martedì 7 agosto 2018

battesimo del vino

Tbilisi
Alla vigilia della partenza, il Piccolo ha deciso tutt’a un tratto che la cucina georgiana è il suo futuro. Oggi, per la prima volta, chiedeva a gran voce khachapuri, e non pasta o pizza come ha fatto nelle ultime tre settimane. Peccato solo che siamo sulla via del ritorno a casa-casa nostra.
La Media sta bene, compatibilmente con il fatto che ieri non ha mangiato nulla e non riusciva a trattenere nemmeno un sorso d’acqua. I bambini però hanno capacità di ripresa sorprendenti, e quindi in compenso oggi ha avuto il battesimo del vino. A Sighnaghi siamo stati da Pheasant’s Tears, una piccola famosissima enoteca di proprietà di un americano sposato con una georgiana. Lui si chiama John Wurdeman, fa il pittore e si è innamorato della Georgia al punto da fondare un’azienda che produce vino biologico. Oggi esporta le sue bottiglie in tutto il mondo, compresi ristoranti stellati Michelin. Il vino georgiano, che ha una storia millenaria, non viene fermentato in botti, ma in grandi recipienti di terracotta, il che gli conferisce un gusto particolare. 
Noi non siamo certo intenditori, ma abbiamo colto l’occasione per una degustazione. A quel punto la Grande e la Media ci hanno chiesto rispettosamente di annusare (sanno bene che l'alcol è vietato), ma a noi è parso che un assaggio potesse essere una trasgressione divertente. Quindi hanno potuto esprimere una preferenza fra i bicchieri che avevamo sul tavolo: la Media ha scelto un bianco, la Grande un rosso. Solo un sorso a testa, ma è stato un piccolo evento, con tanto di brindisi celebrativo. Il sapore è stato molto gradito, anche se sospetto che si siano godute più che altro la piccola trasgressione. Il Piccolo ha strepitato per averne anche lui, ma si è dovuto accontentare degli stuzzichini arrivati sul tavolo insieme ai bicchieri, tra cui un formaggio veramente buono e veramente forte, che ha mostrato di apprezzare particolarmente. Rinuncio a capire i gusti dei bambini. 
Dell’azienda di John fanno parte anche due ristoranti a Tbilisi; in un primo momento avevamo pensato di sceglierli per la nostra ultima cena in Georgia, ma poi ci è parso che portare tre bambini stanchi in un locale raffinato non fosse il modo migliore per goderci la serata. Abbiamo quindi ripiegato su un posto in stile “vecchia unione sovietica”, con cucina georgiana a prezzi bassissimi e un arredo anni Settanta che sembrava uscito da un vecchio film. Ormai conosciamo bene i piatti che ci piacciono e quindi, dopo aver condiviso col Piccolo il nostro ultimo khachapuri per strada, siamo andati abbastanza sicuri sul menu: lobio (zuppa di fagioli speziata, servita in un vaso di coccio dalla bocca stretta), khinkhali (fagottini di pasta ripieni di carne), kharcho (zuppa tradizionale di riso, verdure, spezie e manzo). Solo non abbiamo capito perché il locale si chiami “Cafè Palermo” dato che di siciliano non c’era proprio nulla e i proprietari non parlavano una parola di italiano. Magari lo scopriremo al prossimo viaggio. Ciao ciao Georgia. 

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