto ci appare un tantino fasullo. Ci sono alcuni turisti locali, ma la maggior parte è costituita da occidentali, tra i quali molti aitanti giovanotti appassionati di surf. Arugam Bay è carina, ma è quel tipo di località che potrebbe trovarsi in Sri Lanka come in Europa o in Australia. Ci sentiamo vagamente fuori posto. Come località marina ci piaceva più Trincomalee, che vive soprattutto di turismo interno (cosa che tra l’altro tiene i prezzi molto più bassi, il che non guasta); a Trincomalee non c’erano ristoranti con arredi di design, non c’erano bar con disco music a tutto volume e non c’erano tatuatori professionisti. Non c’era niente, ma era  questo il bello.  

venerdì 24 luglio 2015

miraggi e sogni

Batticaloa
La Grande e la Piccola hanno i capelli morbidissimi e lucidi: tutto merito dell’olio ayurvedico, che negli ultimi due giorni ho distribuito sulle loro teste in abbondanza (e che poi si è distribuito anche sui vestiti, sui peluche, sui sedili del tuk tuk); prossimamente vedrò se, fra gli altri benefici effetti, ha anche estirpato i pidocchi, che in effetti era il motivo per cui l’avevo comprato. 
Oggi siamo di nuovo sul mare: Batticaloa, anzi, si trova in mezzo ad una laguna. Dai fondali di queste acque, secondo la diceria popolare, si sentono cantare i pesci. Pare che il modo migliore per sentirli sia mettere un remo in acqua, poggiando l’orecchio ad un’estremità. Noi non abbiamo sperimentato, ma abbiamo ugualmente avuto un’apparizione eccezionale: un parco giochi. Era il primo, da quando abbiamo iniziato il viaggio. Le bambine lo hanno visto al termine della passeggiata, salutandolo come un miraggio e correndo sugli scivoli come se li sperimentassero per la prima volta. 
In mattinata abbiamo visitato le rovine di Polonnaruwa, che sono veramente spettacolari. L’area archeologica, che ha circa 800 anni, copre una superficie di 4 km quadrati ed è divisa in varie zone; il sito più noto è un gruppo scultoreo di 4 Buddha, di cui uno disteso lungo 14 metri. Notevole è anche il cosiddetto Quadrilatero sacro, che ospita una serie di edifici religiosi, ma le bambine sono rimaste deluse nell’apprendere che la reliquia del dente di Buddha, una volta custodita in uno di questi templi, non si trova più qui. 
Nel primo pomeriggio, trasferimento impegnativo fino a Batticaloa, coprendo una distanza di circa 110 km. Poiché il tuk tuk viaggia a velocità molto ridotte (30 all’ora, a volte qualcosa in più), abbiamo impiegato un bel po’. Per ingannare l’attesa oggi impazzavano i discorsi sul cibo. La cucina cingalese di piace. Quando non è troppo piccante, le bambine amano il riso saltato con le verdure o con i gamberetti. Di recente abbiamo scoperto gli hoppers: pastella di farina di riso e cocco, cotta in un piccolo wok. Il risultato è una specie di crespella circolare, sottile e croccante ai bordi e morbida al centro. Molto buono anche nella variante con l’aggiunta di uovo. Tuttavia, per quanto la cucina locale sia gustosa, la Famiglia in cammino comincia ad avere nostalgia dei sapori di casa. Il Papà è un vero duro, e quindi a lui non manca proprio nulla: trangugia, in silenzio  e di gusto, enormi quantità di riso, lasciando a noi deboli donzelle la nostalgia dei menu d’Italia. A me manca molto il caffè espresso. La Grande vorrebbe una fetta di pizza. La Piccola:- Mi mancano i mirtilli, le more e i lamponi. Mi manca la pizza. Mi mancano la pasta al pomodoro che prepara la mamma, il ragù che prepara la nonna. Le lenticchie che prepara la mamma…
- Le lenticchie? Ma se le abbiamo mangiate un sacco di volte, qui, le lenticchie.
- No. Ho detto “le lenticchie che prepara la mamma”. Qui le lenticchie non le sanno fare.
Per la cronaca: le “lenticchie della mamma” sono bollite e basta, perché io sono un disastro in cucina. E siccome sono anche fissata, non aggiungo nemmeno condimento. Lenticchie bollite, senza olio, senza sale, senza nulla. Mi sorprende che se ne possa avere nostalgia. 

giovedì 23 luglio 2015

incontro con la medicina ayurvedica

Polonnaruwa
Programma cambiato all’ultimo: oggi pensavamo di andare a vedere la città antica di Polonnaruwa, ma appena fuori dal nostro alloggio (stanza in casa di una famiglia) ci siamo imbattuti in una processione buddista. Ovviamente ci siamo infilati: c’erano suonatori, danzatori, decine di cingalesi a seguire la cerimonia e un enorme elefante bardato. Abbiamo poi saputo che si trattava di un’elefantessa, Raja, con cui i bambini hanno potuto giocare alla fine della processione, passandole sotto la pancia e in mezzo alle gambe mentre lei si godeva un po’ di riposo, finalmente all’ombra. Alla cerimonia eravamo gli unici occidentali, e infatti la Grande e la Piccola sono state l’attrazione per tutti i ragazzini presenti. C’era perfino una bimba curiosamente simile alla Grande; la bambina purtroppo non parlava inglese, ma questo non ha impedito che facessero amicizia. Pazzesco come i bambini riescano a giocare ovunque e con chiunque: è sufficiente avere più o meno la stessa età. 
Alla città antica andremo domani, ma intanto ci siamo goduti un vero bagno di tradizione locale. 
Nel frattempo metà della Famiglia in cammino sta ufficialmente sperimentando la medicina ayurvedica, una pratica antichissima che prevede l’uso di erbe, oli e altri prodotti naturali per ritrovare la salute attraverso l’armonia della mente e del corpo. In Sri Lanka i centri ayurvedici abbondano. Molti sono attrazioni per turisti, ma molti altri sono autentici. In alcuni di questi è anche possibile farsi visitare, avere una diagnosi e quindi una terapia personalizzata, ritrovando il proprio equilibrio interiore ed esteriore. Detta così sembra tutta poesia, in realtà la Grande e la Piccola stanno facendo un trattamento per i pidocchi. Accortami che la Grande si grattava con insistenza, mi sono dedicata ad una meticolosa ispezione per scoprire con orrore gli insetti e le lendini. Come li abbia presi è un mistero; il Papà è convinto che la responsabile sia la scimmietta che le bambine hanno avuto sui capelli pochi giorni fa. Io credo invece che i parassiti dell’uomo siano diversi da quelli delle scimmie, ma tutto questo poco importa, l’importante è agire in fretta. Poiché sulle teste delle mie figlie i pidocchi non sono una novità, ho già esperienza dei miracoli della permetrina, e piena di baldanza sono entrata in una farmacia per chiederla. Il farmacista ha sgranato gli occhi con l’aria di chi la permetrina non l’aveva proprio mai sentita, e mi ha consegnato invece un olio ayurvedico. E pensare che io diffido delle medicine alternative, sono scettica nei confronti dell’omeopatia, guardo con distacco le erboristerie e mi fido solo della potente, radicale e rapida medicina allopatica occidentale (è vero, ho dei limiti). Tuttavia è innegabile che col solito farmaco la situazione si risolve in mezz’ora, e invece quest’olio prevede un numero infinito di passaggi: messa in posa per tre (cioè tre) ore; notare che si tratta di un olio-olio, simile a quello alimentare, con effetti devastanti sui vestiti e tutto il resto; dieci minuti di esposizione della testa in pieno sole; primo risciacquo con succo di limone; nuovo risciacquo e lavaggio con shampoo normale. Il tutto da ripetere per due giorni di seguito. Oggi è il secondo giorno. Non so ancora se questo meraviglioso olio ayurvedico farà effetto, ma confesso: io sono per la permetrina. 

mercoledì 22 luglio 2015

giornata impegnativa

Sigiriya
Oggi, nell’ordine: abbiamo scalato una rupe fino alla reggia di un sovrano che si credeva un dio. Siamo stati quasi arrestati. Abbiamo visto, a pochi metri da noi, famiglie di elefanti che si abbeveravano, mangiavano e si coccolavano. E le bambine si sono divertite un mondo quando, al ritorno dal safari, la nostra jeep è rimasta impantanata in mezzo ad un fiume. 
La zona di Sigiriya è famosa per gli elefanti: oggi ne abbiamo visto uno addomesticato, che si lavava in un torrente insieme al padrone. Ma ce ne sono anche molti di selvatici, che ogni tanto si avvicinano ai paesi, calpestando i campi e facendo impazzire i contadini. La maggioranza di questi splendidi animali, però, rimane nel parco nazionale di Minneriya, e per vederli occorre noleggiare una jeep con autista. Gli elefanti sono abitudinari, quindi basta andare più o meno alla solita ora fino al lago, dove si fermano a bere, per vederne a decine. Questo fa sì che ci siano anche molti visitatori, ma gli elefanti in libertà rimangono uno spettacolo commovente. C’erano femmine con cuccioli piccolissimi che le seguivano docili, maschi che lottavano fra loro, decine e decine di esemplari che bevevano, si lavavano, mangiavano raccogliendo l’erba e poi strofinandola per pulirla dalla terra. Gli animali erano proprio a pochi metri dalla nostra jeep e le bambine erano estasiate nel vederli. La Grande ha anche dichiarato che non vuole più rinascere pesce della barriera corallina, preferisce essere elefante in un parco nazionale. Nel corso del safari abbiamo anche visto coccodrilli, decine di uccelli e naturalmente scimmie. E il piccolo pachiderma che rimane indietro e rincorre affannato la madre, per arrivare a prenderle la coda, credo che la Grande e la Piccola lo ricorderanno per un pezzo. 
Ma la vera avventura è stata al momento del rientro: il nostro fuoristrada si è bloccato nel bel mezzo di un torrente, finendo sommerso dal fango fino ai semiassi posteriori. Le bambine hanno vissuto il contrattempo come una giostra. Aiutato dal Papà e da altri guidatori locali, l’autista le ha tentate tutte: dondolare la macchina per cercare di tirar fuori la ruota, farsi trainare con una catena, rimettere affannosamente in moto (con l’unico risultato di finire ancora più in acqua, fra schizzi di fango sempre più alti). Ad un certo punto, come in un film, sono arrivati i nostri eroi, in forma di un gruppo di giovanotti (probabilmente indiani) simpaticissimi e un po’ esaltati, che hanno visto l’occasione un po’ come la Grande e la Piccola, cioè un motivo di spasso. Grandi risate, foto col cellulare, pacche sulle spalle. E alla fine, mettendosi a spingere la macchina in tantissimi, sono riusciti a tirarla fuori dal pantano. A quel punto però la jeep aveva scavato una specie di fosso nel torrente, e quindi altri veicoli sono rimasti bloccati. A nostra volta ci siamo fermati ad aiutarli, perdendo almeno un’ora mentre le bambine facevano il tifo con alte grida, applaudivano e si godevano, nel crepuscolo, l’arrivo di nuovi animali. La Piccola ha definito l’episodio il momento più divertente della giornata. E anche noi, grondanti sudore e fango, abbiamo fatto grandi risate e foto con i giovanotti nostri salvatori. 
In mattinata (con partenza alle 7, per evitare il caldo) siamo stati alla roccia di Sigiriya: si tratta di un’intera corte, con tanto di laghi e giardini, costruita su un monolite alto 200 metri, che svetta sulle foreste circostanti. Per arrivare in cima ci sono più di 1300 gradini. Durante la salita, oltre ad ammirare gli affreschi delle “fanciulle celesti”, bisogna stare attenti alle api: intorno alla roccia ci sono molti grandissimi nidi, e gli insetti, anche di recente, hanno più volte attaccato i visitatori. Nonostante i nostri timori, la Grande e la Piccola sono salite senza problemi, attente agli insetti (mamma, ma è proprio vero che se un bambino fa i capricci le api lo inseguono?) e affascinate dalla storia di Sigiriya:  una volta, 1500 anni fa, un principe minore che ambiva al regno uccise il padre; poi si fece costruire una reggia imprendibile, modellata sul reame di un dio. Alla fine, però, fu sconfitto dal fratello maggiore, legittimo erede al trono. La bambine si sono immedesimate (la conflittualità tra fratelli - o tra sorelle - è all’ordine del giorno) e hanno fatto molte domande. Purtroppo ai militari di guardia al sito non è piaciuto il volo del nostro drone, che il Papà ha fatto decollare subito dopo la discesa, per riprendere la roccia da lontano. Siamo stati quindi raggiunti dalla polizia e scortati all’ufficio della sicurezza. Niente di grave, ma abbiamo dovuto spiegare che sì, stavamo girando delle immagini con la macchina in volo e no, non volevamo farne commercio e non avevamo intenti pericolosi. Non so se i militari ci abbiano creduto o se siano stati mossi a pietà da due povere bambine luride, fatto sta che siamo ancora a piede libero. 

martedì 21 luglio 2015

senza scarpe è più bello

Sigiriya
Togliere le scarpe ci piace. Ci piace che in tutte le zone sacre i piedi vadano lasciati rigorosamente nudi, anche nei cortili o sulle scalinate d’accesso. - Quando mi tolgo i sandali mi sembra di entrare in un’altra vita - commentava oggi la Grande, che ama la speculazione filosofica. Magari non proprio un’altra vita, ma stare senza scarpe aiuta ad essere più silenziosi, più cauti; come se si entrasse a casa di qualcuno, nel salotto buono. Non a caso, in Sri Lanka quando si va a trovare un amico si lasciano di solito le scarpe sulla porta. E poi stare scalzi ci piace perché… è bellissimo. Ne parlavamo oggi, lasciando le ciabatte all’ingresso di un santuario.
Un po’ a malincuore abbiamo salutato il meraviglioso mare di Trincomalee e siamo tornati verso l’interno. La Piccola sta bene, salvo qualche disagio dovuto alla “diarrea del viaggiatore” che la colpisce regolarmente. La prima volta l’ha avuta in Marocco a sedici mesi, e all’epoca ci eravamo davvero preoccupati. Ora non si tratta di niente di paragonabile, e stiamo solo attenti a darle bevande zuccherate e fermenti lattici, confidando che anche questo problema, dopo la febbre dell’altro giorno, passi presto. Alloggiamo a Sigiriya, in una pensione a conduzione familiare con camere spaziose e deliziosa cena preparata dalla proprietaria. Oggi siamo stati a Dambulla, che si trova ad una ventina di chilometri da qui. Si tratta di un grande sito buddista, la cui attrazione maggiore (oltre ad un gigantesco Buddha dorato alto trenta metri, e poco affascinante nella sua modernità) è il cosiddetto “tempio di roccia”, una serie di grotte con decine di affreschi e statue, grandi e piccole; il tempio risale addirittura al primo secolo a.C ed è stato ricavato dal fianco di una collina dove un sovrano, prima detronizzato e poi tornato al potere, aveva trovato rifugio. Tutto il complesso è straordinario, e mantenuto vivo dai fedeli che ancora oggi si affollano a pregare e ad offrire fiori alle statue. Ci colpiscono i grandi Buddha sdraiati, uno dei quali è lungo ben 14 metri, ma abbiamo poco tempo da dedicare alla visita: la Piccola, complice la stanchezza accumulata nei giorni di malattia (anche questa notte si è svegliata più di una volta per il mal di pancia) è in giornata di grazia. Insegue sua sorella per disturbarla, si lamenta della salita (per arrivare alle grotte c’è un leggero dislivello con scalinata), entra ed esce dai santuari. Portiamo pazienza e andiamo via. Forse sono gli strascichi dei vari malesseri, forse a 5 anni non si può pretendere che si interessi all’ennesima statua di Buddha. Speriamo che domani si sia rimessa del tutto in sesto (anche dal punto di vista della quantità di capricci, che oggi superavano decisamente i livelli di guardia), perché ci aspetta la salita al sito di Sigiriya, che si trova su una rupe ben più alta di quella di oggi. 
Prima di salire a Dambulla, tappa in tuk tuk piuttosto impegnativa: la distanza da Trincomalee era circa 90 chilometri, ma il nostro mezzo va ad una media di 30 orari (40 se proprio il Papà vuole “tirare”); quindi, seduta dietro in mezzo alle due creature (per questioni di peso e anche perché altrimenti litigano troppo), escogitavo sistemi per intrattenerle, come già facevo durante i Cammini di Santiago, quando dovevano passare lunghe ore in passeggino. Oltre alle canzoncine, che sono un irrinunciabile cavallo di battaglia, ultimamente abbiamo scoperto l’etimologia dei nomi. La Grande e la Piccola adorano farsi ripetere il significato dei loro nomi e di quelli degli amici in Italia, a cui in effetti pensano spesso.
La Grande:- Mamma, cosa significa il mio nome?
Io: - Il tuo nome viene dal greco e significa “pura”, “pulita”. 
- E il nome della Piccola?
- Il nome della Piccola ha un’origine latina e significa “libera nei boschi”, “selvatica”.
- E il tuo nome, mamma?
- Il mio nome viene dal greco e significa “buona”.
- Ah. Cioè buona… con le tue bimbe, no?
- Sì, certo. Ma perché, con gli altri non ti sembra che io sia buona?
- Non tantissimo…

lunedì 20 luglio 2015

l'isola dei piccioni

Trincomalee
Un’estate di tanti anni fa, come regalo per la pagella di fine anno, io e mio fratello abbiamo ricevuto due maschere da sub. La sua era verde, la mia rosa. Con quelle esploravamo la scogliera di Catania (a volte anche semplicemente la spiaggia) alla ricerca di qualche raro pesciolino, e già ci pareva di entrare in un mondo incantato. Mi chiedo che emozione abbiano provato le mie figlie oggi, vedendo passare davanti ai loro occhi tanti cuccioli di squalo. A differenza della barriera corallina australiana, per raggiungere la quale si deve passare qualche buona ora in barca, Pigeon Island è proprio al largo di Nilaveli, pochi chilometri a nord di Trincomalee. Per arrivarci basta una barchetta da pescatori che si noleggia per pochi soldi (anche se si deve pagare l’ingresso al Parco Nazionale, che per gli stranieri è abbastanza costoso) e il tragitto dura pochi minuti. Sulla spiaggia di Nilaveli abbiamo anche noleggiato l’attrezzatura da snorkeling per tutti, e quindi ci siamo imbarcati. Certo, maschere e pinne non erano granché: molto cingalesi, diciamo, con alcuni rattoppi, i boccagli legati con lo spago e un elastico che si sfilava di continuo. Ma, appena sotto il pelo dell’acqua, lo spettacolo è stato indimenticabile: intorno all’isola c’è una barriera corallina che ospita centinaia di specie di pesci, e migliaia e migliaia di esemplari che non hanno troppa paura dell’uomo e si lasciano avvicinare. Enormi pesci blu e verdi. Pesci a righe, a pallini, neri e argentei. Banchi di pesci che rimanevano fermi mentre la Piccola si avvicinava. Un piccolo squalo che ha nuotato intorno alla Grande mentre lei lo guardava incantata. Un altro cucciolo di squalo più grosso: sarà stato lungo un metro, forse qualcosa di più, e anche se era un cucciolo metteva lo stesso un po’ di paura. E poi Branchia e Dory, gli amici del pesciolino Nemo, e stelle marine di tutte le dimensioni. La stessa spiaggia dell’isola è interamente ricoperta di corallo asciutto, e oltre a questo ci sono dei meravigliosi alberi, con un breve sentiero naturalistico (che noi però non abbiamo percorso, perché siamo rimasti tutto il tempo in acqua). Al rientro in tuk tuk la Grande,  che evidentemente non ha dimenticato le sue elucubrazioni sul buddismo, ha sciolto il dilemma:- Ho deciso - ha proclamato con aria solenne - se rinasco e non posso rinascere donna, voglio diventare un pesce della barriera corallina. Così nessuno mi pesca. 

domenica 19 luglio 2015

la grande paura

Trincomalee
La Piccola ieri ha avuto la febbre. Intorno all’ora di pranzo le si sono arrossate le guance, e all’improvviso il termometro ha segnato 38,5. Lei era abbattuta e stanca, cosa che non le capita mai, e ha passato quasi tutto il pomeriggio a dormire. Ha dormito in camera d’albergo. Ha dormito nel breve tragitto in tuk tuk fino a Nilaveli, e ha dormito sulla strada del ritorno. In compenso è stata sveglia quasi tutta la notte, e con lei siamo stati svegli anche noi. Agitati a pensare di cosa potesse trattarsi. A fare i conti dell’incubazione dell’odiosa dengue, perché in effetti qualche giorno fa la Piccola mi aveva mostrato un segno rosso sulla manina. Non sembrava una puntura di zanzara, ma... vai a sapere. Siamo stati svegli a misurarle la temperatura ogni tanto, per vedere se era il caso di darle la Tachipirina. Che poi in quei momenti non so mai cosa sperare: sperare che la febbre non sia troppo alta, che è meglio. Sperare che arrivi a 39, per poterle dare una pastiglia e avere l’illusione di fare qualcosa. Invidio davvero le madri che gestiscono serenamente la malattia dei figli. Di fronte alle malattie delle mie figlie io mi accartoccio e mi agito e non riesco a ragionare. Mantengo solo una tranquillità di facciata:- Va tutto bene amore mio, non preoccuparti, sei molto coraggiosa, fra poco sarà passato. E non so mai se lo dico a loro o lo dico a me stessa.
Questa notte, le prime otto volte la Piccola si è svegliata per chiedere acqua. La nona e la decima si è svegliata per vomitare l’acqua, perché aveva bevuto troppo. L’undicesima e la dodicesima volta ha chiamato perché doveva fare la cacca. La tredicesima (o la quattordicesima, perché nel frattempo abbiamo perso il conto) si è svegliata per disturbare sua sorella, e abbiamo capito che stava meglio.
Per tutta la giornata di oggi è stata sfebbrata e intrattabile. Supponendo che sia stato un colpo di calore, abbiamo cercato di tenerla al fresco e di farla riposare. L’abbiamo costretta a prendere i sali reidratanti (e le sue urla si sentivano in tutta la città, perché i sali proprio non le piacciono) e nel pomeriggio siamo riusciti a fare due passi fino al Koneswaram Kovil, un grande tempio indù che si trova in cima a Swami Rock, nel cuore storico della città. Luogo suggestivo, sia per la presenza del santuario sia per la bellezza del promontorio, e divertente passeggiata domenicale insieme a decine di famiglie locali, su una via piena di bancarelle. Per festeggiare lo scampato pericolo le bambine hanno ricevuto un regalino: la Piccola ha voluto un tuk tuk in miniatura. La Grande un flauto dolce che ha voluto provare in serata, assordando con fischi atroci tutti gli ospiti dell’albergo, e tutti gli avventori del ristorante. 
Ci fermiamo a Trincomalee un giorno più del previsto e quindi ripartiremo martedì. Io e il Papà abbaino due occhiaie che sembrano scavate col cucchiaino, ma è passata. Siamo felici. 

sabato 18 luglio 2015

se divento un fiore

Trincomalee
Abbiamo cenato nello stesso ristorante di ieri, accanto al nostro albergo, proprio sulla spiaggia. Mangiare (e poi dormire) così vicino al mare ci pare un lusso da non credere, ed ha indubbiamente molti vantaggi. Le bambine possono giocare con la sabbia mentre si aspettano le ordinazioni; poco fa, per esempio, costruivano castelli di sabbia e inseguivano piccoli granchi insieme ad atri ragazzini di nazionalità non pervenuta. Altro vantaggio del ristorante sulla sabbia è il prezzo: cena per quattro, con assaggi di cucina locale in quantità (troppo) abbondanti, per l’equivalente di 14 euro, mancia al cameriere inclusa. L’altra faccia della medaglia è che le bambine si sono riempite di sabbia al mattino quando siamo andati a fare il bagno; si sono riempite di sabbia al pomeriggio quando abbiamo passeggiato sulla spiaggia di Nilaveli, un’altra località marina poco distante. E si sono riempite di sabbia pure a cena, tanto che prima di metterle a letto si è resa necessaria la terza doccia della giornata. 
Trincomalee (dai locali chiamata semplicemente Trinco) ci pare un luogo vivace e con una sua personalità. C’è perfino una zona in cui vive stabilmente un gruppo di cervi; non abbiamo ancora capito cosa ci faccia Bambi con la sua mamma in mezzo ad una rotatoria cittadina, ma le bambine hanno apprezzato molto la sorpresa.
Lo Sri Lanka ci appare come un arcipelago di religioni diverse, che almeno apparentemente convivono senza grossi problemi: oggi, andando in tuk tuk sulla strada per Nilaveli, abbiamo visto una moschea, due chiese, due templi induisti; oltre al cimitero di guerra del Commonwealth, che ci siamo fermati a visitare. Le tombe risalgono alla Seconda Guerra Mondiale e ricordano soldati-ragazzi di nazionalità diverse: indiani, australiani, inglesi, italiani. La Grande ha lasciato cadere dei petali sulla lapide del caporale Giovanni Mazzoleni, che per qualche motivo l’ha colpita molto, prima di lanciarsi nella solita serie di domande a cui io non sono abbastanza adulta per rispondere: - Perché, mamma, ci sono le guerre? Perché tutti questi ragazzi sono andati a fare la guerra? Ci sono ancora guerre, nel mondo? Ce ne saranno? 
Io cercavo di rassicurarla, ma lei continuava imperterrita a sillabare i nomi sulle pietre, a leggere le età: - 25, 22 anni… Guarda, mamma, questo ragazzo aveva solo 18 anni! Ma sono tutti morti? Tutti morti? Fra tutti questi non ce n’è uno ancora vivo? Nemmeno uno? Non si può costruire un cimitero per i vivi, che sia un po’ meno triste di questo?
Siamo corsi via prima del previsto. Alla domanda perché esiste la guerra? non so rispondere. Alla domanda ci sono ancora guerre nel mondo? non mi sento di rispondere.   
Ma oggi era evidentemente giornata di speculazioni filosofiche. La Grande è affascinata dalle numerose edicole con il dio induista Ganesh, che viene rappresentato con sembianze di elefante; ma è ancor più colpita dalla filosofia buddista. Oggi, sorseggiando un succo. La Piccola si distrae a guardare un gruppo di mucche che transita fra i bagnanti della spiaggia. 
La Grande: - Mamma, è bella questa cosa che si rinasce dopo la morte. Però… come si rinasce? 
Io (il Papà nel frattempo si è defilato): - In che senso, amore?
- Voglio dire: io sono nata donna e voglio rimanere una donna. Se nasci maschio… bleah! Se nasci animale, ti danno la caccia. Nasci pietra, e ti lanciano in giro. Nasci fiore, e ti strappano da terra e ti raccolgono… A meno che tu non nasca come fiore di un’aiuola, che quelli non si toccano… Mamma, se rinasco fiore, posso nascere in un’aiuola?

venerdì 17 luglio 2015

quelli col tuk tuk e quelli che non

Trincomalee
Per cambiare una gomma, il tuk tuk si solleva a mano; ecco perché il ragazzo del noleggio ci aveva detto:- Chiedi aiuto. Noi non abbiamo un cric perché nessuno ha un cric, solo che fino ad oggi non lo sapevamo. Questa mattina il titolare del nostro albergo ha chiamato due forzuti giovanotti che ci hanno montato in un attimo la ruota di scorta, poi siamo andati dal gommista che ha sostituito la gomma bucata. Tutto molto più rapido e semplice di quanto credessimo. In effetti il viaggio in tuk tuk non sarà la scelta più comoda, ma in questo modo usiamo il mezzo di locomozione più diffuso in Sri Lanka, il che ha indubbiamente dei grossi vantaggi. Gommisti e meccanici sono frequentissimi, anche su strade poco trafficate, anche nei paesi più sperduti. Per fare il pieno non serve nemmeno un distributore: molti di questi minuscoli meccanici e molte rivendite di paese hanno da parte qualche bottiglia di benzina “rossa”; e a noi per un pieno bastano  4 litri. L’unico vero problema è che la strada risulta divisa in due grandi gruppi: i guidatori di tuk tuk, che sono la maggioranza; e i guidatori di camion, pullman e auto, che considerano i tuk tuk un inutile spreco di asfalto (i motociclisti sono un gruppo a parte, con comportamenti alterni e poco prevedibili). Quindi, quando incrociamo un grosso automezzo che viene dalla parte opposta, sta sorpassando e invade la nostra corsia (per la cronaca: si tratta della corsia di sinistra, perché la guida è all’inglese), siamo sempre noi a doverci fare da parte, mentre il camion/pullman/auto si comporta come se il tuk tuk non ci fosse, e anzi accelera e strombazza per chiedere spazio. Un paio di volte siamo stati letteralmente buttati fuori strada, ma ormai abbiamo imparato a prendere la cosa con cingalese serenità. Il Papà sente già un forte spirito di gruppo: oggi discuteva di marche e modelli con un altro guidatore di tuk tuk. E pensare che fa parte della categoria solo da quattro giorni.
Lasciata dunque Anuradhapura con rinnovato entusiasmo, ci siamo diretti alle rovine di Mihintale, che si trovano poco distante. La tradizione dice che in questo luogo fu introdotto il buddismo in Sri Lanka ad opera del leggendario Mahinda, imparentato con i regnanti indiani buddisti. Il sito è molto grande, si compone di diverse costruzioni e la visita è parecchio faticosa. Per accedere a tutte le zone si devono percorrere scalinate per un totale di circa 2000 gradini, non tutti in buone condizioni. Oggi però eravamo in forma, e anche le bambine sono riuscite a visitare il sito senza patemi. Ha aiutato, in effetti, la presenza di decine di scimmie, che la Grande e la Piccola osservano sempre con grande stupore. Lasciata Mihintale intorno all’ora di pranzo, ci siamo diretti verso est e verso il mare; adesso siamo a Trincomalee, una cittadina di pescatori. Il nostro albergo è sulla spiaggia. Ma proprio sulla sabbia.

giovedì 16 luglio 2015

e se si buca

Anuradhapura
Nel corso della sua unica lezione di guida tuk tuk, il Papà aveva posto la domanda al ragazzo del noleggio: - E se si buca una gomma? Della risposta avevamo riso per giorni: - Chiedi aiuto. 
Oggi abbiamo trovato il tutto un po’ meno divertente: fedeli alla tradizione dei nostri mezzi di trasporto economici e inaffidabili, abbiamo avuto la prima foratura. Il tuk tuk è diventato quasi ingovernabile, sbandava a sinistra e solo con un po’ di fortuna siamo riusciti ad arrivare in albergo. Qui ci hanno assicurato che domani mattina qualcuno ci darà una mano. Chi sia questo qualcuno al momento non l’abbiamo capito; però abbiamo colto il contrattempo, capitato in serata, come una buona scusa per non uscire a cena: la giornata è stata impegnativa, molto più comodo stare in hotel. Anuradhapura, dove ci fermiamo per due notti, ha un complesso archeologico di impressionante vastità: la città è stata capitale dello Sri Lanka fino al X secolo, quando è stata distrutta dagli invasori indiani e sostanzialmente dimenticata. Oggi rimangono una serie di monumenti: un grande monastero, antiche statue di Buddha e giganteschi dagoba, alti decine di metri, bianchi o in mattoni rossi. Il dagoba è un monumento a forma di cupola che può servire a conservare reliquie di Buddha o a rappresentarne il corpo. Abbiamo dedicato alla visita una giornata intera; purtroppo, poiché non c’erano punti di ristoro veri e propri, abbiamo saltato il pranzo (adesso, che è ora di cena, abbiamo tutti una fame terribile. Ma tanto rimaniamo in albergo, e quindi mangeremo rapidamente). 
Trattandosi di luoghi tuttora sacri, alle rovine di Anuradhapura si deve rimanere per molto tempo a piedi nudi, camminando su sabbia e rocce, per la gioia della Grande e la Piccola. Altra scoperta che le ha rese immensamente felici sono state le scimmie: oggi ne hanno viste a centinaia, perché le scimmie - lo abbiamo appena scoperto - sono ghiotte dei pollini dei fiori. L’offerta votiva più comune sono appunto i fiori freschi, che vengono depositati ai piedi delle statue e degli altari, e a volte immediatamente rubati dalle manine scaltre delle scimmie. Altro incontro ravvicinato con gli animali è stato nel pomeriggio, quando abbiamo incontrato un incantatore di serpenti. Le bambine, insieme ad una scolaresca locale, hanno guardato le evoluzioni del cobra (e io, nel frattempo agitata, cercavo di tenerle il più lontano possibile) e hanno potuto giocare con la scimmietta ammaestrata. A me il povero animaletto vestito di rosso faceva una certa pena, ma qui sembra che addestrare le scimmie a spettacoli di strada sia piuttosto comune, e anche i cingalesi si fermano e apprezzano. La scimmia si è stretta al collo della Piccola e non voleva più mollare i capelli della Grande. In serata la Piccola ha chiesto di portare a casa un cucciolo di scimmia come souvenir, ma al momento abbiamo preso tempo. 
Tra i monumenti più affascinanti che abbiamo visto c’è stato il Mahavihara, un tempio meta di continuo flusso di pellegrini; ci siamo capitati nel bel mezzo di una processione; le bambine si sono infilate con destrezza nel gruppo di fedeli, avvicinandosi silenziose all’altare per depositare la loro offerta di fiori. Poco distante è custodito un albero antichissimo: è nato da un germoglio della pianta sotto cui Buddha ha avuto l’illuminazione, ed è anche questo un luogo di grande sacralità. Ma qui la Grande e la Piccola si sono distratte osservando i numerosi scoiattoli che correvano fra i rami, per rimanere subito dopo a bocca aperta di fronte alle vesti arancioni e sgargianti di due monaci dalla testa rasata. 
Giornata splendida, con l’unico inconveniente della gomma bucata del tuk tuk. Ma alla gomma penseremo domani. 

mercoledì 15 luglio 2015

la mano destra alzata

Anuradhapura
Niente paura - aveva detto la proprietaria della pensione di ieri - sui letti non avrete zanzariere, ma qui non ci sono nemmeno zanzare
Bugia poco credibile e comunque smentita in un attimo, visto che prima di andare a letto, mentre il Papà appendeva con zelo le zanzariere nostre, io ne avrò uccise trenta, di zanzare. Oltre ad un paio di cimici e vari altri insetti non meglio identificati. In generale ci sembra che qui il rapporto con gli animali, grandi e piccoli, sia molto rilassato: mandrie di mucche e gruppi di capre attraversano la strada di continuo, cani e scimmie non si curano di cedere il passo. Lucertole e gechi camminano dentro uffici e ristoranti senza che nessuno se ne curi. Le bambine naturalmente accolgono tutto questo con vero entusiasmo: ogni singola scimmia (e anche la maggiore parte dei cani e delle mucche) riceve un saluto a gran voce. Gli animali compaiono in luoghi inaspettati, almeno per i nostri standard: oggi, al risveglio, la Grande e la Piccola erano letteralmente estasiate nel vedere alcune rane saltellare nel bagno della pensione. Io ho vinto a stento il ribrezzo, ma devo dire che l’anfibia sorpresa ci ha fatto cominciare la giornata col buon umore. E allora ben vengano anche le rane nel lavandino.
Oggi siamo partiti sul presto, diretti alle rovine di Yapahuwa, un enorme complesso del XIII secolo; un’antichissima capitale, tutta scavata nella roccia granitica, con una scalinata da far venire le vertigini, costruita così in pendenza apposta per dissuadere i malintenzionati. Per salire i gradini in pietra, arrivando sulla sommità di una collina che domina le foreste circostanti, bisognava qualche volta aiutarsi con le mani. A guardia delle rovine c’erano antichi mostri di pietra, archi e leoni. Dall’alto della collina, battuta dal vento, si vedeva un panorama mozzafiato: - Guardate, la jungla di Mowgli! Ha esclamato a gran voce la Piccola. Purtroppo la Grande ha avuto davvero le vertigini, e non è riuscita a completare la salita. Ma si è consolata poco dopo, rincorrendo le scimmie e bevendo il succo di una noce di cocco al bar. Poco dopo, ripreso il nostro tuk tuk rosso, ci siamo diretti a nord, al Buddha di Aukana, una statua gigante scolpita in un unico blocco di pietra nel V secolo. Si tratta di uno dei monumenti più famosi dello Sri Lanka, ma siccome è difficile da raggiungere non è una meta molto frequentata. Infatti abbiamo potuto visitarlo per i fatti nostri, portando anche dei grandi fiori rosa come omaggio. Anche qui, come in tutte le zone sacre (buddiste o induiste), si accede a piedi nudi, cosa che per la Grande e per la Piccola rappresenta un vero godimento; oggi, per esempio, abbiamo dovuto percorrere a piedi diverse decine di metri sui sassi, nella polvere e sulle rocce. La Grande mi faceva mille domande sulla spiritualità buddista, sul significato dell’illuminazione di Buddha, sulla rinuncia ai beni terreni. La Piccola non ha perso l’occasione per scoprirsi scalza, libera  e selvaggia, arrampicandosi ovunque e strisciando i piedini nella terra, casomai ci fosse ancora bisogno di sporcarsi. Ha coronato il tutto con alte e irriverenti grida di giubilo, ma per fortuna in Sri Lanka i bambini sono molto ben tollerati anche nelle zone di pellegrinaggio. Alto tredici metri e raffigurato in posizione eretta, probabilmente frutto di un’antica competizione fra allievo e maestro, il Buddha ci ha lasciato davvero senza fiato. Il nome della località, Aukana, significa “mangia-sole”. La statua tiene la mano sinistra sulla spalla, a fermare il drappeggio della veste. La mano destra è aperta e alzata, nella cosiddetta posizione del Non aver paura. Oggi Buddha ci trasmette un’emozione.

martedì 14 luglio 2015

è una fase

Maho
Si potrebbe pensare ai primi giorni di un viaggio come ad un idillio: l’entusiasmo per l’avventura che comincia, l’emozione di ogni scoperta, fiumi di energie positive. Niente di più falso, ma l’errore di valutazione è comune; anzi, lo commettiamo ogni volta noi stessi, e abbiamo sempre grandi aspettative per l’arrivo. Invece ogni volta, come oggi, i primi giorni di viaggio sono una fatica immane. Sballate dal fuso orario, frullate dal lungo volo, infastidite dal caldo umido, le bambine sono due iene insopportabili. La Grande, svegliandosi questa mattina ancora sotto la zanzariera, e coi capelli zuppi di sudore come se avesse fatto la doccia, ha dichiarato pigolando che lei nella vita ha già viaggiato abbastanza e che avrebbe preferito andare al mare. O anche stare a casa, purché si frequentasse la piscina comunale. Nel frattempo si svegliava la Piccola; lei in situazioni di nervosismo ha bisogno di uno sfogo fisico, e di solito lo trova nel pestaggio della sorella, attività che ha portato avanti con zelo dal momento del risveglio e per tutta la giornata. A un certo punto la Grande, oltre a recriminare sul viaggio, ha aggiunto che in effetti lei non aveva mai chiesto nessuna sorellina e che sarebbe rimasta volentieri figlia unica. Oltre a pestare la Grande, la Piccola ha urlato come indemoniata per qualsiasi cosa, si è buttata nella polvere alla minima occasione ed ha opposto un fermo “no” a qualsiasi richiesta: “Piccola, mettiti le scarpe”. “No”. “Piccola, sali sul tuk tuk”. “No”. “ Piccola, scendiamo dal tuk tuk”. “No”. Un anticoncezionale vivente, insomma. Nel senso che oggi, a chiunque la vedesse, passava in un attimo l’eventuale desiderio di avere figli.
Consapevoli che si tratta solo di una fase, o semplicemente speranzosi, oggi abbiamo affrontato i primi 130 chilometri in tuk tuk. Con un’unica lezione da parte del ragazzo del noleggio, il Papà già guida in stile cingalese, con inversioni a U in modalità suicida ed eccitanti slalom fra passanti e decine di cani randagi. Tappa di oggi, il tempio induista di Munnesvaram, dedicato al dio Shiva. Accompagnati da un anziano del posto in cambio di pochi soldi, siamo entrati nel sacrario interno a seguire i riti in onore della divinità, con offerte di cibo (soprattutto frutta, che poi viene distribuita ai poveri della zona), suggestivi canti salmodiati e passaggio di fuoco benedetto nelle mani dei presenti, noi compresi. Non c’erano altri turisti, e quindi abbiamo potuto seguire tutta la preghiera in prima fila. Durante il rito ci hanno anche dipinto la fronte con le dita, cosa che ha particolarmente entusiasmato le bambine. A causa di questo, però, e complice l’umore nero, è stato particolarmente difficile convincere la Piccola alla doccia serale (“Nooooo! Non voglio lavarmi via la pittura! Voglio farla vedere ai miei compagni di scuolaaaaaa!”).
Si adatterà. Noi tutti ci stiamo adattando. 

lunedì 13 luglio 2015

a non aver paura

Negombo
La Famiglia in Cammino ha avuto l’imprinting dei passeggini: tuttora ci troviamo bene solo viaggiando su mezzi scomodi, possibilmente a passo d’uomo, e con pochissimo spazio per i bagagli. In ossequio alla tradizione per cui il carico va ridotto al minimo, ed incastrato con talento acrobatico in un minuscolo portabagagli, qui abbiamo affittato un tuk tuk, una piccola moto-ape tutta scoperta, come quelle che usano i venditori ambulanti in Sicilia. Andremo al massimo a quaranta all’ora; avremo il vento, l’acqua in faccia e il caldo, il caldo tropicale addosso. Due magliette a testa per un mese; niente rossetto e tacchi, non c'è spazio. In sostanza un tuk tuk è l’equivalente di un passeggino per quattro; sono contente la Grande e la Piccola: loro, non vedendoci caricare in aereo le loro carrozze, erano state colte da panico: - Perché non ci sono i passeggini? Cammineremo tutto il tempo anche noi bimbe? Aveva chiesto la Piccola. Lei in effetti non ricorda un viaggio senza cammino. Il primo Cammino di Santiago l’ha fatto a due anni, e da allora non ci siamo più fermati. 
Come ogni partenza che si rispetti, anche questa è accompagnata da mille paure: lasciata in Australia la medusa-scatola, il mio terrore oggi è quello delle zanzare: di giorno la zanzara tigre, che porta la dengue, una febbre altissima accompagnata talvolta da forti emorragie. Di notte l’anofele, che porta la malaria. Scartata l’idea della profilassi (che le bambine non potrebbero comunque fare, che si accompagna ad effetti collaterali notevoli ed esiste solo per la malaria) abbiamo optato per una prevenzione composita: braccialetti ad ultrasuoni sul braccio sinistro. Braccialetti alla citronella sul braccio destro. Repellente in spray ovunque. Pantaloni lunghi, scarpe e berretti. A volte mi sembra di avere una paura folle, a volte mi pare che la cosa più importante sia imparare ed insegnare a non aver paura. 
Abbiamo cambiato i soldi ad un tasso vantaggioso. La prima pensione in cui ci fermiamo è carina, pulita e dotata di ventilatori. La gente è cordiale e siamo finalmente di nuovo lontani.
Siamo in Sri Lanka.