Vardzia - venerdì 3 agosto
La mamma piangeva e urlava. Il papà invece non urlava. Il ricordo del Piccolo fotografa perfettamente la situazione: ho gestito malissimo l’emergenza. Quattro giorni fa ad Ushguli, nel posto più remoto della Georgia più remota (ma coi bambini è sempre così: mai che si facciano male nelle vicinanze di un pronto soccorso), il Piccolo è caduto. È caduto nel modo più stupido, camminando in giro mentre eravamo seduti al bar, di ritorno dalla splendida ma faticosa passeggiata al ghiacciaio. Mi siedo un attimo a sorseggiare una birra e sento la Media chiamarmi: Mamma, vieni! È caduto!
Mi giro pensando al solito scivolone, ma vedo il mio bimbo in una maschera di sangue. Urla disperato; ha sangue negli occhi, in bocca, su tutti i vestiti. Io non capisco cosa sia successo (ha battuto su un muretto con pietre a vista, ricostruiremo dopo qualche ora) ma mi trasformo letteralmente in un animale: lo prendo in braccio, me lo stringo contro, vorrei che nessuno lo toccasse ma nel frattempo anch’io sto urlando. Si raduna intorno a noi un gruppo di persone. Per la maggior parte sono ciclisti russi, è un gruppo in sosta che avevamo già notato. Una di loro, coi capelli rossi e la pelle scottata dal sole - non so perché registro questo assurdo particolare - si fa avanti: Sono un medico - mi dice - presto, lo stenda su questo materassino. Io sulle prime non ci riesco, vorrei solo stringerlo e portarmelo via, lontano dal muretto, lontano dal sangue. Ma intanto la dottoressa russa si impone: Lo stenda, subito!
Il Papà riesce a mantenere il controllo: Stendilo - mi dice - e stai calma. Parlagli.
Io penso che siamo in un posto dimenticato da Dio, nel paese del Medioevo, distanti ore e ore di terribile strada sterrata da un qualsiasi presidio medico. E intanto il mio bimbo perde sangue e urla, e urlo e piango anch’io. La dottoressa fa apparire magicamente una cassetta di pronto soccorso. Il cuoio capelluto sanguina tantissimo. La dottoressa lo disinfetta e lo fascia. La Grande e la Media piangono. La Media si sente in colpa, perché era lei a giocare col fratello quand’è caduto. Riesco a dirle che non è colpa sua, ma intanto continuo a piangere.
Poi, all’improvviso, il sangue si ferma. La dottoressa consegna il Piccolo al Papà (deve aver pensato che le sue braccia fossero più sicure) e intanto mi abbraccia: Non è successo niente - dice - il taglio è già a posto. State attenti, invece, ad eventuali conseguenze della botta. Che sia vigile, che cammini bene, che non vomiti.
Il Papà riesce a ringraziarla. Io penso solo a riprendermi il Piccolo, che ha una vistosa fasciatura intorno alla testa ma ha finalmente smesso di urlare. Dice di aver fame, chiede pane. Vorrebbe rincorrere alcune caprette poco distanti.
Torniamo alla pensione frastornati. Io, la Grande e la Media siamo ancora in lacrime; ho i vestiti pieni di sangue, non ne sopporto l’odore ma non voglio lasciare il mio bimbo per cambiarmi. Il Papà ha mantenuto la calma e la dignità. Il Piccolo si sente al centro dell’attenzione e ci gode: Mi hanno messo un cerotto! La dottoressa mi ha curato! urla a destra e a sinistra, indicandosi la testa tutta fasciata. Poi mi abbraccia e dice: Mamma, non piangere. Tu sei la principessa di me…
Tutto a posto adesso. Non c’è nemmeno bisogno di un cerotto. Il taglio non si vede più. Ma la paura me la ricorderò per tutta la vita.
momenti terribili terribili. pap
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