domenica 28 agosto 2016

il tuo primo volo

Vorrei scrivere due righe per te, amore mio Piccolo, ma non so da dove iniziare.
Potrei iniziare dicendo che è stato il tuo primo viaggio, e te la sei cavata alla grande; hai preso il latte dove capitava (sulle panchine al parco, al bar, in macchina); hai dormito quasi ogni sera in un albergo diverso, rannicchiato nel lettino da viaggio, insieme al tuo coniglietto azzurro che è già così importante. Hai dormito sempre, mangiato sempre, fatto sempre la cacca; in fin dei conti è tutto quello che ci si aspetta da un neonato.
Potrei iniziare dicendo che sei una “buona pasta”, come dice il Papà: sorridi di continuo, e hai imparato a ridere. Ridi quando le tue sorelle si tuffano in piscina, ridi quando ti si avvicinano a grandi salti. Spesso ti soffocano di baci esagerati, ti rubano il ciuccio, ti abbracciano in stile pitone. Ma tu le guardi sempre estasiato, e ridi. 
A volte ti osservo, come di nascosto, e mi incanti: per come muovi le mani davanti al viso, studiandole. Per come hai iniziato ad afferrare e a mettere in bocca tutto quello che ti capita a tiro: la fettuccia che tiene fermo il ciuccio, il lenzuolo, i miei capelli. Lo hanno già fatto le tue sorelle prima di te, ma tu sei tu e lo fai a modo tuo. Io ho la sensazione che ogni figlio mi regali un altro giro di giostra, e rivivo l’emozione di scoprirmi le mani. La magia di aprire e chiudere le dita. 
Ami metterti in bocca i piedini: del resto, così rosei e paffutelli, sembrano dei Buondì; cercherò di ricordarmene fra qualche anno, quando porterai il 45 e sarai più alto di me. Li guardo, i tuoi piedini, e non me ne voglio dimenticare.
Hai affrontato il freddo di Belgrado: e nella carrozzina, chiuso perché il vento non entrasse, ti toglievi il berretto con espressione di trionfo. Sei stato legato al tuo seggiolino per lunghe ore, in macchina; a volte piangevi di stanchezza. Ma poi la Grande attaccava a cantarti “mi sono iscritto a danza, l’ho fatto per la panza” e ti calmavi. Magari gorgheggiavi pure, neanche volessi seguire il ritmo: “Il volo dell’allodola, le mani contro il muro”. Sei stato trasportato, avvolto nel marsupio, alla ricerca di monasteri ortodossi nelle montagne, sotto un sole implacabile. E guardavi avanti, curioso, senza piangere. 
Hai affrontato il tuo primo viaggio e non hai fatto una piega: anzi, sei stato pure contento; allora potrei iniziare semplicemente dicendoti GRAZIE, Piccolo mio. Perché sei un po’ giramondo, come le tue sorelle, come noi. Perché sei arrivato nella Famiglia in Cammino. E sorridendo, piangendo e ridendo, come fosse naturale, hai iniziato a vagabondare con noi. 

mercoledì 24 agosto 2016

cose su questa città

martedì 23 agosto 2016
Belgrado (Serbia)
Belgrado odora di pop-corn. I chioschi che li vendono per strada sono talmente tanti che il profumo si diffonde in tutto il centro, suscitando l’interesse (e le pressanti richieste) della Grande e della Media. Io, comunque, non ho ceduto; passi per qualche strappo alle ferree regole di casa, ma i pop-corn sono concessi solo al cinema, dove andiamo mediamente due volte l’anno, e al tradizionale pigiama-party per il compleanno della Grande; punto e basta. 
Belgrado è grigia: probabilmente l’impressione è accentuata dal fatto che anche oggi la giornata è stata fredda e nuvolosa (a tratti piovosa), ma a noi pare che il grigio domini indipendentemente dal tempo: le strade, i palazzi, i grattacieli sono grigi. Anche il Danubio, su cui passiamo varie volte al giorno (per tornare al nostro albergo bisogna attraversarlo), non è azzurro ma è grigio. Tra parentesi, il Danubio è immenso. Cioè, proprio immenso. La Grande e la Piccola ne sono rimaste affascinate, tanto che adesso fantasticano su una crociera sul fiume. Oltre che sui pop-corn. 
Gli unici colori sgargianti che abbiamo visto sono quelli dei grandi pannelli sul corso principale, Knez Mihailova: decine di vignette satiriche, grandi, una dietro l’altra per centinaia di metri. Peccato che siano tutte soltanto in serbo, e quindi per noi totalmente incomprensibili. 
Belgrado è doppia: in periferia la gente rovista nei cassonetti alla ricerca di cibo; le persone rimangono sedute a terra insieme ai cani e qualcuno passa, su una moto vecchissima, a raccogliere cartoni di rivendere. La periferia è piena di negozi di vestiti di seconda mano; non si tratta di mania per il vintage; è proprio quel genere di “seconda mano” che compra chi non può permettersi un paio di pantaloni nuovi. I negozi del centro, invece, scintillano di grandi firme. Ci sono tanti bar modaioli e ristoranti dall’atmosfera sofisticata, con i tavoli al lume di candela. Noi, con tre bambini di cui uno da allattare, ci siamo tenuti ben lontani da tanto lusso; e abbiamo preferito, per due sere consecutive, una trattoria tipica e alla buona, con una deliziosa zuppa di manzo.
Belgrado è sorprendente; c’è un notevole fermento artistico (quadri, sculture, gioielli, ceramiche) e ci sono tantissimi musei. Noi ci siamo letteralmente innamorati di Nikola Tesla, il genio che ha inventato la corrente alternata, e siamo corsi a vedere l’esposizione a lui dedicata. Sorprendente anche il fatto che il museo sia visibile solo aggregandosi ad una visita guidata ed ascoltando una lunga conferenza. Il tutto era fuori dalla nostra portata, ma purtroppo ce ne siamo accorti solo dopo aver pagato il biglietto. L’unico esperimento a cui siamo riusciti a partecipare prevedeva una scarica elettrica luminosa (blu) e rumorosa, che ha spaventato il Piccolo, facendolo piangere forte. A quel punto, uscendo, abbiamo pensato di recuperare la delusione comprandoci un libretto su Tesla, ma (altra cosa sorprendete) non siamo riusciti a trovare nulla né in inglese né tantomeno in italiano. Abbiamo quindi ignominiosamente ripiegato su un magnete da frigo, da cui pensiamo di trarre grandi soddisfazioni. 
Belgrado è l’ultimo scampolo di viaggio: per questo la Famiglia in Cammino, da sempre ostile alla programmazione, ha deciso di fermarsi un giorno più del previsto. Oggi, nel maneggio annesso alla nostra pensione, la Grande e la Media hanno cavalcato due pony. Domani, nuvole permettendo, dovrebbero montare due cavalli. Oltre a giocare sulle carrozze, inseguire i pavoni e arrampicarsi, con sorrisi larghi, su scivoli improbabili. Per rientrare nella nostra vita c’è ancora tempo.

lunedì 22 agosto 2016

il cerbiatto e i tavoli sugli alberi

Belgrado (Serbia)
La Grande: - Allora, quante amiche posso invitare? 
La Media: - Sì, ma può venire anche la mia amica del cuore?
Entreremo al ristorante insieme, solo io e le mie amiche… Tu mamma magari vieni un attimo dopo, fingendo di non conoscerci. Così possiamo fare tutto da sole.
- Ma invitiamo anche la mia amica, no? Mica solo le tue!
- Quel giorno potremo ordinare quello che vogliamo? Sarà il mio compleanno: possiamo avere anche la Coca Cola?
- Va bene, però lo dico anche alla mia amica…
A volte penso che per i bambini il passato non esista. Esiste solo il presente, e ancor più vivido esiste il futuro; per tutta la sera la Grande non ha fatto altro che pianificare la festa per i suoi 9 anni: vuole invitare alcune amiche a pranzo al ristorante, rigorosamente senza genitori (nemmeno noi, anzi noi meno degli altri). La Media è angosciata perché vuole partecipare con una sua amica, ma non è ancora stata rassicurata in proposito. Il tutto potrebbe apparire normale, se non fosse che il compleanno della Grande è in febbraio, e quindi tutta quest’eccitazione appare vagamente in anticipo. Soprattutto perché io e il Papà, malinconici come ad ogni finale di viaggio, non ce la siamo proprio sentita di condividere l’entusiasmo per il rientro. La Grande freme per l’impazienza di rientrare a scuola. La Media è felice di iniziare la scuola. Io e il Papà avevamo invece voglia di proseguire le nostre scorribande nei Balcani, e quindi abbiamo deciso di fermarci due notti a Belgrado. Siamo in un albergo che sembra uscito da un film di Kusturica. La struttura con le stanze è a metà strada fra un coloratissimo e fatiscente parco giochi (speriamo che le altalene con cedano: non in questi due giorni, almeno) e il mini-zoo: ci sono oche, fagiani, capre, cavalli, un pony e perfino un cerbiatto. Poco oltre si trova il ristorante, che ha tavoli multicolori sospesi fra gli alberi, nascosti fra i cespugli o in bilico sopra la piscina. Il tutto a soli 48 euro per due notti, compresa enorme perdita di acqua sul pavimento del bagno. Ma la cosa non ci agita, perché in fin dei conti non si tratta del bagno di casa nostra. Ora speriamo che domani il tempo migliori, e che le bambine possano godersi la cavalcata che abbiamo promesso; oggi, purtroppo, in Serbia siamo stati accolti da un gran freddo e la pioggia.

domenica 21 agosto 2016

i disegni di un bambino

Skopje (Macedonia)
Durante il viaggio abbiamo sentito molti macedoni lamentarsi per gli enormi investimenti che il governo ha fatto su Skopje, lasciando indietro altre zone del Paese. Fra ieri e oggi abbiamo capito il senso di quei discorsi. Skopje è una città fuori di testa. Sarebbe curioso sapere quanti milioni sono stati spesi solo in statue di bronzo: quella di Alessandro Magno, di fronte alla quale la Media continua ad emozionarsi, è solo la più grande, ma ce ne sono decine di altre. C’è l’imperatore Giustiniano, ci sono i Santi Cirillo e Metodio, c’è una serie infinita di scrittori ed artisti macedoni, ovviamente sconosciuti ai più (sconosciuti a noi, se non altro). C’è perfino un gigantesco monumento alla maternità: anche in questo caso si tratta di una fontana enorme, con quattro statue di madri alte circa 15 metri. Sul fiume sono stati costruiti tre galeoni finti (ma a grandezza-galeone) che ospitano ristoranti e alberghi, e in generale si ha l’impressione che la città sia stata disegnata da un bambino (infatti la Grande e la Media sono estasiate). Rispetto alla parte nuova, a me e al Papà è sembrato molto più affascinante il vecchio bazar, che ha conservato un aspetto orientale e dove si susseguono decine di negozi, piccoli ristoranti, moschee e chiese. Il mescolarsi di elementi orientali e occidentali, in effetti, è proprio l’essenza del fascino dei Balcani.
Io e il Papà ci siamo fatti tentare da un narghilè aromatico al bar, ma poi abbiamo lasciato perdere per motivi di allattamento (il Piccolo mi deve un narghilè: sarò solerte nel ricordarglielo). Mi pento di non aver comprato un vecchio libro con ritratti di Tito, mentre il Papà ha voluto la foto antica di un’enorme famiglia in abiti tradizionali. Le bambine hanno rinunciato al loro regalino in cambio di una trasgressione inaudita: gelato al mattino e gelato al pomeriggio. Qui un cono piccolo costa l’equivalente di 20 centesimi e quindi possiamo permetterci di fare i signori, sapendo che fra poco saremo di nuovo in Italia. 
In mattinata abbiamo visitato anche il memorial di Madre Teresa, che era nata a Skopje nel 1910, proprio a fine agosto. Non è la sua casa (che è andata distrutta nel terremoto del 1963), ma un edificio nuovo che sorge al posto della chiesa in cui era stata battezzata. L’edificio ha un’architettura pazzesca, del tutto asimmetrica e con enormi pareti in vetro, il cui intento è lasciar passare la luce. Il memorial espone foto d’epoca, lettere, un velo del sari bianco di Madre Teresa. Speravo in un maggior numero di pannelli esplicativi, anche perché noi non ne sappiamo quasi nulla. In compenso la Grande è piuttosto coinvolta ed emozionata. Evito un paio di domande scomodissime (tra cui l’insidiosa “che cos’è un miracolo?”) e, tanto per cambiare discorso, comincio a discutere con il Papà per stabilire tempi e modalità di rientro. Domani lasciamo a malincuore la Macedonia e ci dirigiamo verso Nord, avvicinandoci a casa.   

sabato 20 agosto 2016

merito loro

Skopje (Macedonia)
Viaggiare con i bambini è più facile. Uno potrebbe obiettare che abbiamo la macchina piena di seggiolini, sdraiette, pannolini (anche sporchi) e attrezzatura di ogni tipo. Che abbiamo bisogno di innumerevoli letti e il cambio delle mutande comporta un’intera lavatrice. Quisquilie. La verità è che i bambini aprono le porte. Oggi, verso l’ora di pranzo, siamo entrati in un ristorante. Prima che ci accorgessimo che era chiuso, la Grande e la Media si erano già buttate nell’annesso parco giochi. Il proprietario, che si trovava là per alcuni lavori di sistemazione, ci ha indicato un tavolo: Lasciate giocare le bambine - ha detto - nel frattempo potete sedervi ad aspettarle. Ci siamo accomodati con l’intento di fermarci un quarto d’ora, e dopo poco abbiamo visto arrivare un gigantesco piatto di frutta: melone, anguria, pesche e uva. Questo ve lo offriamo noi - ha sorriso il proprietario. Problema pranzo risolto; la frutta, anzi, era talmente buona che abbiamo voluto dare al Piccolo un cucchiaino di melone schiacciato, e lui non si è fatto pregare per ingoiarlo.
Questa mattina, in ostello, altra sorpresa: ci siamo svegliati e abbiamo trovato Stevce e Valja, i padroni di casa, che cucinavano al piano terra. La colazione non era compresa nel prezzo, ma hanno voluto offrirci formaggio, frittelle calde, the e caffè. Valja ha confezionato due babbucce azzurre per il Piccolo. La Grande e la Media hanno avuto in regalo patatine e dolcetti. È l’albergo più bello dove siamo stati - hanno detto le nostre ragazze. E pazienza se la stanza era semplice, se l’unico bagno era dall’altro lato dell’edificio, se le scale scricchiolavano. La Grande e la Media stanno imparando a cercare qualcosa di diverso dalle comodità, e di questo siamo orgogliosi. 
Abbiamo salutato Stevce e e Valja con abbracci e promesse di tornare, poi ci siamo diretti ad un sito preistorico: feriti nell’orgoglio (ieri non siamo riusciti a trovare l’osservatorio megalitico), volevamo a tutti i costi riscattarci. E ci siamo riusciti, in effetti: abbiamo visto la Stonehenge della Macedonia; è un’altura rocciosa dove, nel Neolitico, si osservavano le stelle e si celebravano riti sacri. Sono ben visibili alcuni sedili ricavati nella pietra, ma per il resto bisogna un po’ lavorare di immaginazione. Come spesso avviene in questi casi, la Famiglia in Cammino ha pareri discordanti: io e il Papà siamo strabiliati (il sito è veramente impressionante); la Media ha una visione un tantino diversa: Sono solo sassi - ha sentenziato con aria di superiorità - abbiamo perso il nostro tempo. In compenso, arrivando in serata a Skopje, rimane entusiasta della grande statua equestre di Alessandro Magno nella piazza principale: alta più di 30 metri, è circondata da spruzzi d’acqua e luci colorate. Mentre racconto la storia di Alessandro e del cavallo Bucefalo, impartendo come al solito una noiosa lezione, penso che questo monumento è un inno al pessimo gusto. La Media, invece, ha uno slancio lirico: Meravigliosa - dice con aria sognante - quando guardo gli spruzzi d’acqua, sento un’emozione nel cuore. Contenta lei…

venerdì 19 agosto 2016

coca cola a cena

Kratovo (Macedonia)
Ammettiamolo: non l’abbiamo trovato. Vicino a Kratovo esiste un osservatorio astronomico del Neolitico: Cocev Kamen. Si tratta di uno dei siti archeologici più antichi di tutti i Balcani, eppure non ci sono mappe o indicazioni per arrivarci. Fiduciosi e baldanzosi, ci siamo infilati in un dedalo di stradine di campagna, convinti che l’avremmo trovato. Così purtroppo non è stato, anche perché nemmeno i contadini della zona hanno saputo darci indicazioni (qualcuno non l’aveva proprio mai sentito). Feriti nell’orgoglio, siamo tornati in paese con la coda tra le gambe; la Famiglia in Cammino, tuttavia, si è consolata con birra, Coca Cola e Fanta durante la cena. Il che rappresenta il massimo della trasgressione. Le bambine, inoltre, erano comunque contente, perché nella nostra affannosa ricerca ci siamo imbattuti in una grossa tartaruga di terra, che la Grande e la Media hanno preso in mano. Il che, per entrambe, valeva il pomeriggio speso a girare come matti in mezzo ai campi. 
siamo riusciti a vedere, invece, il sito delle bambole di pietra, spettacolari formazioni rocciose naturali che appaiono in effetti come gigantesche bambole. La leggenda vuole che si tratti del gruppo di invitati ad un matrimonio, pietrificati per vendetta da una giovane sposa ingannata. Le leggende ci piacciono sempre e quindi per oggi siamo comunque contenti. Oltre che per la Fanta, si intende. 
Ci troviamo nella San Gimignano della Macedonia: il paese è pieno di torri medievali, costruite a scopo difensivo e generalmente senza gradini, in modo che per i nemici fosse più difficile arrampicarsi. Ci sono poi numerosi ponti antichi, dalla forma a schiena d’asino. 
Negli ultimi due giorni abbiamo alloggiato in una casa antica di 400 anni (le tortuose scale in legno sono fantastiche) di proprietà di Stevce e Valja: si tratta di un “ostello Slow”; i proprietari fanno parte della rete di Terra Madre e producono la “kcana sol”, sale pestato con erbe tipico di questa zona. La Grande e la Media lo hanno assaggiato ieri, con pane e olio d’oliva, e lo hanno letteralmente adorato. Hanno voluto comprarne un chilo per noi, più qualche assaggio per gli amici. Lo produce Stevce, triturando finemente le erbe in un enorme pestello a mano, seguendo una ricetta vecchia di generazioni e che varia da famiglia a famiglia. Ci portiamo a casa un pizzico di sale della Macedonia, felici del fatto che le nostre figlie non apprezzano solo le bibite gassate. 

giovedì 18 agosto 2016

cetrioli a colazione

Kratovo (Macedonia)
Il pasto più problematico è sempre la colazione; la Grande e la Media apprezzano molto i sapori salati di prima mattina; tuttavia la nostalgia dei Pan di Stelle ciclicamente affiora, e a volte si rende necessario un minuto di coccole per superarla. A parte questo piccolo inconveniente, il rapporto della Famiglia in Cammino con la cucina macedone è ottimo. Non che ci sia mai stata una cucina che abbiamo disdegnato, ma viaggiando con i bambini qualche dubbio viene sempre. E invece. Al mattino, salvo rimpianti per i biscotti di casa, la Grande ama la pita, una specie di frittata con verdure da fare a pezzi e immergere nello yogurt liquido. Non disdegna salsicce, uova strapazzare, formaggio alla piastra. La Media ha deciso che il suo futuro sono le verdure: questa mattina ha mangiato due pomodori e due cetrioli con sale e olio. Ha aggiunto uova strapazzate, salsicce e the con latte. Le mie figlie evidentemente hanno lo stomaco di ferro. Il Papà mangia qualsiasi cosa in quantità abbondanti (evidentemente hanno preso da lui), mentre io continuo a subire il vituperio generale, dato che proprio non riesco a mangiare altro se non pane e marmellata. È un mio limite. 
La cucina macedone non è troppo grassa o troppo fritta, ma siamo sconcertati dall’abbondanza delle porzioni. Noi, anche nei momenti di maggior fame, ordiniamo solo due piatti in quattro e ne abbiamo abbastanza. Non è la prima volta che amici occasionali cercano di farci prendere qualche porzione in più, o ci chiedono se ci sentiamo male, dato che per i loro standard noi mangiamo pochissimo. Ma il punto è che qui le dosi sono veramente enormi. I prezzi, invece, sono al limite del ridicolo: solitamente, per un pranzo o una cena, inclusi birra e caffè (l’espresso si trova piuttosto facilmente, con mio grande sollievo), non arriviamo a spendere 8 euro in quattro. Adoriamo le insalatone (che qui vengono servite come antipasti), e apprezziamo il pesce e la carne ai ferri. Una delle basi della cucina macedone è appunto la carne, generalmente di pollo o maiale. Mangiamo poi molti peperoni, tanti dei quali piccanti, e cipolle fatte in tutti i modi. Qui tra l’altro divorare cipolle non pregiudica la vita sociale, perché tanto le mangiano tutti e la differenza non si sente. Questa sera abbiamo invece assaggiato con soddisfazione la pastramalia, uno dei piatti nazionali macedoni: su una base di pane (tipo pasta da pizza) si dispongono fettine di carne e peperoni. Domani contiamo di buttarci su un altro piatto tradizionale, a base di fagioli, erbe e spezie. Le bambine non scordano mai di ordinare il pane (che qui va richiesto espressamente; abbiamo anche imparato come si dice in macedone: lep) che condiscono con olive, salsa di peperoni o quello che capita. Appoggiate dal Papà e con mio enorme disappunto, non scordano mai di ordinare neanche le patate fritte. Ma forse, lontano da casa, qualche licenza al cibo poco sano si deve pur concedere…

mercoledì 17 agosto 2016

in fondo ad una valle solitaria

Omorani (Macedonia)
Non è che non programmiamo: è che troviamo difficile seguire i programmi. Pensavamo di fermarci qui soltanto un giorno. Ma poi, una volta arrivati, ci siamo guardati intorno, ci siamo guardati fra noi e abbiamo deciso di prolungare la sosta. Il paese, in fondo ad una piccola valle solitaria, è semi-abbandonato, semi-diroccato e totalmente integro, piccolo e sperduto al punto da non trovarsi sulle cartine. Le bambine sono andate in visibilio davanti alle piccole greggi di capre che scorrazzavano per le strade, alle galline che portavano i pulcini a razzolare, agli asini nei ruderi usati come stalle. Ovviamente non ci sono negozi, ma un anziano contadino ci ha permesso di raccogliere i pomodori dal suo orto e alcune uova direttamente dal pollaio. La Grande e la Media sono state contentissime, si sono piacevolmente imbrattate di cacca di gallina (più un’attività è sporca e più è divertente) e hanno fornito al Papà il necessario per preparare la cena: qui c’è una cucina a disposizione degli ospiti. La struttura nasce su una casa antica: costruita alla fine dell’Ottocento proprio di fronte alla chiesa del paese, era stata poi ampliata ai primi del Novecento con una seconda costruzione. Uno degli edifici veniva usato come abitazione, l’altro come fienile e ricovero per gli animali. Una decina di anni fa Vancho e Katrina, due coniugi di Skopje, hanno comprato gli edifici (che nel frattempo erano stati abbandonati) trasformandoli nella struttura che sono ora. Per un giorno siamo stati in vacanza, ci siamo goduti il giardino e ne abbiamo approfittato per riacquistare un aspetto civile: docce per tutti (incluso il Piccolo, che non faceva il bagnetto da una settimana) e perfino una lavatrice. In serata le ragazze hanno fatto amicizia con un gruppo di bambini del posto, con i quali hanno giocato a calcio sulla piazza sterrata. Ho approfittato della sosta per rifare il bagaglio: domani si riparte.

martedì 16 agosto 2016

auto-etno-museo

Omorani (Macedonia)
A tratti la Grande ha nostalgia dei due anni in cui è stata figlia unica; quando in macchina i suoi fratelli si addormentano, e lei rimane sveglia “come gli adulti”, ne gioisce immensamente. Chiacchiera eccitata e spera che la quiete si prolunghi; se il Piccolo o la Media aprono gli occhi lei tenta di riaddormentarli con una ninnananna, a volte perfino cercando di chiudere loro le palpebre a forza, con le dita. Il che può scatenare reazioni scomposte, soprattutto da parte della Media (al Piccolo, ancora per un po’, tocca subire). Oggi la Grande, in un momento di sonno degli altri due, si è goduta l’arrivo al paese di Omorani, che è veramente un luogo dimenticato. La maggior parte delle case del paese è diroccata, gli animali da cortile girano liberi, e al nostro arrivo abbiamo dovuto farci largo in mezzo ad una mandria di mucche che sostava sulla strada, occupandola per intero. Anche qui, come a Malovishte, come in chissà quanti altri villaggi delle montagne macedoni, sembra che il tempo si sia fermato al secolo scorso. Con la differenza che qui c’è una casa rurale e quindi ci si può fermare a dormire, occasione che ovviamente non ci lasciamo scappare. In mattinata, invece, allontanandoci da Bitola, ci siamo fermati a Krklino, dove esiste uno stranissimo museo etnografico: non si tratta di un’istituzione governativa o di una fondazione privata, ma di una singola persona che ha passato la vita a raccogliere cimeli del passato: vecchie auto e moto, macchine per cucire, strumenti musicali, carrozzine da neonati. Boris, così si chiama il collezionista, non ha mai smesso di riempire la propria casa con tutto quello che trovava; c’è perfino copia di una pagella di Kemal Ataturk, che ha studiato all’Accademia militare di Bitola. Le bambine si divertono a sbirciare in ignei angolo, fingendo di suonare un pianoforte antico o di lavorare all’arcolaio, ovviamente citando la fiaba della Bella Addormentata. Oggi, dopo decine di anni passati ad accumulare, Boris sta passando il suo museo (e trasmettendo la sua mania) al figlio Filip, che in quel guazzabuglio di abiti, di mobili, di oggetti vuole realizzare un bed and breakfast con annesso ristorante tipico. Ci ripromettiamo di tornare nei prossimi anni, per vedere il progetto realizzato. 

lunedì 15 agosto 2016

mashallah

Bitola (Macedonia)
Il fatto che i macedoni generalmente non parlino inglese ci spiace parecchio. E non si tratta di una questione di sopravvivenza: al ristorante di solito ci facciamo capire a gesti, oppure ordiniamo puntando a caso un dito sul menu (che quasi sempre è solo in cirillico): tanto nessuno di noi è allergico o schizzinoso, e quindi comunque si mangerà. Quello che vorremmo, però, è dialogare con i locali, il che spesso è impossibile. Per questo siamo stati particolarmente felici della sosta a Villa Dihovo: abbiamo potuto chiacchierare a lungo con Pece, il titolare, che conosce l’inglese benissimo ed è anche una persona piacevole, il che non guasta. Ha giocato a calcio (difensore centrale) come professionista all’epoca della Jugoslavia. Poi è stato nel campionato danese. Adesso ha smesso del tutto, ma tanto è bastato per mandare in visibilio la Grande, data la sua recente passione per il calcio. Pece insegna educazione fisica a scuola, in inverno fa il maestro di sci (sulle montagne qui intorno ci sono numerose stazioni) e soprattutto ha aperto un piccolo angolo di paradiso; Villa Dihovo è presidio SlowFood, e ogni due anni il titolare partecipa alla convention di Terra Madre a Torino (infatti è l’unico straniero mai incontrato ad avere un’idea di dove sia Trento, cosa che ci lascia a bocca aperta). Quando si tratta di mangiare la Famiglia in Cammino non delude mai: siamo ben felici di onorare la tavola e anche di assaggiare il vino biologico; Pece sostiene che nessun vino possa “invecchiare” più di pochi anni, e che le bottiglie resistano sugli scaffali dei supermercati, al caldo e alla luce, solo grazie a potenti dosi di conservanti. Noi non siamo esperti e quindi prendiamo tutto questo con beneficio di inventario. Non ci tiriamo indietro di fronte al bicchiere, e rimaniamo preda di un grave dilemma: a Villa Dihovo il vitto e l’alloggio non hanno un prezzo stabilito. Ognuno lascia quello che ritiene più giusto. Noi speriamo di aver pagato una cifra congrua, stabilita dopo lunghi ragionamenti, e ci dirigiamo verso la vicina Bitola, la seconda città della Macedonia per grandezza ed importanza. Visitiamo la chiesa di San Dimitri e la moschea Yeni, che si trovano a pochissima distanza l’una dall’altra. Sembra che la convivenza fra le due religioni possa essere molto facile; in realtà si ha l’impressione che non sia così, qui come altrove, e il pensiero mette un po’ di tristezza. La Grande e la Media mi chiedono cosa vogliano dire le urla del muezzin dal minareto. Chiedono il significato dei numerosi “Mashallah!” che i musulmani rivolgono al Piccolo, e che mi riempiono di orgoglio. Chiedono anche, ovviamente, chi sia Allah, e che cos’ abbia di diverso dal Dio dei cristiani. Provo a spiegarlo, ma non ci riesco come vorrei; forse non sono nemmeno la persona più adatta; nel frattempo arriviamo in vista di alcuni vecchi cavallucci a gettone. Le ragazze ottengono una monetina, insieme al permesso di salire. La Grande è alta, ormai fa fatica ad infilarsi. Ma è bello che ne abbia ancora voglia. Spero che si goda fino in fondo la bambina che è ancora. E sotto sotto spero di godermela ancora un po’ anch’io. 

domenica 14 agosto 2016

il paese sospeso

Dihovo (Macedonia)
Un aspetto divertente e faticoso del viaggio coi bambini è la necessità di passare e far passare il tempo. Le ore in macchina, l’attesa al ristorante, la camminata a piedi vanno riempite di giochi, di storie, di canzoni. La Grande quest’anno ha studiato coro, e quindi ha un vasto repertorio di brani (alcuni dei quali terribili) con i quali intrattiene la famiglia. I presenti non sono sempre felici, ma questo non sempre importa. Io e il Papà leggiamo poesie (ho tutto Pascoli sul telefonino: in effetti anch’io posso essere molesta) oppure raccontiamo le storie dei posti che visitiamo. Oggi abbiamo raccontato la faba di Malovishte: una volta, tanto tempo fa, un gruppo di pastori rumeni ha fondato un villaggio nelle montagne; il villaggio si chiamava Malovishte ed era molto ricco; c’erano case con grandi portoni, strade acciottolate e un’enorme chiesa dedicata a Santa Petka, che protegge i morti. Oggi di quello splendore non rimane più nulla, tranne alcune abitazioni diroccate e l’enorme cattedrale, che appare ormai fuori posto in un contesto del genere. L’intero paese sembra sospeso nel tempo, come in un museo, ma proprio per questo ha un fascino surreale. Arrivati dopo una strada tortuosa (e dopo esserci persi un paio di volte) veniamo subito adottati dai pochi abitanti (a Malovishte eventuali visitatori saltano subito all’occhio); riusciamo perfino a scambiare due chiacchiere, perché incontriamo un anziano signore che ha lavorato per anni in Australia e parla un po’ di inglese; una vera rarità. Per sua intercessione il custode ci apre la chiesa, e quindi possiamo visitarla anche all’interno (ma al Piccolo, che è un mago del tempismo, viene fame; quindi si tratta di una visita molto rapida). L’architettura bizantina ci piace sempre e qui dentro si conservano centinaia di icone. Usciamo subito dopo per visitare il paese-museo. La Grande e la Media si dedicano con entusiasmo a giocare con un gruppo di galline, fingendosi pastorelle per radunarle. L’entusiasmo è tale che la Grande non guarda dove cammina, e infila il piede in un’enorme cacca di mucca, sporcandosi fino alla caviglia. Lei sostiene che l’odore sia piacevole, e quindi devo ricorrere a qualche urlo isterico per convincerla a lavarsi ad una fontana. Per le strade del paese incontriamo mucche, cavalli e cani. Le nostre ragazze socializzano con una bambina del posto, che ci segue da quando siamo arrivati, e da qui non vorrebbero andarsene. Dobbiamo però partire nel tardo pomeriggio in direzione Dihovo, dove arriviamo in serata: alloggiamo in una pensione che offre cibo e vino biologici, a chilometri zero. La Grande e la Media giocano in giardino con il cane dei proprietari (un Samoiedo molto amichevole) e la cena è veramente da ricordare. 

sabato 13 agosto 2016

concerto per violoncello e noi sole

Podmolje (Macedonia)
La Famiglia in Cammino si è fatta riconoscere anche oggi: il Piccolo, melomane ancor prima di nascere, ha manifestato il suo entusiasmo per un concerto in chiesa con gorgheggi sempre più alti, sputando il ciuccio con fastidio ogni volta che cercavo di darglielo per farlo tacere. Il Papà ha pensato bene di portarlo fuori; ai due maschi si è unita rapidamente la Media, che purtroppo non apprezza Beethoven: per lei la musica ha senso solo se la si può cantare, possibilmente a squarciagola. A sentire il concerto, sonata per violoncello e pianoforte nella splendida chiesa bizantina di Santa Sofia di Ohrid, siamo rimaste solo io e la Grande. Nel senso che il pubblico era costituito da nessun altro oltre a noi due, l’una in braccio all’altra, con la Grande che mimava il suono del violoncello, strumento da cui si sente sempre coinvolta, perché ha iniziato da poco a studiarlo. Momento da ricordare.
Siamo colpiti dal lago di Ohrid, per la grandezza e la ricchezza. Oggi abbiamo fatto una breve uscita in barca per andare a vedere le sue sorgenti: si tratta in realtà di sifoni sotterranei da cui esce, filtrata dalle rocce, l’acqua, in grandi quantità e molto pulita. Mentre il resto della Famiglia si sporgeva pericolosamente dalla barca per toccare l’acqua freddissima, il Piccolo si dedicava ad osservare gli alberi intorno; le foglie mosse dal vento sono una delle sue passioni, e le guarda come fossero una di quelle giostrine che si fissano alla culla; sarà perché lui, terzo figlio in una famiglia di squinternati, la giostrina non ce l’ha. Anzi, a ben vedere non ha nemmeno la culla, e dorme nella navicella del passeggino. Scesi dalla barca, sempre in mattinata, abbiamo visitato il monastero di San Naum, che si trova sulle rive del lago e risale addirittura al decimo secolo. Nel pomeriggio, visita al centro storico di Ohrid. Le bambine si sono godute il giro sulle macchinine elettriche, i tappeti elastici per saltare ed un’enorme pannocchia arrostita. Divertimenti da fiera d’altri tempi. 

venerdì 12 agosto 2016

bebuska

Podmolje (Macedonia)
Ci ho messo un po' a capire che la padrona di casa, con il suo entusiasta "Bebuska!" urlato da un lato all'altro del giardino, si riferiva al Piccolo. Nella pensione di oggi, una piccola struttura con miniappartamenti affacciati sul giardino, siamo stati accolti come se fossimo i parenti che vivono lontano. La signora, che parla un po' di inglese (cosa rarissima: i macedoni tendono a parlare solo macedone, il che può complicare l'interazione), ha abbracciato la Grande e la Media, sollevandole da terra e facendo molti complimenti. Loro nella parte delle principesse ci stanno benissimo, e quindi hanno immediatamente ricambiato complimenti e baci. La scena faceva un po' sorridere, se si considera che ovviamente nessuno aveva mai visto nessuno prima di oggi. Ma forse questo poco importa. È stata certamente la conclusione migliore per una giornata iniziata con un po' di scoramento: a Leunovo, in montagna, ci siamo svegliati sotto la pioggia e con 9 gradi di temperatura. Abbiamo indossato più o meno tutto quello che potevamo (il Piccolo sempre con la sua tutina strettissima) e ci siamo fatti forza per fotografare la chiesa di Mavrovo, che esce solo per metà dalle acque del lago. La pioggia e la nebbia davano al tutto un'aria spettrale e affascinante, ma freddo e nuvole non sono esattamente quello che cerchiamo. È stato un sollievo, in tarda mattinata, tornare a vedere il sole. Tanto per rimanere in tema di architettura sacra, oggi siamo stati anche a vedere il monastero della Santa Immacolata Madre di Gesù, inerpicato sulle montagne vicino al paese di Bitola. La leggenda vuole che un'icona qui custodita sia stata portata via per tre volte, e per tre volte sia miracolosamente tornata al suo posto. La fede nei miracoli non è il nostro forte, ma gli affreschi sulle pareti della chiesa sono uno spettacolo che lascia a bocca aperta perfino il Piccolo, attratto dai colori oro e blu della volta. Tutt'intorno alla chiesa si raccolgono gli alloggi delle monache, disposti ad anello, a formare un muro perimetrale. La Media si è divertita a stuzzicare le oche e i pavoni del cortile e noi siamo stati felici della visita, che pure non era iniziata sotto i migliori auspici: poco prima che entrassimo, una monaca poco amichevole si era affacciata ad una finestra, urlandoci improperi incomprensibili (tutti in macedone) e chiudendosi di nuovo dentro subito dopo. Noi però, facendo finta di nulla, siamo entrati lo stesso...

giovedì 11 agosto 2016

cittadini della repubblica che non esiste

Leunovo (Macedonia)
Siamo vittime di alcuni clamorosi errori di calcolo. Eravamo convinti di arrivare alla destinazione di oggi entro l'ora di pranzo, invece ci siamo arrivati per cena. Non che si siano coperte lunghe distanze (circa 250 chilometri) ma la viabilità balcanica oggi ci è sembrata un delirio: traffico in tutte le cittadine, non una sola circonvallazione (si deve attraversare anche il centro di Tirana), pochissime indicazioni (generalmente in cirillico: abbiamo sbagliato varie volte) e un po' di attesa al confine. La pietà di un poliziotto ci ha evitato il controllo antidroga con cane, riservato a molti altri veicoli, ma l'analisi dei documenti è stata scrupolosa. Sballati i tempi, ci siamo fermati per pranzo intorno alle 4 del pomeriggio, quando ormai la Grande e la Media ululavano di fame (il Piccolo è l'unico che non ha problemi, perché viene ancora allattato), in un ristorante lungo la strada, ad Oktisi, con annesso allevamento di trote: i piccoli torrenti passavano letteralmente fra un tavolo e l'altro, e quindi le ragazze si sono divertite a catturare degli insetti per dar da mangiare ai pesci. Peccato solo che, arrivati al tavolo con una fame incredibile (e col Papà storicamente terrorizzato all'idea di non mangiare abbastanza) abbiamo ordinato molto più del necessario, uscendo dal locale con la pancia strapiena e un abbondante cestino di avanzi. Rimettersi in viaggio è stato abbastanza faticoso. Il paese dove siamo arrivati in serata è sulle montagne, in riva ad un lago, e la temperatura è autunnale; preparando il bagaglio non ho previsto l'eventualità di freddo notturno (altro errore di calcolo) e quindi non abbiamo pigiami: la Grande e la Media dormono con le felpe, ben sistemate sotto le coperte, e speriamo che questo basti. Avevo portato, invece, un'unica tutina di ciniglia per il Piccolo, scegliendola tra quelle che alla partenza gli stavano ancora grandi. Ma il giovanotto è cresciuto più del previsto, la tutina azzurra è decisamente corta, tanto che il poveretto deve tenere le dita dei piedi piegate su se stesse e non può stirare le gambe. Poco importa, perché tende ancora a dormire raggomitolato, ma questo è l'ennesimo errore di calcolo. Decisamente oggi non ne azzecco una. In compenso, cosa che mi pare in tema con la nostra totale disorganizzazione, nel pomeriggio siamo diventati cittadini di una repubblica sconosciuta: il paese di Vevchani, che non avevamo mai sentito prima, nel 2002 ha dichiarato l'indipendenza. Ovviamente non è stato riconosciuto da nessuno, ma nei negozi del centro storico sono in vendita passaporti e perfino banconote locali; non hanno nessun valore, ma - così ci hanno detto - sono stampate sulla stessa carta filigranata, ed emesse dalla stessa zecca, dei soldi "veri".  Naturalmente abbiamo comprato i documenti e ora possiamo vantare la cittadinanza di uno Stato che non esiste. Il che fa proprio al caso nostro.

mercoledì 10 agosto 2016

cinque

Kruja (Albania)
Questo viaggio non è stato pianificato: siamo partiti all'ultimo istante, senza idee chiare, senza nessuna prenotazione se non quella per la nave; e questa è la prima novità: ci siamo spostati non in aereo, ma via mare, da Bari a Durazzo, insieme a centinaia di albanesi che tornavano a casa.
La seconda novità è che siamo arrivati non dal Nord Italia, ma da Sud, partendo da Catania. La terza novità - prima che me ne dimentichi - è che siamo in cinque: la Famiglia in Cammino è cresciuta. È cresciuta, ma per fortuna non si è fermata: siamo partiti oggi per attraversare i Balcani in macchina, da Sud a Nord. Adesso siamo in Albania, ma contiamo di passare presto in Macedonia, dove - almeno secondo i programmi di oggi, che potrebbero non coincidere con quelli di domani - trascorreremo la maggior parte dei nostri giorni di nomadismo.
L'arrivo dell'ultimo nato, che ha il nome importante di mio nonno, porta con sé un'importante evoluzione nell'onomastica della Famiglia in Cammino: la Grande rimane sempre la Grande, essendo la primogenitura una condizione immutabile. Il Piccolo è naturalmente il Piccolo: in quale altro modo può chiamarsi una creatura di quattro mesi, la cui attività principale è infilarsi i pugni in bocca fino ai gomiti? Per evidente differenza, però, la Piccola diventa la Media; non so come lei accoglierebbe il cambiamento, e francamente preferisco non chiederglielo. Da qualche tempo a questa parte, con l'arrivo del Piccolo, lei definisce se stessa "Mezza Maggiore", ma mi pare francamente troppo lungo.
Dunque, Media sia.
Oggi giornata di recupero forze - l'imbarco e lo sbarco sono stati un delirio - nella cittadina di Kruja, che avevamo visitato sette anni fa. All'epoca con noi c'era solo la Grande. Avevamo comprato a Kruja alcune medaglie del periodo comunista ed una culletta antica, di legno, senza immaginare che ci avrebbe portato fortuna.