venerdì 31 luglio 2020

perché si chiama così

TAPPA 34 - Da San Gimignano ad Abbadia Isola 25 km
È stata la volta dell’Elsa, oggi. Stavamo per imboccare il ponte, riportandoci sulla Via Francigena «ufficiale» e verso la fine della tappa, ma poi abbiamo sentito schiamazzi giovanili, e per una volta non erano i miei figli. Sotto di noi si aprivano le anse del fiume, accompagnate da spiagge. Io e il Papà ci siamo guardati. Abbiamo guardato l’orologio. Non c’era il tempo di fermarsi. O meglio, non ci sarebbe stato. Perché un attimo dopo eravamo già tutti a mollo. Il Piccolo a lamentarsi perché l’acqua era fredda (infatti è uscito in pochi minuti, preferendo molestare i presenti con la sua pistola ad acqua), la Grande e la Media a tuffarsi a ripetizione insieme tutti gli adolescenti della Val d’Elsa. Poco prima avevamo visitato il borgo di Colle Val d’Elsa, lungo e appollaiato su un poggio. Rispetto alla strada classica, più rispettosa del percorso compiuto dal vescovo Sigerico nell’aprire la Via Francigena, abbiamo scelto la variante per Colle Val d’Elsa. Uno splendore. Sentieri facili, molta ombra e bagno finale, poco prima di arrivare ad Abbadia Isola. Qui siamo all’ospitale accanto alla chiesa romanica del dodicesimo secolo, accolti da Don Doriano. In lontananza, su un’altra collina, si vede il profilo di Monteriggioni. C’eravamo stati, qualche mese fa, e lì avevamo visto per la prima volta un cartello della Via Francigena. All’epoca sapevamo che ci sarebbe piaciuto percorrerla, ma non sapevamo bene quando. Stiamo per rivederlo, quel cartello, e questa volta ci siamo arrivati a piedi. Vedere le mura in lontananza è stata un’emozione: «Mamma - ha esclamato la Media - stiamo arrivando a Monteriggioni! Ci stiamo arrivando davvero!». Poi si è fermata a riflettere. Ha assunto un’aria da saggia per lei del tutto inusuale: «È un’emozione strana - ha aggiunto - da un lato sono felice, perché siamo riusciti ad arrivare fin qui. Dall’altro mi dispiace, perché a Roma manca poco; il Cammino finirà troppo presto». Nel frattempo arriviamo ad Abbadia. Entriamo, attraverso un sottopassaggio di pietra, nell’antico nucleo medievale del borgo. Rimaniamo tutti a bocca aperta di fronte al complesso che ci ospiterà. Ed è sempre la Media a commentare: «È incredibile che ci siano tutti questi borghi così belli. Ora capisco perché l’Italia è soprannominata “il Bel Paese”. Lo è davvero». Già. Lo è davvero. 

giovedì 30 luglio 2020

la manhattan del medioevo

TAPPA 33 - Da Gambassi Terme a San Gimignano 14 km
Valli a capire, gli uomini. Oggi il sole scaldava molto più di ieri: massima di 38 gradi, in Toscana, e si continua a camminare al sole. Peggiori i sentieri, oggi, peggiori anche le salite. Il chilometraggio è stato inferiore a quello di ieri, ma la tappa nel complesso più faticosa. Eppure il Papà è stato benissimo. La quantità d’acqua che abbiamo consumato si è mantenuta nei limiti dell’umano, e le soste non sono state troppe. Il meccanismo di causa-conseguenza mi sfugge, ma il fatto che oggi il maschio alfa sia stato bene ha reso immensamente felice la Famiglia in Cammino. E ce la siamo proprio goduta, questa meravigliosa traversata della campagna toscana, qui tutta circondata d’uva. Dev’essere uva che rende bene, a giudicare dall’aspetto di alcuni agriturismi che la nostra strada fiancheggiava. Noi però siamo pellegrini: niente costose degustazioni. Dopo sarebbe troppo difficile riprendere la marcia. L’arrivo a San Gimignano è pazzesco: la cittadina si vede da lontano, una sagoma in controluce con uno skyline di grattacieli medievali in fila. Il Papà, che oggi è perfino ispirato, la definisce «la Manhattan del Medioevo», e mi sembra una definizione calzante. Il problema è che di Manhattan mantiene anche la densità della popolazione, e l’arrivo in centro . congestionato di turisti - è piuttosto traumatico. Attraversiamo porta San Matteo e ci sembra di fare un tuffo nel passato. I bambini rimangono a bocca aperta di fronte all’imponente arco di pietra. Ma giusto il tempo per una foto e torniamo immediatamente al presente: ovunque ci sono negozi di souvenir, offerte speciali, ragazzini che distribuiscono depliant di ristoranti e alberghi. Per fortuna con l’alloggio siamo a posto: dormiamo all’Ospitale Santi Agostino e Giacomo, che è veramente una perla: piccolino, stretto fra le mura e la chiesa romanica di Sant’Agostino. Le hospitalere sono deliziose e riesco perfino - elemento di giubilo non da poco - ad approfittare della lavatrice. Tra il Papà che mantiene la velocità di crociera e la brevità della tappa, riusciamo ad arrivare all’ora di pranzo. Facciamo una doccia come si deve, riposiamo un po’. I bambini giocano correndo in giardino. Loro non sono mai stanchi: come facciano è un mistero che cercherò di svelare, prima o poi: il moto perpetuo mi farebbe veramente comodo. 
Domani tappa impegnativa. La giornata sarà di nuovo calda. Per evitare il solleone, godendoci la Via e il Papà, abbiamo anticipato la partenza alle cinque e la sveglia alle quattro. Siamo tutti felici all’idea di vedere l’alba: è un entusiasmo di cui io per prima mi stupisco. 

mercoledì 29 luglio 2020

le mesetas toscane


TAPPA 32 - Da San Miniato a Gambassi Terme 24 km 
L'ostello di Gambassi é splendido. Si trova all'interno della pieve di Santa Maria in Chianni, all'ingresso del paese. La chiesa risale al XII secolo. È davvero un peccato avere giusto il tempo di scattare due foto all'esterno: arriviamo tardissimo, questa sera. La tabella di marcia era compromessa già al mattino: troppo simpatici gli hospitaleri di San Miniato. Beviamo il caffè e chiacchieriamo. Poi il secondo caffè. Poi gli abbracci, la foto di rito. E poi i secondi abbracci, e sono le 7. Ci mettiamo in strada con l'idea di recuperare in velocità, ma immediatamente arriva la prima foratura. Cambiamo camera d'aria e copertone. Ci fermiamo al bar per il caffé, e sono le 8 e mezza. Poi dobbiamo comprare un po' di frutta: un amico ci ha avvertito che sul percorso non ci sarà nulla. «Preparatevi come per le mesetas spagnole» ha concluso. Sul Cammino di Santiago tutti conoscono le mesetas: lunghissime, assolate, senza punti d’appoggio. In effetti il percorso di oggi ce le ricorda. E anche il clima, purtroppo, é lo stesso. Una tappa tutta al sole, con poche fontane e poche possibilità di sosta all'ombra, in una giornata caldissima. Tra saluti e contrattempi siamo davvero sul sentiero alle 9, e il sole é già alto. Il Papà soffre molto il caldo e scoppia presto. Si bagna il cappello; cerca l’ombra sotto gli alberi e nei cespugli. Chiede acqua, ma dobbiamo razionarla: le fontane ci sono, ma non ovunque; e non attraversiamo nessun paese, quindi niente bar o negozi. Alleggerisco lo zaino spostando oggetti nel cestello del passeggino; cerco di sdrammatizzare. I bambini si preoccupano: non é facile vedere il Papà che sta male. Gli passano le borracce, gli bagnano la testa con le mani. Il Piccolo raccoglie more nei cespugli e gliele allunga: «Vorrei solo che il Papà avesse energia» continua a ripetere. Il paesaggio intorno a noi é magnifico. La Via si tiene alta sulle colline e sembra di volare sul giallo dei campi. Ma il Papà, purtroppo, non si gode nulla, e noi nemmeno. Complice la partenza incerta di questa mattina, siamo sotto il sole nelle ore più calde. Ma non possiamo far altro che andare avanti. Mi rendo conto che aver alleggerito lo zaino non basta. Ora il Papà è in grado di portare solo se stesso. Quindi mi carico sulle spalle lo zaino di famiglia, e nello stesso tempo spingo il passeggino. Chiedo al Piccolo di camminare, così la carrozza sarà più facile da gestire. Il problema è che ogni centinaio di metri siamo fermi. Anche così consumiamo acqua, anche così i bambini si stancano: è davvero caldo, oggi. Mi rendo conto che nemmeno il Piccolo ce la fa più. È sudato, piagnucola. Devo farlo salire sul passeggino. A questo punto ho dieci chili di zaino sulle spalle e spingo un passeggino che ne pesa 50, carico al massimo e comprensivo di figlio. La Grande prende in mano il telefonino e lo imposta come navigatore: «Mancano tre chilometri… due chilometri… settecento metri». Arriviamo con grande fatica. Il Papà si stende nel giardino davanti alla pieve, io vado a consegnare le credenziali per la registrazione. Di quel che c’è intorno a noi non vediamo nulla. In autunno, quando torneremo a San Miniato ad assaggiare il tartufo insieme ai nostri nuovi amici hospitaleri, dovremo ricordarci di fare una scappata a Gambassi. 

martedì 28 luglio 2020

perché niente è scontato

TAPPA 31 - Da Galleno a San Miniato 22 km 
Passavamo da Fucecchio. Una macchina aveva appena rischiato di investire il Piccolo; confesso che fra me e l’automobilista c’è stato uno scambio di battute poco edificante. A ripensarci lei non aveva tutti i torti, ma io ho avuto la reazione della tigre spaventata. Abbiamo visto la casa natale di Montanelli. Siamo passati davanti ad un bar dove la gente faceva chiasso come in Sicilia, solo con una pronuncia diversa, e ci siamo sentiti a casa. Poco dopo, sul belvedere, davanti all’abbazia di San Salvatore, ci hanno raggiunto i nonni. Si sono fermati per un abbraccio e poi hanno proseguito verso il mare. Fa un po’ impressione pensare che loro hanno percorso in una mattina la strada su cui siamo ormai da un mese. Ancor più impressione mi ha fatto vedere il modo in cui i bambini li hanno abbracciati, vedendoseli comparire davanti all’improvviso. Il Piccolo è saltato in braccio alla nonna e non è più sceso. Poi ha insistito per mostrare al nonno la foto della casetta di rami che ha costruito l’altro giorno. Sulla Via si capisce bene che nulla è scontato. La presenza delle persone care, l’esistenza dei giocattoli. Il tempo di un caffè al bar e poi via, ognuno per la sua strada. Arriveremo più o meno alla stessa ora, a centinaia di chilometri di distanza. Loro al Sud, noi a San Miniato. Il paese è diviso in due: in alto il centro storico, a valle la zona nuova. Qui devo fermarmi: le camere d’aria del passeggino continuano a bucarsi. Temiamo che la causa sia un problema ai copertoni. Raggiungo un meccanico di bici con l’intento di farmeli cambiare (impresa in cui non riesco: il meccanico non ha tempo), ma il tutto presuppone una deviazione di un chilometro e mezzo. Non posso imporre ai bambini tre chilometri sotto il sole in una periferia commerciale, quindi la Famiglia si divide. Il Papà comincia a salire insieme alla prole; io corro, con tutta la velocità che le mie gambe in questo momento mi consentono, verso il negozio. Fallisco nell’intento, mastico amaro e comincio a salire verso il borgo sulla collina. La pendenza è in stile Gran Premio della Montagna (infatti, oltre alle auto e a me con il passeggino, c’è una bicicletta; continuiamo a sorpassarci), ma arrivo rapidamente. Stasera dormiamo in un casale antico. Il Papà e tutti i figli sono arrivati prima di me. Il Piccolo mi corre incontro: «Mamma, ci accolgono!» urla pieno di gioia. Non sapeva che avevo telefonato qualche giorno fa, perché la prenotazione in tempi di Covid è obbligatoria. Ma ha capito che mangerà un piatto di pasta e avrà un letto per dormire: sulla strada nemmeno questo è scontato. I proprietari, genitori di una famiglia numerosa, avevano sognato l’ospitalità pellegrina lungo il Cammino di Santiago. Poi hanno trasformato l’idea in realtà. Ci accolgono come amici, ceniamo insieme. Il Piccolo si fa accompagnare a raccogliere prugne e pomodori nell’orto. A cena parliamo della fatica del lockdown, della fatica di crescere i figli; della fatica di camminare tutto il giorno, ogni giorno, oppure ospitare i pellegrini dalle 5 del mattino a sera tardi, senza fermarsi mai: vita da hospitaleri. Ricorre tante volte la fatica nei nostri discorsi, eppure siamo tutti sorridenti. Si vede qualche lucciola fuori, mentre andiamo a dormire. Un altro posto dove lasciamo un pezzetto di cuore. 

lunedì 27 luglio 2020

mi mandi una cartolina

TAPPA 30 - Da Lucca a Galleno 25 km
«L’anno prossimo facciamo la Via Romea? Sarebbe bello partire a piedi da casa… ». La Media é già preda del Cammino: da giorni manifesta chiari segni della tipica smania che cattura molti pellegrini. Noi stessi l'abbiamo sperimentata qualche anno fa, andando verso Santiago. Prima abbiamo deciso di allungare fino a Finisterre. Poi non ci siamo più fermati. Ieri sera, di fronte ad un'abbondante cena preparata dal Papà, fantasticavamo insieme sul prossimo viaggio. Il Cammino di San Francesco, quello di San Benedetto. Per il momento andiamo avanti su questa strada. L'anno prossimo, indipendentemente da cosa sceglieremo (la Grande é più sul coast to coast appenninico), vorrei solo che non ci fosse lo stress delle prenotazioni. Nell'anno del Covid tante accoglienze pellegrine, soprattutto religiose, sono chiuse. Quelle aperte rispettano i protocolli e quindi hanno obbligo di prenotazione e riducono i posti. Per collocare utilmente la famiglia devo quindi telefonare per tempo, accertarmi che l'accoglienza ci sia, incrociare le dita perché abbiano posto per tutti, spesso chiamare di nuovo per conferma. Se l'accoglienza pellegrina non c'é (o se é al completo: ci é capitato di essere battuti sul tempo da gruppi di scout) mi muovo su strutture private. Questa é la parte peggiore: i posti sono comunque pochi, e i gestori hanno capito perfettamente il business. Capita che chiedano 120 euro per una notte in una camera tripla senza colazione. Viaggiando a piedi spesso non ci sono alternative: una deviazione di due chilometri andata e ritorno, che in macchina o in bici è niente, a piedi semplicemente non si può fare. I privati hanno capito benissimo anche questo, e chi sta sul percorso della Francigena coglie l’opportunità. La parte peggiore è che devo ovviamente trovare una sistemazione diversa al giorno, e il lavoro si moltiplica. Confronto i prezzi: spesso può convenire l’affitto di un appartamento, invece di un ostello. Gli ostelli comunali fanno implacabilmente pagare a posto letto (da moltiplicare per 5) e l’uso cucina è interdetto nella maggior parte dei casi, sempre per le misure anti-Covid. In appartamento, invece, infilo tutti nell’alloggio, cucino un’economica pasta e cerco di far quadrare i conti. Purtroppo quest’anno la Via è costosa, e anche vagamente stressante: non tanto per le salite e i sassi, quanto perché ad ogni sosta mi devo trasformare in un centralino. Chiamo, chiedo preventivi, faccio proiezioni, contratto sul menu della cena. Consapevole del fatto che nessun albergo potrà mai sostituire l’atmosfera pellegrina di una cena comunitaria in semplicità: è questo, in fin dei conti, che continuiamo a cercare. Dovrebbe andarci bene domani, a San Miniato, dove sono ansiosi di conoscere i nostri bambini: al telefono ce l’hanno detto più volte. Intanto stasera siamo in appartamento. Sull’ultima salita mi domandavo come fare a mettere insieme una cena per i bambini. In giornata non siamo riusciti a fermarci in nessun negozio di alimentari. Mentre riflettevo sulla possibilità di un take away mi è comparso davanti un panificio di paese, con annesso piccolo angolo alimentari. C’erano gli ingredienti per un pasto: pane, mozzarella, uova. La signora al banco mi ha chiesto: «Ma siete sul pellegrinaggio? Tutta la famiglia?». Poi mi ha riempito le borse. Ha battuto lo scontrino per una cifra ridicola. L’ho guardata interdetta, pensando ad un errore. Invece mi ha strizzato l’occhio: «Pane e acqua ai pellegrini si regalano. E anche sul resto le ho dato una mano. Mi mandi una cartolina, quando arriva a Roma. È stato un piacere conoscere lei e i suoi bambini: la vostra è una bella storia». 

domenica 26 luglio 2020

regali della strada

TAPPA 29 - Da Camaiore a Lucca 24 km
Cambiare l'ennesima gomma, ieri sera, é stato più difficile del previsto. Siamo andati a letto troppo tardi. Ed era tardi anche questa mattina, quando siamo riusciti ad alzarci dal letto. Le sei erano passate, gli altri pellegrini già partiti. Tutti tranne uno. «Mi sono fermato per aspettarvi e salutarvi - ha detto sulla porta dell'ostello - da oggi avrò bisogno di allungare le tappe per concludere con qualche giorno di anticipo la Via». Arriverà a Roma una settimana prima di noi, e ci dispiace non vederlo più. Abbiamo condiviso biscotti e noci a bordo strada. Ci siamo riparati insieme quando ha grandinato. I nostri figli, parlando di lui e con lui, usano il diminutivo, come fosse uno zio. A lui é bastato qualche giorno per inquadrarli tutti: la Grande la più saggia (più saggia di tutti, genitori compresi, aggiungo io), la Media più vivace, il Piccolo un bel tipetto. Ci siamo scambiati i numeri di telefono con un filo di malinconia. Sono particolari, le amicizie del Cammino. Capita di preoccuparsi per gli altri (giorni fa, a Massa, quando c'é stato il temporale, i nostri compagni di viaggio chiedevano di noi). Capita addirittura di fare quel che sulla strada é più difficile: aspettare. Per questo, oggi, mentre armeggiavamo col carico intorno al passeggino per ora riavviato, vederci aspettati é stato un piccolo regalo. 
Un altro pellegrino non rivedremo più. Lo avevamo incontrato a Filetto. Ci aveva chiesto di scattare una foto insieme, noi figli e passeggino (a cui, guarda un po', in quel momento stavamo cambiando una gomma). Nei giorni scorsi una brutta storta aveva bloccato i suoi passi. Oggi rientra a casa. Per scelta camminava da solo, ma avevamo condiviso cena e chiacchiere fino a tardi, qualche giorno fa, immaginando insieme la scuola superiore della Grande e cantando in coro De André nella sala comune di un ostello. Si fraternizza rapidamente, quando si percorre la stessa strada. Ognuno ha una storia da raccontare. C'é chi rispetta un voto. Altri vogliono guardare dentro se stessi. A volte quelli sprovvisti di alte motivazioni ci sentiamo proprio noi. Penso a cosa potrei raccontare agli altri pellegrini, a come potrei definire il nostro cammino traballante, affidato a un passeggino precario. Forse dovrei spiegare il nostro progetto, «Italia ti amo», un abbraccio metaforico al Paese dopo il Covid. Forse parlarne di più renderebbe più interessante la nostra storia. Penso tutto questo e passo davanti al bar di Valpromaro, un borgo minuscolo dove un gruppo di volontari tiene coraggiosamente aperto un ostello. Al bar é esposto un cartello. Recita: «A Napoli c'é l'usanza del "caffè sospeso". Se quando entri al bar sei allegro, puoi pagare un caffè in più per offrirlo al prossimo cliente». Mi blocco per qualche secondo, poi lascio i soldi per un "caffè sospeso". In fin dei conti siamo per strada, il tempo é buono, il passeggino cammina e stiamo tutti bene. Perché non dovrei essere allegra? 
La sera ci accoglie Lucca. Vediamo la chiesa di San Michele, entriamo in Piazza Anfiteatro. Concludiamo il nostro giro al Duomo di San Martino. Ci arriviamo con le ultime luci della sera. Il marmo della facciata scintilla. Sulla piazza, un tenore e un soprano si alternano sulle note della Boheme di Puccini. È una prova generale, ma l’emozione è pazzesca. Siamo qui. C’è il Duomo bianco. C’è il canto. Un altro regalo della Via. 

sabato 25 luglio 2020

un cebreiro al giorno

TAPPA 28 - Da Massa a Camaiore 26 km 
C’é uno scoglio al giorno, sulla via Francigena. Andando a Santiago si favoleggia di O Cebreiro, o del Pico de la Duena se si arriva da Sud. Camminando verso Roma si incontra un Cebreiro al giorno, ed é meglio non contarli. Ieri, andando a Massa, la collina era sull'ultimo tratto. Abbiamo preso la grandine, abbiamo forato. Ma i pendii sotto di noi erano pieni di vigne, quasi in verticale, dall'altura alla spiaggia. Oggi salite ce ne sono state tante. Anche sotto il sole di mezzogiorno (il Piccolo chiuso nel passeggino a pisolare), anche a scaloni. Col passeggino in spalla ho salito talmente tante scale che rischio ogni volta un conato di vomito. Anche oggi, proprio a pochi chilometri dall'arrivo e sotto il solleone, abbiamo affrontato l'ennesima salita su un sentiero in condizioni terribili e pieno di rovi. Visti i precedenti dei giorni scorsi, la nostra paura era quella di bucare una gomma. Abbiamo sollevato il passeggino perfino più del necessario. Lo abbiamo spinto con cautela. E ovviamente abbiamo forato lo stesso. Anche oggi, all'arrivo, il primo pensiero é stato trovare un negozio di bici, impresa che il sabato pomeriggio a Camaiore si é rivelata fallimentare. A cambiare la gomma ci abbiamo pensato il Papà ed io, la sera, alla luce delle lampadine frontali, con fatica e pazienza. Avevo pensato di farlo da sola, all’arrivo in ostello, ma ero troppo stanca per metter mano alle ruote: perfino questo ho imparato a fare sul Cammino. Momento di sconforto. Siamo arrivati tardi, ultimi fra gli ultimi, stanchi morti, con l'ennesima gomma a terra. E dire che questa mattina eravamo convinti di aver avuto fortuna: lo scoglio più grande del giorno era poco dopo la partenza. Abbiamo potuto affrontarlo col fresco dell’alba. Sulla cima ci aspettavano le mura di Castello Aghinolfi. Dall'altro lato, immensa e improvvisa, la vista del mare. L'arcipelago toscano, la Corsica in fondo in fondo. Ho spiegato alla Media, mentre scendevamo di nuovo a quota zero, che sull'isola di Montecristo é vietato sbarcare. Per visitarla c'é una lista d'attesa che può durare quindici anni. Vogliamo metterci in coda, appena torniamo a casa. «Mamma - si é inserito in quel momento il Piccolo - ma quanti sono quindici anni?». Sono tanti, amore mio. Fra quindici anni tu sarai più alto del Papà. «Ma io non voglio diventare così grande - ha ribadito lui - altrimenti tu e la nonna come farete a prendermi in braccio?». Anche diventando più alto del Papà, tu sarai sempre il nostro piccolino. Quindi ti coccoleremo comunque. «Ah - ha risposto lui, rinfrancato - allora va bene. Posso crescere. Ma posso fare anche un corso di nuoto?». Puoi farlo. A settembre ci informiamo. Nel frattempo, peró, raccogliamo le energie. Abbiamo appena scalato il Cebreiro del giorno, ma le salite non sono finite.

venerdì 24 luglio 2020

l'occhio del ciclone

TAPPA 27 - Da Sarzana a Massa 29 km
Eppure non ci siamo bagnati. Oggi, su una tappa lunghissima, abbiamo preso due bombe d’acqua.  La prima volta eravamo in cima ad una collina. Strada sterrata, niente intorno, nessuno in circolazione. Già mi vedevo travolta dalla grandine insieme a tutto il gruppo, figli passeggino e giocattoli vari. Già mi mangiavo le mani per non aver deviato sulla strada statale, piena di bar e ripari di ogni genere, invece di trascinare tutta la famiglia su un sentiero isolato verso la collina. Ma proprio in quel momento ci siamo sentiti chiamare: «Riparatevi!». La voce - a chiamarci era una ignee di mezza età - proveniva da una costruzione che non avevamo notato. Era in realtà la cascina di un club privato. Siamo entrati, ci siamo seduti ad un tavolo, abbiamo potuto mangiare i nostri panini. I bambini guardavano il tornado dalla finestra, ma non ci siamo bagnati nemmeno le scarpe. 
La seconda volta, in ingresso a Massa, abbiamo sentito di nuovo le gocce. Passavamo davanti alla Pieve di San Vitale, in quel momento. La porta era aperta. Siamo entrati, ci siamo seduti ai banchi, abbiamo aspettato. I bambini hanno finito un pacchetto di biscotti per merenda (mangia con intensità, la Famiglia in cammino). Ancora una volta non ci siamo bagnati nemmeno le scarpe. Giornata fortunata (il cielo nuvoloso, tra l’altro, rende più facile camminare), se non fosse che tra i due temporali c’è stata l’ennesima foratura di una gomma. Per cambiarla abbiamo impiegato circa un’ora. Abbiamo le valvole delle camere d’aria tutte diverse, la pompa non si adatta bene a nessuna, gli adattatori qualche volta non entrano. Ce l’abbiamo fatta alla fine, ma la prima preoccupazione a Massa è stata cercare un meccanico di biciclette. Di nuovo. 
Solo dopo abbiamo raggiunto l’ostello, in un palazzo storico del centro (e ad un prezzo folle, a dire il vero). Il centro cittadino è pieno di marmo bianco e alberi di arance. Un colpo d’occhio bianco e rosso. Il Piccolo calcia i frutti caduti per terra, calpesta e strizza quelli già rotti. Altri bambini, intorno a lui, fanno lo stesso. Un gioco così non l’avevamo ancora sperimentato. 

giovedì 23 luglio 2020

quando canto con loro (o senza)

TAPPA 26 - Da Aulla a Sarzana 18 km 
La Famiglia in Cammino ama la musica. A casa teniamo le casse sempre accese. Chissà che ne pensano i vicini. In auto, i bambini ed io abbiamo le nostre playlist. Il Papà di solito si defila con eleganza, ma la maggior parte della famiglia passa i tragitti in auto cantando, che si tratti di Cocco e Drilli o dei Modena City Ramblers. In Cammino, in assenza di auto e di autoradio, cantiamo. Da quando siamo passati per le risaie di Vercelli, ci sono rimasti nel cuore i brani delle mondine. Se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorare. Spingo il passeggino e canto col Piccolo. La Grande e la Media occasionalmente mi chiedono di smettere. Più spesso si allontanano, fingendo di non conoscermi. A volte, però, sono loro ad iniziare: De Andrè per la Grande (ottimo), tormentoni estivi per la Media (qui abbiamo margini di miglioramento). Siamo in grado di superare un intero bosco senza smettere, di andare avanti per chilometri sostituendo con la voce la playlist dell’auto. Prima di partire, sapendomi inquieta alla prospettiva di rimanere senza musica, il Papà mi aveva perfino regalato una cassa bluetooth da collegare al telefonino. Ma all’ultimo è rimasta a casa: troppo pesante. Ne rimpiango costantemente l’assenza, e intanto canto insieme ai miei figli. A volte, mentre siamo seduti sulla strada col nostro panino, alzo il volume del telefono. Le richieste del Piccolo oscillano fra i brani da baby dance e Achille Lauro. A volte, timidamente, il Papà chiede i Dire Straits. È dai tempi del Cammino di Santiago che ascoltiamo «The walk of life» nelle pause, convinti che abbia un’intima connessione col nostro incedere. 
Oggi la tappa si prestava: poche salite, lunghi tratti ombreggiati, quindi abbiamo cantato. Siamo stati costretti ad una deviazione rispetto alla Francigena: il primo tratto di sentiero era troppo sassoso per le nostre ruote. Abbiamo quindi seguito la strada fin quasi a Santo Stefano di Magra, prima di immetterci sulla ciclabile verso Sarzana. Il tracciato correva a fianco di un canale pieno di ponti e di pesci, che sono stati la delizia del Piccolo e della Media. Per lunghi tratti lei ha voluto a tutti i costi spingere il passeggino, raccontando storie al fratello. In altri punti abbiamo cantato. Tra le richieste del Piccolo ricorre ultimamente la Tartaruga Sprint, residuo dello Zecchino d’Oro. Me la cantava mia mamma quand’ero piccola. Ha messo il freno a mano, e ora che va piano lontano arriverà. È il nostro inno al movimento lento. 

mercoledì 22 luglio 2020

prospettive distinte

TAPPA 25 - Da Filattiera ad Aulla 22 km
Poco più di venti chilometri su una tappa senza dislivello complessivo: in teoria oggi è mezza vacanza. Partiamo con comodo, quasi alle 7, dopo una splendida colazione al bar. Un caffè vero, una brioche ancora calda. Ma che meraviglia. Quando però iniziamo a camminare partono le dolenti note. Salite ripidissime, tanto che a volte è difficile stare in equilibrio, anche senza spingere il passeggino. Successive ripide discese: il nostro mezzo rischia più volte di arrivare in fondo in caduta libera, figlio compreso. Fondi stradali che peggio non si può: più volte dobbiamo sollevare il passeggino. Questo mette a dura prova i nostri nervi, prima ancora che le nostre braccia. Vediamo sfilare davanti a noi tutti gli altri pellegrini, uno per uno (detta così sembrano un’infinità: invece sono solo 4, ma comunque tutti ci sorpassano sorridendo). Come se non bastasse buchiamo una gomma. Tentiamo di andare avanti gonfiandola spesso, ma proprio non tiene. A Filetto, un borgo medievale con tanto di cinta muraria originale, la nostra maggior preoccupazione non è scattare foto, ma cambiare la camera d’aria. A forza di spingere, tirare e imprecare arriviamo ad Aulla. Sono ormai le sette passate. Avevo programmato un arrivo nel primo pomeriggio: mi sono rimasti indietro alcuni vestiti da lavare e speravo di approfittare della tappa breve. Invece siamo stati in strada per dodici ore. La parrocchia ospita i pellegrini presso l’Abbazia di San Caprasio, ma al nostro arrivo tutte le porte sono chiuse. Al telefono mi risponde il parroco: «Noi non siamo un albergo - comincia in tono piccato - dovevate arrivare prima». Mi saltano i nervi. Manifesto il mio disappunto (credo mi si senta urlare a chilometri di distanza) e finalmente entriamo. 
Ma il bello della Famiglia in Cammino è che le due generazioni hanno sempre prospettive distinte: sono certa che se chiedessi ai bambini di raccontare la giornata, l’impressione sarebbe che ci riferiamo a due tappe diverse. I miei figli certamente parlerebbero dei guadi che abbiamo incontrato questa mattina: erano pieni di girini e minuscole rane. Il Piccolo è rimasto incantato dai girini con le zampe: credo che fino ad oggi non gli fosse del tutto chiara l’intima connessione fra girini e rane. Ma è rimasto incantato anche dal parco giochi di Virgoletta, proprio ai piedi del borgo. Grandi scivoli colorati, mentre il Papà preparava ottimi panini al salame e la Mamma approfittava del lavatoio. Da qualche giorno ho avuto l’idea di lavare i panni per strada: quando arriviamo in ostello è sempre troppo tardi perché si possa stendere con qualche speranza di asciugatura. Capita quindi che nelle pause sul percorso si compia la metamorfosi: da pellegrina a lavanderina. Il tutto sarebbe davvero molto pratico, se il risultato fossero le magliette pulite. Invece, fra acqua fredda e appoggi su pietre fangose, anche oggi il bucato è risultato più sporco che all’inizio. I miei figli, in compenso, trovano il lavaggio nelle fontane sommamente divertente. Se dovessero raccontare la giornata di oggi, sgranerebbero gli occhi nel ricordare che si sono cambiati sotto un albero, aiutando poi la Mamma a lavare i panni a bordo strada. Parlerebbero del gelato poco prima di arrivare a fine tappa. La Grande certamente aggiungerebbe che in edicola ha trovato l’ultimo numero di Topolino, che non leggeva da quando siamo partiti. E concluderebbero, i miei figli, dicendo che il parroco - lo stesso a cui ho urlato - ha regalato loro dei buonissimi cioccolatini. E ha fornito in prestito album e matite colorate per disegnare. È stata un’ottima giornata, secondo loro. Ci penso e questo vale a consolarmi della mia giornata pessima. 

martedì 21 luglio 2020

le due soste

TAPPA 24 - Da Groppodalosio a Filattiera 22 km 
Groppodalosio e Pontremoli: strano. Di solito è la strada a segnare il nostro ricordo di ogni tappa. Sono le salite e le discese. Questa volta, invece, sono due soste. Scendendo da Groppodalosio, dove abbiamo trovato un ostello speciale, incontriamo quasi subito un ponte: architettura medievale, sedici metri, campata unica, a schiena d’asino. È perfetto. Incredibile pensare che sia qui da centinaia di anni. Un tempo quest’angolo di Lunigiana era detto la Valle dell’Oro: c’erano boschi, acqua e terra buona. Ci sono, ancora oggi, due mondi e due climi: da un lato i castagneti. Dall’altro, dove il sole batte più a lungo, le viti e gli ulivi. È il ponte ad unirli.
Prendiamo la strada un po’ tardi, questa mattina. La terrazza della colazione dava sulla valle, impossibile staccare gli occhi (impossibile anche non fare il bis di crostata e caffè: questo suona un po’ meno romantico, ma i pellegrini mangiano come locomotive - e noi non facciamo eccezione). Percorriamo la strada che attraversa la valle, poi ci immettiamo sulla provinciale per Pontremoli. Il comune più a nord della Toscana, la capitale della Lunigiana. Che strana zona: la pronuncia non è più emiliana, ma non è neanche toscana. Non è nemmeno ligure: in compenso la specialità sono i testatoli al pesto. Li mangiamo in una piccola trattoria nelle vicinanze del Duomo, prima di andare a bagnarci i piedi nel fiume Magra, che si ferma in anse e pozze proprio al limitare del paese. Il ritmo è lento, oggi; sono le quattro e dobbiamo ancora percorrere i dieci chilometri che ci separano da Filattiera, quasi tutti al bordo della statale. Il nostro percorso oggi si ferma ad una pieve del settimo secolo. Non è stata una tappa difficile, ma stasera mi fanno male le gambe. Giro la testa verso la Grande e la Media. Ho paura che siano nelle mie stesse condizioni. È tardi, anche oggi c’è stato caldo. Loro, però, non si accorgono del mio sguardo: dopo aver camminato tutto il giorno, adesso sono impegnate a sfidarsi in ruote e verticali. Beata gioventù. 

lunedì 20 luglio 2020

se oggi siamo qui

TAPPA 23 - Da Berceto a Groppodalosio 20 km
Tante volte, nei giorni scorsi, ho pensato: «Se arriviamo lì, allora arriveremo fino in fondo». Un po’ come quando, da bambina, stavo attenta a non calpestare lo spazio fra una mattonella e l’altra. Se non calpesto, la mamma preparerà pasta alla carbonara. Ora ci siamo arrivati. Ancora non riesco a dire «ce la faremo», ma intanto siamo al Passo della Cisa. Un luogo storico, uno dei simboli della Francigena, la metà del Cammino. A 500 chilometri da un altro passo, quello del Gran San Bernardo, dove tutto è iniziato 3 settimane fa, in un giorno di freddo e con la neve per terra. 
I pensieri poetici durano un secondo: al passo, di fronte alla piccola chiesa («Me posuerunt custodem», mi posero come custode, recita la scritta sulla porta), il Piccolo è fuori di sé per l’eccitazione. Abbandona il suo panino, ma ruba un’albicocca alla Media, la quale reagisce con uno spintone. Poco ci manca che mi finisca il bambino sotto le ruote di una moto (ce ne sono anche oggi - per fortuna non ai livelli di ieri). Dimentica nella fontana la sua pistola ad acqua. Attacca bottone con chiunque. La signora del negozio di souvenir gli regala una palla: «È un bambino così intelligente!» commenta. Foto di rito e iniziamo la discesa: è uno dei tratti più suggestivi dell’intera Francigena. Siamo in Toscana. Le colline si estendono a perdita d’occhio. Sotto di noi, lontana lontana, si vede l’autostrada. Quante volte l’ho percorsa, da bambina, andando in Sicilia con i miei genitori. Mai avrei pensato di vederla così dall’alto, e che mi sembrasse così piccola. 
Cominciamo a scendere, ed è un patimento. Il primo pezzo è talmente ripido che anche un camminatore deve aiutarsi con le mani. Un camminatore con passeggino è spacciato: non ho capito nemmeno io come ho fatto a i tirarmi fuori. Il secondo tratto è chiamato, dagli abitanti del luogo, la Sassaia: un nome, un programma. Mai che ci capiti un sentiero soprannominato Corridoio. Autostrada. Biliardo. La discesa lungo la Sassaia ci costa tempo ed energie. Ci fermiamo solo una volta, per mangiare un po’ di frutta e riposarci. Il tratto è veramente snervante: più di una vola ho paura che mi sfugga il passeggino di mano. Già lo immagino rotolare a valle. 
Arriviamo a Groppodalosio con una certa fatica, ma il posto vale l’ultima salita: un gruppetto di case in pietra, aggrappate alla montagna. Un ostello dal sapore magico. Lo gestiscono due fidanzati che si sono conosciuti sul Cammino di Santiago. Adesso hanno il sogno di dare ai pellegrini la stessa accoglienza che hanno ricevuto loro: è l’unico ostello privato a donativo di tutto il percorso. Di fronte ad un’ottima cena, in una piccola terrazza sotto il cielo stellato, alziamo due bicchieri di vino rosso. Brindiamo al tramonto, ai Cammini, alla metà della Via Francigena. 

domenica 19 luglio 2020

la carreggiata

TAPPA 22 - Da Sivizzano a Berceto 23 km
Solo sui cammini i passi si misurano in chilometri: non c’è altro modo, in effetti. Nel resto della vita, però, chilometri e passi non vanno a braccetto. Oggi abbiamo capito perfettamente perché: la tappa non aveva un alto chilometraggio, ma è stata fino ad oggi la più faticosa: una salita lunga, ripida, senza respiro. Stiamo arrivando al Passo della Cisa, uno degli storici passaggi della Via Francigena. Peccato solo che al giorno d’oggi la Cisa piaccia anche ai motociclisti, che sfrecciano a duecento all’ora a pochi centimetri dal nostro passeggino. Il fatto che sia domenica contribuisce molto ad aggravare la situazione. Ho paura a far camminare il Piccolo e quindi spingo il passeggino a pieno carico. Per lunghi tratti il percorso corrisponde alla strada. Qualche volta si allontanerebbe, ma i sentieri sono in condizioni pessime: impossibile passare con le nostre ruote. Proviamo a farlo una volta sola, sfiniti dal rumore e dal pericolo delle moto, ma ci troviamo di fronte ad un’enorme pozza di fango. E mentre cerco di andare avanti per verificare la possibilità di un varco, scivolo e cado letteralmente nel fango. È tardi, sono stanca: parte immediatamente la scenata da femminuccia isterica. Urlo con quanto fiato ho in gola, mi lamento, accenno un pianto. Sono esasperata. Mi tocco le gambe inzaccherate con l’aria di chi sfiora una ferita mortale. Si avvicina il Papà: «Va tutto bene» mi dice pacato. Il pericolo è disinnescato. La compostezza del Papà è leggendaria. Ogni tanto mi dà perfino sui nervi, perché io invece tendo a scaldarmi per qualsiasi cosa (e la Media è come me: non sempre è facile gestire le crisi femminili, nella Famiglia in Cammino). Ma è l’unico incantesimo che può riportarmi alla ragione quando rischio di perderla. Voltiamo le infangate scarpe, riprendiamo la strada. A rimetterci sul sentiero non proviamo nemmeno più. Rimanere sulla strada ci costa vari chilometri in più, la rinuncia all’ombra degli alberi, il caldo dell’asfalto. Ma è l’unico modo per avvicinarci alla meta. 
Di questa giornata, segnata dal terrore delle moto, ci rimangono i ricordi del paese di Cassio: un borgo nelle montagne, con case di pietra aggrappate l’una all’altra e una scuola elementare che mi strappa un sorriso. Adoro le vecchie scuole di paese, anche quando sono in disuso. Ci rimane anche Berceto: arriviamo la sera tardi, ma entriamo nel pieno di una fiera. Ci sono abiti, pezzi d’antiquariato, costosissime albicocche disidratate di cui il Papà fa scorta: domani ci aspettano altre salite. Ci rimane la forza del Papà: non c’è che lui, a volte, per rimettermi in carreggiata. 

sabato 18 luglio 2020

i ragazzi che sorridono

TAPPA 21 - Da Cella di Noceto a Sivizzano 25 km 
Possediamo un unicorno: ieri la Media ha fatto amicizia con una bambina della sua età, in ritiro per qualche giorno coi genitori alla Fraternità Francescana di Cella. La nuova amica, volendo lasciarle un ricordo, le ha dato il suo peluche con criniera rosa. Non era esattamente ciò di cui avevamo bisogno, e non bisognerebbe appesantire il bagaglio con oggetti non necessari. Ma proprio non siamo riusciti a dire di no. Ogni mattina, nel cestello del passeggino, insieme ai sacchi a pelo e al filo per stendere, dovrò incastrare anche un nuovo pupazzo.  
Sorridevano sempre, i fratelli e le sorelle francescani. Sorridevano ieri sera, quando ci hanno servito la cena all’aperto: «Niente self service - ci ha detto la sorella più giovane, ancora senza saio - le norme per il Covid non lo permettono. Ma ci penso io a riempirvi i piatti». E li ha riempiti, effettivamente, di ogni prelibatezza. Cibo che i francescani ricevono in regalo, o comprano con l’elemosina. «A fine mese - ci spiegava un fratello un po’ più anziano, anche lui col sorriso - accediamo al conto e paghiamo le spese. Non sappiamo neanche bene da dove arrivino, i soldi. Ma sono sempre più di quel che serve». I frati riescono ad accogliere i pellegrini. Riescono a preparare pacchi di prima necessità per le famiglie indigenti, che dopo la pandemia sono aumentate anche qui. Riescono a dare alloggio a chi ha semplicemente bisogno di staccare la spina per qualche giorno, di pensare e pregare. Vivono solo di elemosina. Loro la chiamano Provvidenza. Io faccio sempre molta fatica a riconoscere la mano di Dio. Ma c’è davvero qualcosa di miracoloso in questo gruppo di ragazzi - la sorella che ci serve a tavola avrà sì e no 25 anni - che ha scelto la povertà assoluta, che non aspira a far carriera, che non si domanda nemmeno come farà a pagare le spese. Saio grigio, croce al collo, e la disponibilità a sentire le nostre storie, a raccontare le proprie. La ricorderemo, la serata di ieri. I bambini correvano sul prato per acchiappare i grilli. Io, per una volta, li ho lasciati fare. Senza orologio. Noi, nel frattempo, abbiamo condiviso dubbi e sogni. Chissà se li rivedremo mai, questi ragazzi che sorridono. Ci piace pensare di sì. Anche noi, per un giorno, ci siamo sentiti loro fratelli. Qualcuno si è perfino alzato a salutarci, questa mattina presto. E tanto vale che lo confessi: non siamo riusciti ad evitare di abbracciarli, ma proprio forte forte. Ci aspettava la strada, e dopo Cella di Noceto non è una strada da poco: il primo pezzo sale ripidamente su un brutto sterrato. Arriva su un crinale di girasoli, scende di nuovo. A Medesano troviamo un parco, compriamo una pistola ad acqua per il Piccolo (continuando ad appesantire i bagaglio con oggetti inutili - in compenso i calzini di ricambio scarseggiano) e andiamo avanti. Le colline salgono e scendono: la pianura è definitivamente alle nostre spalle, e procediamo verso il Passo della Cisa. Ci fermiamo in serata in uno dei pochi ostelli aperti, in una frazione minuscola. La doccia è fredda, il telefono non prende. Ma nella trattoria all’angolo si mangia una deliziosa torta fritta, e i letti sono nel chiostro di Santa Margherita, un luogo che da secoli ospita i pellegrini diretti a Roma. I nostri sacchi a pelo sono sotto le volte di un antico convento. Non si può proprio chiedere di più. 

venerdì 17 luglio 2020

l'abbraccio di un paesino

TAPPA 20 - Da Fidenza a Cella di Noceto 17 km 
Del paese di Costamezzana nemmeno conoscevamo l’esistenza, ma lo porteremo nel cuore. Ci siamo arrivati dopo una lunga salita. C’erano un minuscolo parco giochi (sì: i bambini avevano voglia di correre al parco anche dopo la salita), una fontanella d’acqua e un bar-trattoria. Sembrava che le persone - una grande comitiva di amici, più che un gruppo di clienti - ci aspettassero: abbiamo raccontato il nostro pellegrinaggio, scattato foto insieme. Abbiamo scelto la razza del cane che avremo: i bambini hanno giocato con Due, il Flat Coated Retriever di uno degli avventori. Hanno riso come matti, si sono fatti leccare il viso, si sono sentiti trattati come piccole star. Uno di quei posti alla Peppone e Don Camillo (la zona è proprio questa), miracolosamente fuggito al cancro moderno dei fast food. Per fortuna in Italia esistono ancora angoli così. Abbiamo mangiato maltagliati fatti in casa al pomodoro, poi un piatto di zucchine: «Assaggiate, sono del mio orto» ci ha detto il titolare, prima di chiederci una foto da conservare come ricordo. Le persone, nel frattempo, aiutavano a sparecchiare e si scambiavano pacche sulle spalle. Per il pranzo abbiamo speso 20 euro in cinque, caffè compreso. E siamo felici non tanto per i 20 euro (quella dei soldi è una preoccupazione costante, con tre figli perennemente affamati), ma perché se il conto è 20 euro vuol dire che siamo stati accolti come amici, non serviti come clienti. Ripartiamo col sorriso, promettiamo di mandare una cartolina da Roma. I meravigliosi incontri del Cammino. 
Ci inerpichiamo su per la salita che arriva al castello di Costamezzana e poi al crinale. C’è una fila di balle di fieno al sole. La Grande e la Media si arrampicano e iniziano a correre sul fieno, ridendo a gola spiegata e dondolando le braccia. Mi chiedo se non sia il caso di fermarle: il fieno sarà pure di qualcuno. Magari il contadino si arrabbia: non avrebbe tutti i torti. Ma non faccio in tempo a concludere queste riflessioni che mi ritrovo anch’io a correre sul fieno, aprendo le braccia e urlando insieme ai miei figli. I giochi del Cammino, all’aria aperta e senza giocattoli. 
Riprendiamo la strada. Scendiamo fino a Cella di Noceto. Troviamo ospitalità pellegrina dai monaci della Fraternità Francescana di Betania, una comunità monastica dedita all'accoglienza. Stanza pulitissima, cena comunitaria e un grande giardino dove i bambini hanno ancora energia per rotolarsi. Tutto perfetto, oggi. Nel frattempo, dopo giorni di pianura, iniziamo a scaldare le gambe: inizia il lungo avvicinamento al Passo della Cisa; qui, sulle colline, si sale e si scende. Ah, un’altra cosa. Solo ieri mi ero detta «Mai più in trattoria a pranzo: ci si appesantisce». Ma oggi ho imparato - avrei dovuto già saperlo, ma un ripasso non mi ha fatto male - che sul Cammino non ha senso programmare, saranno i momenti a guidarci. Evviva gli Emiliani, che sono stati colpiti così duramente dal Covid, ma non hanno perso la voglia di abbracciare. 

giovedì 16 luglio 2020

effetti collaterali

TAPPA 19 - Da Fiorenzuola d’Arda a Fidenza - 22 km 
Io comunque l’avevo detto: fermarsi a pranzo in trattoria è un errore. Ma oggi il resto della famiglia ha avuto la meglio. Difficile, in effetti, ignorare i richiami dei tanti cartelli che offrono menu tipici a pochi soldi. Cedere alle tentazioni può costar molto caro, però: ci rimettiamo in cammino ben appesantiti, e il pomeriggio diventa veramente faticoso. I ravioli preparati al momento erano deliziosi, ma il calo dell’adrenalina è stato devastante. Da domani si riprende con la nostra storica filosofia: a metà giornata un panino o un po’ di frutta a bordo strada, il resto del nutrimento a cena. 
Oggi dormiamo a Fidenza. Purtroppo - effetti collaterali del pranzo - arriviamo in ritardo e non riusciamo a visitare l’interno del Duomo, un capolavoro romanico. C’è perfino un bassorilievo raffigurante una carovana di pellegrini diretti a Roma. Praticamente siamo noi: siamo diretti a Roma e siamo una carovana. Saltata - con grande disappunto mio e del Papà - la visita al Duomo, facciamo invece in tempo ad andare in un negozio di biciclette; se si dovesse scrivere una guida ai meccanici per bici in Italia noi saremmo già pronti, visto che anche il nuovo passeggino ci dà problemi: oggi è la volta delle forature. Abbiamo preso non una ma tre spine, tutte sulla ruota posteriore destra. La camera d’aria ci saluta per sempre, ma riusciamo a farla sostituire. Siamo pronti a valicare gli Appennini: sono giorni che ne vediamo all’orizzonte il profilo. Domani, finalmente, inizieremo la salita verso il passo della Cisa. 
Oggi invece camminiamo per tutto il giorno nei campi: come ieri, sono le coltivazioni di pomodoro a farla da padrone. Il massimo divertimento sono gli impianti di irrigazione: ce ne sono alcuni che spruzzano fin sulla strada. Io inorridisco, mentre i bambini sono pazzi di gioia: vedono l’impianto, iniziano a correre, fanno la doccia vestiti. Impossibile fermarli.
In mattinata visitiamo l’Abbazia di Chiaravalle della Colomba, che secondo la tradizione è stata fondata da Bernardo di Chiaravalle, il Santo che Dante ha scelto per fargli da guida nell’ultima parte del Paradiso, fino alla visione di Dio. I monaci hanno un piccolo negozio dove propongono i loro prodotti. Il Papà vorrebbe comprare l’Elisir di Lunga Vita. Immagino che si tratti di un liquore alle erbe; ricordo al Papà che non amiamo il genere, e soprattutto che non possiamo permetterci di caricare sulle nostre spalle una bottiglietta di vetro, per quanto piccola sia. A sera, dopo cena, siamo entrambi pentiti di non aver comprato il liquore, ma lo sostituiamo con una birra. Speriamo che abbia anche questa l’effetto di prolungarci la vita. Domani si inizia a salire, gli Appennini aspettano i nostri piedi. 

mercoledì 15 luglio 2020

da un castello all'altro

TAPPA 18 - Da Piacenza a Fiorenzuola d’Arda 32 km
Niente da fare, le diverse generazioni della Famiglia in Cammino vedono la vita da angolazioni diverse. Lo si è capito molto bene oggi, al guado sul torrente Chiavenna, poco prima di arrivare alla meta. Quando ho notato che il sentiero era invaso dal fiume ho silenziosamente imprecato. Passare un corso d’acqua è un enorme investimento di tempo ed energie. Dobbiamo scaricare i bagagli dal passeggino, mettercelo praticamente in spalla, poi caricare di nuovo tutto. Sull’acqua sono stati posizionati dei blocchi di cemento a formare una specie di ponte, ma così il trasporto del nostro mezzo è impossibile: troppo alto il rischio che finisca in acqua. Mentre noi siamo affranti, i bambini esultano: per loro mettere i piedi nell’acqua ghiacciata è sempre un regalo. Il Piccolo si spoglia completamente e riesce a fare il bagno schizzando. La Grande e la Media lo imitano. In un attimo sono tutti in acqua. Il Papà accampa la scusa della sorveglianza e parte con gli schizzi anche lui. Alla fine il guado ci costa quasi un’ora, ma almeno ci siamo rinfrescati. È stata la nota finale di una giornata lunghissima. Si tratta certamente della tappa più lunga percorsa fino a oggi, probabilmente rimarrà la più lunga della nostra Francigena. Un valido aiuto è venuto dal meteo: il cielo si è mantenuto nuvoloso per l’intera giornata. È stato come camminare sempre all’ombra. paesaggi sono da incorniciare: un pazzesco zig-zag attraverso i campi, su stradine asfaltate o sterrate. 
La città di Piacenza è nota per i monumenti, la provincia per i castelli: non di rado, come se uscisse direttamente dal fieno, vediamo spuntare una reggia monumentale in mattoni. Il preferito di oggi è stato il castello di Paderna, dove ci siamo fermati a bordo strada, all’ora di pranzo, a mangiare la nostra focaccia. «È il paradiso dei pellegrini - ripeteva la Grande - ci sono una panca all’ombra e una vista splendida». Non serve nient’altro, in effetti. Finiamo il nostro pasto. Il Piccolo ha trascorso la mattinata infilandosi nei campi di pomodoro alla ricerca di qualche frutto maturo. Non gli era chiara, fino a questo momento, la connessione pianta-salsa. Ora conserva gelosamente gli ultimi due pomodori rossi che ha trovato; continua a prendere bastoni con i quali si trasforma di volta in volta in un supereroe, uno spadaccino, un vigile del fuoco. Poi raccoglie una rosa selvatica e me la infila tra i capelli. 

martedì 14 luglio 2020

il Caronte del Po

TAPPA 17 - Da Corte Sant’Andrea a Piacenza - traversata in traghetto + 14 km 
Il nostro Caronte ha preso in giro la Media, perché non è stata abbastanza veloce nel segnare i nomi di tutta la Famiglia sul registro dei passaggi. Io ci sono rimasta male. Lei, invece, ha riso di gusto: «Davvero simpatico» ha commentato un attimo dopo, mentre riprendevamo strada sulla terraferma. Alla barca sul Po avevamo pensato molte volte, quando ancora eravamo a casa. La realtà non ha deluso le aspettative. Questa mattina ci siamo imbarcati a Corte Sant’Andrea, nel punto segnato da colonne dove storicamente passavo i pellegrini. Il traghetto oggi è un motoscafo dal motore potente. Mentre noi siamo intenti a tener fermo il passeggino (ci manca solo che voli in acqua), i bambini si godono il vento in viso e sollevano le braccia, simulando il volo. Il tratto non è lungo - circa quattro chilometri, la barca impiega una manciata di minuti - ma è il momento top della giornata, che per il resto non riserva grandi sorprese. Il percorso è quasi tutto su asfalto, ed estenuante è l’ingresso a Piacenza. Il lato della strada è segnato come pista ciclabile, ma non c’è nulla (se non la segnaletica per terra) a separarlo dalla carreggiata. La periferia sembra eterna, e sussultiamo ad ogni camion che ci passa accanto, temendo che sbandi e ci travolga. Abbiamo passato il Po, cambiamo regione, cambia di nuovo tutto: negli spazi aperti non è obbligatoria la mascherina, ma il distanziamento sociale nei bar e nei negozi è osservato con grande zelo. Del resto siamo in una delle zone più colpite dal Covid. Cambia notevolmente l’inflessione della gente (è piuttosto divertente questa panoramica delle parlate regionali d’Italia), cambiano le specialità culinarie. Ma noi oggi non assaggiamo nulla: per risparmiare abbiamo affittato un appartamento in centro e quindi cuciniamo. Il Papà si esibisce in una spettacolare pasta al pomodoro fresco, e per andare in trattoria avremo tempo nei prossimi giorni. Nel frattempo, Piacenza ci accoglie con un centro storico monumentale. Il Duomo è uno splendido esempio di architettura medievale; ci fermiamo a vedere le opere scultoree della bottega di Wiligelmo, ma non riusciamo a parlare col parroco per farci timbrare le Credenziali (poco male, comunque: oggi il nostro Caronte ha apposto un bel timbro rosso). Ripieghiamo su una visita a Piazza dei Cavalli. Il Piccolo è affascinato dalle statue equestri di epoca barocca, dove tenta di arrampicarsi finché non lo prendo di peso e lo allontano. Domani tappa molto lunga, con qualche inquietudine sul meteo. I siti internet parlano di temporali sparsi. Stiamo a vedere. Nel frattempo finiamo la pasta. 

lunedì 13 luglio 2020

un po' più orgogliosi

TAPPA 16 - Da Belgioioso a Corte Sant’Andrea 30 km 
Che i paesaggi sarebbero stati pazzeschi, che la cucina sarebbe cambiata di regione in regione, che saremmo passati dalle montagne alle risaie, questo lo immaginavamo. Ciò che va oltre le nostre aspettative sono gli italiani. Ci rendiamo conto in questi giorni di come i nostri connazionali abbiano una naturale propensione all’accoglienza. Non è solo un luogo comune. Oggi tappa lunga, per fortuna senza dislivello e tutta su piste sterrate. Nessun problema per il nostro passeggino. Siamo a Corte Sant’Andrea, un borgo sulle rive del Po. Mezzo secolo fa contava cinquecento abitanti, un asilo, una scuola elementare, decine di mucche da mungere. Oggi i residenti sono 11, ma l’ostello conta ben 26 posti letto per pellegrini e a poche decine di metri c’è un’osteria a conduzione familiare. Il proprietario della trattoria ha regalato ai nostri figli tre gelati: «Siete stati bravissimi a camminare così tanto - ha detto - diventerete adulti forti». Il titolare della pensione di ieri aveva fatto lo stesso. Eravamo arrivati con il Piccolo che dormiva nel passeggino. Al risveglio ha ricevuto in regalo una coppetta al cioccolato e panna, senza nemmeno aver bisogno di chiederla. L’hospitalero di Corte Sant’Andrea, un volontario dalla parlantina sciolta, fa orgogliosamente parte dei Templari: «Abbiamo riaperto appena possibile, subito dopo il periodo dell’isolamento del Covid - ci spiegava oggi - avevamo la mascherine e i termoscanner. Ma volevamo a tutti i costi che i pellegrini tornassero a dormire qui». Mentre venivamo, accaldati, siamo passati davanti ad una bancarella di frutta. Il titolare ci ha chiesto da dove arrivassimo e poi ci ha regalato cinque banane per il viaggio. 
A bordo strada capita di bloccarci a controllare la cartina. C’è sempre qualcuno che si ferma, ci chiede se abbiamo bisogno di qualcosa, si offre di accompagnarci. In molti sono orgogliosi di mostrarci il loro paese o di raccontarci qualche aneddoto. I meccanici che hanno visto il vecchio passeggino prima che si rompesse definitivamente. I gestori delle pensioni che a volte non hanno posto, o non hanno aperto, ma sono pronti a indicare un’alternativa. Da tanta gente abbiamo ricevuto piccoli aiuti.
Le fontane pubbliche sono decisamente più rare che altrove, ma l’acqua non è un problema: più di una volta, vedendoci passare, la gente si è affacciata al balcone per offrirci una bottiglia fresca o una piccola merenda per i bambini. Tutti fanno i complimenti alle nostre ragazze che portano lo zaino senza lamentarsi; al Piccolo che ha il passeggino d’appoggio, ma cammina tanto anche lui. Noi nel frattempo camminiamo, continuiamo a camminare. Orgogliosi dei nostri figli, che macinano chilometri al sole d’Italia. E orgogliosi anche degli italiani, che stiamo imparando a conoscere un pochino di più. 

domenica 12 luglio 2020

il primo girasole

TAPPA 15 - Da Pavia a Belgioioso 16 km 
Rivederli è stata un’emozione: all’improvviso eccoli, i girasoli. In Spagna, andando verso Santiago, ne avevamo raccolti tanti. Per noi sono il simbolo del Cammino. Anni fa, quando i passeggini erano uno in più e i figli uno in meno, era il Papà ad infilarsi nei campi per tagliare due fiori da dare alla Grande e alla Media. Tuttora mi stupisco di come non sia mai stato colto sul fatto e impallinato dal contadino di turno, che non avrebbe nemmeno avuto tutti i torti. Oggi, armate di coltellino svizzero, sono state le ragazze a portare il primo girasole di questo viaggio al Piccolo. Lui lo ha esibito con orgoglio, sollevandolo verso il cielo per il resto della tappa: «Sembra un piccolo sole» ripeteva tutto contento.
Il paesaggio sta cambiando. Le risaie sono un po’ meno frequenti, si intuisce in lontananza il profilo degli Appennini. Ci prepariamo ad affrontare il passo della Cisa. Dopo giorni di galoppate in pianura non sarà facile. Intanto ci sforziamo di far coincidere le distanze che vorremmo percorrere (per noi il chilometraggio ideale sta sulla ventina al giorno, forse poco di più) con la disponibilità delle strutture. Non è sempre facile. Tanti ostelli non hanno aperto, e questa zona è particolarmente sguarnita. Troppo forte la paura del Covid. Oggi saremmo voluti arrivare a Santa Cristina e Bissone, ma non c’era nessuna possibilità di alloggio e quindi ci siamo fermati a Belgioioso. Qui, nel castello a pochi metri dalla nostra locanda, hanno soggiornato anche Parini e Foscolo. Noi ci accontentiamo di una pensione spartana e partiamo alla ricerca della cena. Non è un’impresa facile, perché la domenica sera a Belgioioso è tutto chiuso, salvo qualche locale di pizza al taglio. Ma abbiamo un piccolo problema: sono due giorni che mangiamo solo pizza. Ieri sera a Pavia abbiamo cenato con pizza a domicilio, nell’appartamento che avevamo affittato. Preso da un attacco di fame, il Papà ha ordinato tre maxi. L’appetito dei nostri figli è sempre al di sopra del livello di guardia, ma a tutto c’è un limite, quindi ne è avanzata parecchia. L’abbiamo sfruttata per colazione. Ma ne è avanzata ancora, quindi l’abbiamo portata con noi come pranzo. Stasera nemmeno i bambini ne avevano ancora voglia. Alla fine siamo riusciti a trovare una trattoria, scampando il pericolo della quarta pizza di fila. Domani si parte prima del solito: dobbiamo recuperare la distanza che non abbiamo percorso oggi. Ma ci ritaglieremo il tempo per cogliere un altro girasole. 

sabato 11 luglio 2020

tutta colpa sua

TAPPA 14 - Da Garlasco a Pavia 25 km 
Tutta colpa del Ticino. Se non ci fosse stato lui, con la sua corrente placida e invitante, saremmo arrivati a destinazione in tempo record. Ma il percorso di oggi passava per chilometri proprio sulle sponde del fiume: ad un certo punto è diventato impossibile resistere alla tentazione. I bambini si sono buttati in acqua, e noi con loro. L’ingresso a Pavia è spettacolare. Un lungo sterrato all’ombra, tutto sul fiume. Peccato solo che le sponde siano infestate da milioni di zanzare verdine, minuscole e affamate. Buttarci in acqua è stato anche un modo per sfuggire alle loro grinfie. Il bagno nel fiume è stato la degna conclusione di una tappa semplice, tra canali e risaie. Ormai è da giorni che siamo immersi nello stesso paesaggio, eppure non ce ne stanchiamo. Per lunghi tratti siamo passati accanto al canale Cavour, il terzo in Italia per lunghezza, che è davvero uno spettacolo affascinante. La Media, convinta che da grande farà l’ingegnere, era particolarmente interessata. E pazienza se, stando a quel che dice, vorrà lavorare nella progettazione di automobili. Tra zanzare, bagni nel fiume e soste varie arriviamo nel pomeriggio; di Pavia vediamo poco. Alla città si accede dal Ponte Coperto che era rimasto nei ricordi di Einstein. Secoli prima Petrarca, che si definiva “peregrinus ubique”, pellegrino ovunque, aveva descritto la città in una lettera appassionata a Boccaccio. Vediamo il Duomo, le torri medievali che sembrano incrociarsi nel cielo, l’università. Ci rendiamo conto che per godersi la visita alla città ci vorrebbe qualche giorno, ma noi dobbiamo ripartire domani: se vogliamo arrivare a Roma i giorni sono contati, non sono previste pause di svago. Ci sono, però, ben tre ottime notizie: la prima è che abbiamo miracolosamente trovato due camere d’aria di ricambio per la la ruota davanti del passeggino. Il meccanico l’altro giorno ha sistemato il danno come poteva, ma ha ripetuto che la riparazione potrebbe non durare molto. Avere con noi due gomme nuove, finalmente delle dimensioni corrette, ci mette al sicuro per un po’. 
La seconda ottima notizia è che siamo riusciti a comprare le bolle di sapone: Luciano le chiedeva da giorni. Per un motivo o per un altro, però, non eravamo mai riusciti a fargli questo piccolo regalo. Ha trascorso minuti felici soffiando bolle colorate nel centro di Pavia, mentre ci davamo da fare alla ricerca dei timbri per le Credenziali. A differenza di quanto avviene sul Cammino di Santiago, dove ogni bugigattolo propone un timbro, sulla Francigena tracciare il proprio passaggio spesso non è un’operazione scontata. 
La terza ottima notizia è che siamo già ad un quarto del percorso verso Roma. E abbiamo festeggiato con un cono al cioccolato. 

venerdì 10 luglio 2020

capra, cracker e piscina

TAPPA 13 - Da Mortara a Garlasco 21 km 
Arrivando all’alloggio di oggi, i bambini si sono trovati di fronte nell’ordine: una capra. Una decina di scatoloni di cracker all’olio d’oliva e rosmarino (gli scatoloni sono stati immediatamente depauperati di qualche confezione). Una piscina fuori terra, di quelle da giardino, ma più che sufficiente per un tuffo. A Garlasco dormiamo presso una comunità di recupero tossicodipendenti e “messa alla prova” di minori, che mette a disposizione alcune stanze. La sistemazione, per la verità, è molto spartana. Io non mi ritengo fissata con la pulizia, ma entrando nella nostra stanza mi sono sentita per qualche attimo sconsolata. Abbiamo delle strane brande, la doccia è priva di soffione (si tratta quindi di un rubinetto ad altezza due metri), la polvere è stata lasciata accumulare probabilmente dal periodo di costruzione dell’edificio (un casale rustico alla periferia del paese), e la maniglia della finestra mi è rimasta in mano appena l’ho toccata. Fuori dalla camera rimane in agguato la capra, che ha già tentato di rifarsi le corna sulle mie scarpe, all’interno delle quali si trovavano ovviamente i piedi, già molto provati dalla camminata sotto il sole. Ci hanno spiegato che la capra ha crisi di identità, e infatti dopo aver cercato di caricarmi tenta di fare le fusa, neanche fosse un gatto. Per i bambini, ovviamente, la sporcizia non esiste. Loro sono tutti concentrati sul grande giardino e sulla vasca in cui si lanciano immediatamente. Va bene così: anche oggi hanno camminato sotto un sole cocente (in provincia di Pavia è la giornata più calda della settimana, con massime di 33 gradi) e una sguazzata se la meritano proprio. Per tutta la giornata abbiamo fantasticato su come sarebbe stato questo soggiorno. Loro erano affascinati dagli animali (oltre alle capre ci sono galline, oche, asini e conigli) ma soprattutto non avevano mai sentito parlare di comunità di recupero, e hanno chiesto insistentemente di che recupero si trattasse. Ho cercato di spiegar loro che si può sbagliare, nella vita, l’importante è provare a rialzarsi. Quanto alle numerose scatole di cracker, non ho idea del perché siano state impilate proprio nella nostra stanza. Si tratta, probabilmente, del fondo di magazzino di un supermercato che ha deciso di fare un regalo ai ragazzi del gruppo. In camera troviamo anche una cassa di bottiglie d’acqua, che ci rendono ancor più felici. Oggi tappa semplice, se si esclude il caldo. Continuiamo a camminare in mezzo alle risaie, fra i canali e gli aironi. Il Papà cerca sempre l’ombra che non si trova, mentre la Grande e la Media hanno preso bene il ritmo del pellegrinaggio. Oggi non hanno fatto storie per la sveglia alle cinque e mezza, nella chiesa di Sant’Albino. Al momento la camera d’aria del passeggino sembra tenere, anche se la misura è sbagliata, perché il meccanico non aveva il pezzo. Continuiamo a telefonare ai negozi delle prossime tappe, perché vorremmo comunque trovare la gomma giusta. Ma di questo ci preoccuperemo domani. Sul Cammino i problemi sono a breve scadenza: abbiamo un letto, ceniamo in giardino insieme ai ragazzi della comunità. Tutto risolto, per ora. Finisco un enorme piatto di insalata di riso e penso che hanno proprio ragione i bambini: c’è una piscina per nuotare, ci sono animali da accarezzare; uno dei ragazzi aiuta il Piccolo a cavalcare l’asino. Un altro tira calci di rigore con la Media e la Grande. Della pulizia della stanza non importa nulla. 

giovedì 9 luglio 2020

mentre ero dal meccanico

TAPPA 12 - Da Robbio a Mortara 15 km 
Il momento migliore è stato scoprire che proprio vicino al meccanico c’era la piscina del paese. Ho gettato i quattro quinti della famiglia direttamente nella vasca e poi sono andata a far riparare la gomma. «Le camere d’aria non si sono mai bucate - mi aveva assicurato il precedente proprietario del passeggino - sono praticamente nuove». Mi ero lasciata convincere, anche perché non avevo alternativa. Ma oggi, dopo aver smontato la gomma per una foratura, abbiamo scoperto che c’erano ben tre pezze di riparazione, raffazzonate l’una sopra l’altra. La scelta migliore sarebbe stata sostituire, ma non abbiamo nulla: la misura delle ruote è diversa rispetto a quella del passeggino con cui siamo partiti. Abbiamo di nuovo temuto di doverci fermare; ma alla fine, riparando gonfiando e imprecando, in qualche modo abbiamo concluso la tappa. Sta diventando abbastanza snervante questa continua sensazione di non poter contare sul mezzo di trasporto. Ho peraltro scoperto che la misura della gomma non è standard; nemmeno in officina c’era un ricambio e il meccanico si è arrangiato come ha potuto. Garanzie di durata nessuna. L’unica consolazione è che almeno i bambini hanno sfruttato la sosta forzata per godersi qualche tuffo; nel frattempo io finivo di boccheggiare sul ciglio di una rotonda, dando al meccanico una mano per tenere il passeggino sollevato. Ma saremo più forti anche di questo. Oggi nuovo attraversamento delle risaie sotto il sole, fino all’arrivo a Mortara. Siamo all’Abbazia di Sant’Albino, dove si gode di un’accoglienza spartana. Domiamo nella sagrestia di una chiesa del Quattrocento, circondati da calici e paramenti. La custode è una signora simpaticissima, che ci tratta come fossimo suoi nipoti. Non ha assolutamente voluto che le dessi una mano a lavare i piatti. Cena abbondante, colazione per domani mattina all’alba e un giardino che è un tesoro. Sono riuscita a stendere il solito enorme bucato con la Media e il Piccolo che mi saltavano intorno, a caccia di gatti. Intorno all’edificio ce ne sono alcune decine. Ieri, invece, si erano dedicati a rincorrere lepri intorno all’agritur di Robbio, ovviamente senza successo. Il contatto con gli animali fa sì che i miei figli siano ancora più sporchi che dopo una tappa normale. Un giorno o l’altro documenterò il colore che assume l’acqua nella bacinella quando metto a bagno i loro vestiti. Non mi pare, tuttavia, che le condizioni degli abiti siano un grosso problema. I miei figli non hanno mai fatto domande sui pantaloni macchiati. «Che bello essere qui» invece me l’hanno detto tante volte. Tutto a posto, allora. Abbiamo mangiato, abbiamo un letto, la gomma del passeggino è di nuovo gonfia. Domani altri passi verso Roma. 

mercoledì 8 luglio 2020

cosa si mangia oggi

TAPPA 11 - Da Vercelli a Robbio 19 km 
Tre bambini che crescono e camminano hanno un gran bisogno di nutrirsi: il cibo è spesso nei nostri pensieri e nei nostri discorsi. D’altronde sul Cammino si impara e preoccuparsi soltanto dell’essenziale. Il nostro pasto preferito è la cena: oggi, appena entrati in Lombardia, siamo in un agriturismo a mezza pensione. Risotto e bistecca ai ferri. Ieri meglio ancora: a Vercelli abbiamo goduto di una splendida pasta alle verdure preparata per noi dall’hospitalera volontaria. Lei nella vita fa l’infermiera e lavora a Bergamo. Poche città sono state così colpite dal Covid. I ricordi sono ancora freschi. Di fronte a una tavola imbandita, però, sembra che il peggio sia alle spalle. Sembra davvero che tutto vada bene, come recitano le lenzuola appese ancora numerose alle finestre. Il bello del Cammino dovrebbe essere anche questo: chiacchierare intorno ad un tavolo con persone appena incontrate, come se si fosse un gruppo di amici; ma purtroppo l’accoglienza più semplice scarseggia: è troppa, ancora, la paura del contagio. Abbiamo ritrovato l’hospitalera questa mattina prestissimo, con sorriso e caffè. «Sono colpita da tua figlia maggiore - mi ha detto all’orecchio - credo che possa davvero diventare un magistrato, come dice. Ha quella fierezza tipica dei siciliani». Annuisco. Sul pellegrinaggio si può diventare famiglia per un giorno. Questa è la magia delle sistemazioni tradizionali. Nelle strutture private ovviamente non è così, e non c’è cucina raffinata che possa compensare quest’aspetto. Oltre al fatto che alberghi e agriturismi viaggiano su fasce di prezzo ben più alte rispetto ad un ostello. Speriamo che le accoglienze senza scopo di lucro aprano in fretta.
Vantaggio delle strutture private, invece, è che nel costo del pernottamento è compresa la colazione. Noi siamo già sulla strada prima che apra qualsiasi buffet (il Papà soffre il caldo, cerchiamo di partire intorno alle 6) ma in tanti sono disposti a prepararci un piccolo pasto da portar via. Ci avviamo, mentre fa giorno, con le buste appese al passeggino, e generalmente mangiamo un boccone dopo la prima oretta di strada. Nel frattempo il Piccolo emerge dal sacco a pelo, chiede anche lui un biscotto e parte alla ricerca del primo ramo della giornata. 
Il pranzo è il pasto più complicato. Dai cestini della colazione generalmente non avanza nulla, e quindi a metà giornata bisogna arrangiarsi. Il ristorante è escluso: in cinque, e con l’appetito che i miei figli si ritrovano, rischierei di dovermi bloccare una settimana a lavare piatti per saldare il conto. Il sistema migliore è fermarsi per strada in un negozio di alimentari e farsi preparare dei panini da mangiare all’ombra. Il problema è che non sempre il punto vendita si trova, e può capitare anche di dover tirare senza mangiare fino a fine tappa, rimediando poi con una merenda o un gelato. Oggi comunque è andata bene. Partiti da Vercelli con un po’ di ritardo - per i saluti di rito all’hospitalera - abbiamo camminato fra risaie e canali, di nuovo accompagnati dal volo degli aironi. Ci siamo fermati al paese di Palestro per un rifornimento di pizza al taglio e frutta, poi nuovo pit-stop per pranzo al sacco qualche chilometro più in là, proprio poco prima di arrivare a Robbio. Io a casa detesto cucinare. Non ho mai idee, ingredienti o tempo sufficiente. Ma sul cammino tante cose sono più semplici. 

martedì 7 luglio 2020

dove osano gli aironi

TAPPA 10 - Da Santhià a Vercelli 28 km
Gli aironi si spostano proprio all’ultimo. Aspettano che arriviamo vicini, poi si alzano in volo tutti insieme. Sorvolano i sentieri, i campi, i canali. Sulla tappa di oggi ce n’erano tantissimi. Siamo alla fine del tratto piemontese della Via Francigena ed il paesaggio è di nuovo cambiato: intorno a Vercelli le campagne sono quasi tutte coltivate a riso. Le foglie emergono dall’acqua brillando di verde. Il percorso è uno sterrato molto facile, dove il passeggino scivola senza problemi. L’unica difficoltà potrebbe essere data dal caldo (i punti d’appoggio sono pochi e bisogna far attenzione a non rimanere senz’acqua), ma oggi la giornata è velata di nubi e c’è un bel venticello. Possiamo davvero rilassarci. Usciamo da Santhià passando sopra la linea ferroviaria. Mi affiancano le mie figlie. La Media trova un quadrifoglio dietro l’altro: è davvero una giornata fortunata. «Mamma - mi chiede ad un certo punto - scoprire un quadrifoglio è una questione di occhio o di fortuna?». Ci penso un attimo. Non ricordo di aver mai trovato un quadrifoglio in vita mia. «Credo più di occhio - rispondo - certamente esiste anche il caso, che possiamo chiamare fortuna, ma il caso non ci porta da nessuna parte se non sappiamo cogliere le occasioni». La risposta la soddisfa. Il Papà ci segue a poca distanza con il passeggino. Quando le sue sorelle erano piccole, sul Cammino di Santiago, al mattino le spostavo a forza di braccia dal letto al passeggino. Loro continuavano a dormire fino a tardi, ben protette dalle loro carrozze e conservando le energie. Mi pareva un’ottima strategia e sto provando ad applicarla anche col Piccolo, ma lui non ne vuol sapere. Quando al mattino sente che ci muoviamo, si sveglia immediatamente anche lui. Rimane arzillo e contento i primi 5 minuti e poi sfodera uno stupefacente campionario di capricci da stanchezza, che per una volta sono ben contenta di lasciare alla gestione del Papà. Ci sfila accanto un treno. Ci fermiamo a mangiare qualche albicocca sotto un viadotto: l’ombra uniforme e fredda che il Papà preferisce. Riprendiamo e vado di nuovo qualche passo avanti, insieme alle ragazze. Altro argomento del giorno è il matrimonio a cui saremo invitati presto. La Grande e la Media hanno entrambe l’ambizione di diventare damigelle d’onore (ma il parentado è numeroso, avranno concorrenza) e concordano sul fatto che gli abiti da cerimonia maschili sono decisamente più belli di quelli femminili. Non sono affatto d’accordo, ma prometto ad entrambe che potranno sfoggiare un tailleur pantalone, a imitazione dello smoking che vorrebbero assolutamente. Intorno a noi scorrono i canali d’irrigazione. Ne attraversiamo alcuni su ponti in cemento, lambiti dall’acqua. In un campo incrociamo un gruppo di mondine, intente a strappare le erbacce dal riso. Un lavoro evidentemente faticosissimo, che pensavo rimanesse solo nelle canzoni popolari. Incontriamo un pellegrino belga. Non sembra per niente convinto quando gli raccontiamo che il nostro obiettivo è arrivare a Roma, ma ci chiede di scattare una fotografia. A Vercelli troviamo ospitalità pellegrina: di questi tempi è una preziosa rarità. Il Covid, con relative procedure di sanificazione, scoraggia molte associazioni no-profit. Quest’anno è molto difficile trovare un’accoglienza semplice ed economica. È un peccato, perché era una caratteristica preziosa del viaggio a piedi. Oggi però riusciamo ad andare in ostello. Letto in camerata, bagno in fondo al corridoio e cena comunitaria. Poco prima, entrando in città, il Papà spiegava alla Grande e alla Piccola l’importanza di alcune rivendicazioni delle mondine in favore di un lavoro più umano. E siccome una delle nostre passioni è il canto, sugli ultimi passi proviamo ad intonare (o a stonare) un ritornello: «Se otto ore son troppo poche, provate voi a lavorar… e proverete la differenza fra lavorare e comandar». 

lunedì 6 luglio 2020

cin cin al nuovo inizio

TAPPA 9 - Da Viverone a Santhià 17 km 
Toccato con mano: ad ogni giornata in cui tutto va storto ne segue una in cui va tutto bene. Questa sera, in un piccolo ristorante di paese, abbiamo brindato al nuovo inizio. Il passeggino è arrivato. È simile alla nostra storica carrozza, e si è allenato allo stesso modo sulle montagne del Trentino. Sembra pronto per accompagnarci a Roma. Il Piccolo è particolarmente soddisfatto, perché il grigio gli sembra un colore più adatto ad un supereroe rispetto al rosso. Dal vecchio passeggino abbiamo tolto tutto, incluse spille e conchiglie del Cammino di Santiago, che ora fanno bella mostra di sé sul nuovo. E già che siamo in tema di collaudi, ne approfittiamo per rifare il bagaglio. Abbiamo rispedito a Trento qualche chilo. La Grande aveva ragione: lo zaino era troppo pesante. Ora abbiamo meno dell’indispensabile. Per cambiare i bambini dovrò ingegnarmi. Ma va bene così: ogni oggetto è un peso, quando tutto è sulle gambe. E se anche arriviamo a Roma con qualche macchia, sono certa che in Piazza San Pietro piangeremo allo stesso modo. Forse è adesso che siamo davvero pronti. 
Oggi siamo comunque riusciti ad arrivare in fondo alla tappa, tenendo il ritmo. Il paesaggio è di nuovo completamente cambiato. Ora siamo in pianura, in mezzo alle risaie (sì: le zanzare sono davvero fameliche come si dice) e al mais. Si cammina su lunghi sterrati, affiancati qualche volta da canali di irrigazione. Paradossalmente, dobbiamo stare più attenti all’acqua: le fontane sono molto meno frequenti e tutti abbiamo bisogno di bere con regolarità. I bambini cominciano ad apprezzare la dimensione dell’incontro: hanno conosciuto un giovanissimo pellegrino (ha un’età simile a quella della Grande e cammina insieme al nonno) con il quale oggi hanno condiviso un bel tratto, scambiandosi sogni di vita adulta e pareri sulle serie tv. Ieri sera, invece, siamo rimasti alzati fino a tardi a chiacchierare con i padroni dell’appartamento in cui abbiamo alloggiato, che ci hanno offerto una deliziosa pasta al pesto. Consigli di lettura, ricordi di gioventù, amore per gli animali. Un’altra piccola cosa è andata bene oggi: la Media, come regalo di compleanno, qualche giorno prima della partenza aveva ricevuto un bruco di macaone, vivo e particolarmente famelico. Avevamo fatto in tempo a vederlo chiudersi in un bozzolo verde prima di doverlo affidare alla sorveglianza della nonna. Oggi, a casa dei nonni che ci sembra così lontana, il bozzolo si è aperto. Abbiamo visto le foto delle ali gialle e nere che si aprivano lentamente. Prima ancora di sapere che il passeggino sarebbe arrivato, prima di sapere che avremmo proseguito il viaggio, abbiamo iniziato la giornata esultando per la nascita di una farfalla. 

domenica 5 luglio 2020

la carrozza spezzata

TAPPA 8 - Da Ivrea a Viverone 22 km 
Si è spezzato in due. Aveva percorso insieme a noi duemilaseicento chilometri sul Cammino di Santiago. Ci aveva portato su e giù per le montagne del Trentino. Si era trasformato in box per giocare, rifugio per la pioggia e per il sole, lettino. Il Piccolo lo chiama ancora “carrozza”. Ma oggi, improvvisamente, mentre lo spingevo su uno sterrato fra due campi di spighe, il nostro passeggino rosso si è rotto. Già da qualche giorno dava segni di cedimento. Prima di imboccare il pellegrinaggio verso Roma lo avevamo provato sulle montagne di casa, come sempre, e ci era parso che ce la potesse fare. Ma nella ripida discesa dal Gran San Bernardo deve aver preso un colpo sulla roccia. Da allora ha iniziato a tirare a sinistra. Bisognava continuamente correggere la direzione, il che aggiungeva una notevole fatica. Lo avevamo portato prima da un meccanico per biciclette a Pont-Saint-Martin, ma ci aveva detto che non c’era nulla da fare. Molto di più ci aveva lavorato un meccanico di Carema, che ha una grossa officina di moto ma si è preso a cuore il nostro problema. Ha passato due ore a spingere la nostra “carrozza” avanti e indietro, a sistemare bulloni, a lavorare pezzi al tornio perché entrassero meglio. Non ha voluto un soldo. Dopo il suo intervento sembrava che la situazione fosse migliorata. E invece. 
Ci dispiace davvero dover abbandonare la nostra storica “carrozza” rossa, e a questo si aggiunge anche la preoccupazione di come proseguire. Il modello è uscito di produzione. Lo cerchiamo affannosamente sui siti dell’usato, ma pare che sia diffuso solo in Trentino. Speriamo di riuscire a farlo arrivare domani, in modo da proseguire il viaggio e riuscire anche a stare nei tempi: in tutte le strutture c’è obbligo di prenotazione causa Covid, cambiare programma diventa davvero difficile. Nel frattempo tutto quello che può andare storto oggi va storto: sbagliamo strada, aggiungendo inconsapevolmente una deviazione di due chilometri in salita. Purtroppo sulla Via Francigena le indicazioni vanno nelle due direzioni. Ci facciamo ingannare da una freccia che ci rimanda per un lungo tratto verso il punto di partenza. Scherzi dell’agitazione, probabilmente. Il Papà soffre il caldo più del solito. Chiede continuamente acqua, non riesce a portare né lo zaino né il passeggino (che a questo punto va letteralmente tenuto insieme). Si ferma cercando ombra ad ogni albero, ad ogni cespuglio. Io cerco di sdrammatizzare, ma mi sembra che oltre alla “carrozza” stia andando in pezzi anche tutto il resto. Procediamo lentamente. Le ragazze litigano. Il Piccolo chiede di salire a riposarsi sul passeggino, ma devo negargli il permesso: sulla storica seduta rossa ormai non potrà salire più nessuno. Arrivo boccheggiante e sudata al termine di una salita lunghissima, tutta su asfalto bollente. Cerco di dettare a me stessa un ritmo e recito Manzoni sottovoce. Un settenario per ogni passo. Una rima per ogni respiro. Coraggio. Ancora uno. A Piverone, dietro al campanile del borgo storico, c’è una trattoria. Oggi forse è il caso di sostituire il panino a bordo strada con un vero pranzo, di riposarsi e consolarsi un po’. Mentre trangugia con soddisfazione le sue linguine ai funghi, la Grande mi guarda: «Mamma - chiede - è questo il giorno in cui va tutto storto?». Prima di partire avevo preparato i bambini. Avevo detto loro che sarebbe arrivato un giorno, durante il Cammino, in cui tutto ci sarebbe sembrato difficile e sbagliato. «Sì, amore - rispondo - ecco il giorno in cui tutto va storto». La vedo sorridere e non capisco perché. Poi me ne rendo conto: avevo anche aggiunto che sarebbe certamente seguito un giorno in cui tutto sarebbe andato per il verso giusto. Finiamo di mangiare, riprendiamo la strada. In qualche modo ci trasciniamo comunque alla fine della tappa. Domani non potrà che andare meglio.

sabato 4 luglio 2020

topie e zanzare

TAPPA 7 - Da Pont-Saint-Martin a Ivrea 25 km 
Il regalo di oggi è stato il dondolo, proprio nel giardino dell’ostello. Ad Ivrea la struttura si trova in centro, magnificamente aggettante sul fiume. Solo un inconveniente: i bambini sono stati divorati in pochi secondi dalle zanzare, che qui evidentemente abbondano. Ma il gioco valeva la candela: punture o no, poter sfruttare un piccolo parco mentre io lavavo i vestiti e sistemavo il bagaglio è stata una gioia senza prezzo. Spero che l’assalto delle simpatiche bestiole non si protragga anche durante la notte. La vicinanza del corso d’acqua non depone a nostro favore, ma siamo stati bene attenti a tener chiuse porte e finestre della camerata, in cui peraltro alloggiamo da soli: l’afflusso dei pellegrini quest’anno è inferiore rispetto al solito. La Media, che ha la pelle delicata, è già in versione Pimpa, bianca a pallini rossi. Le zanzare hanno decisamente banchettato. All’inizio non mi ero data per vinta. Notando le prime punture, ho sfoderato il mio miglior piglio da madre organizzata accompagnandolo con l'offerta di un repellente in spray, che fino ad oggi avevamo portato sulla schiena senza usarlo mai. Ma la gioia è durata pochi secondi: queste fameliche zanzare piemontesi hanno continuato a nutrirsi, con buona pace del repellente. È l’unica nota di disappunto in una giornata perfetta. Abbiamo camminato molto bene su sentieri semplici, salvo qualche tratto roccioso. Nel primo pomeriggio siamo perfino riusciti a regalare ai bambini un tuffo nel lago Pistono, proprio sopra Ivrea, nelle vicinanze del castello di Montalto Dora, al modico prezzo di una deviazione di soli 3 chilometri. I costumi sono sempre a portata di mano, e alla fine basta attaccarli alle cinghie dello zaino per farli asciugare durante la marcia. Tappa di 25 chilometri anziché i 22 previsti. È il primo tratto in Piemonte. Attraversando il confine regionale è cambiato tutto. Le indicazioni per la Via Francigena somi marroni, non più gialle, e hanno una scritta molto più vistosa. I sentieri sassosi sono stati sostituti da piste attraverso le caratteristiche vigne sostenute da colonnine. Si chiamano “topie”, ho scoperto dopo, e servono ad immagazzinare il calore per rilasciarlo nei periodi più freddi, anche sui pendii ripidi dove spesso le vigne si trovano. Siamo curiosi di scoprire anche questa regione. Spero che la prima sorpresa non ce la facciano le zanzare stanotte.

venerdì 3 luglio 2020

quando stendiamo il bucato al sole

TAPPA 6 - Da Verrés a Pont-Saint-Martin 15 km 
E poi la sorpresa di un bar che fa sconti ai pellegrini: in Val d’Aosta non ne avevamo ancora trovati. Durante le soste mangerecce, per questioni di budget, stiamo sempre attenti ai consumi. Per una volta, con l’esibizione della Credenziale, i bambini hanno potuto prendere tutto quello che desideravano. I risultati a dire il vero sono stati impressionanti: è incredibile quanto possano mangiare tre minori che crescono e camminano. Ma non hanno lasciato sul tavolo nemmeno una briciola; anzi, ho dovuto difendere con le unghie il biscottino del mio caffè. In cammino, senza avere nulla con sé, si impara a sorridere di poco: una colazione finalmente come volevamo. Un bucato steso al sole e al vento. Il comico sta nel fatto che personalmente odio lavare a mano. A casa non lo faccio mai. Anzi, l’eventuale indicazione sull’etichetta è un buon motivo per rinunciare all’acquisto di un vestito, per quanto bello possa essere. Non mi piace strofinare abiti neanche in viaggio: è frustrante mettercela tutta senza che le macchie vengano via. Ma c’è qualcosa di soddisfacente nel vedere l’enorme bucato di famiglia che sventola al sole, occupando un intero stendibiancheria. 
Oggi ho potuto trasformarmi con agio nella bella lavanderina, perché siamo arrivati a destinazione molto presto: la tappa per Pont-Saint-Martin, breve nel chilometraggio, corre tutta in fondovalle e su piste ben curate. Tutta un’altra cosa rispetto ai sentieri di ieri. In mattinata abbiamo iniziato con il paese di Arnad, noto per la chiesa medievale e per il lardo artigianale. La prole ha apprezzato di più il secondo, ma avranno tutto il tempo per farsi una cultura artistica. Ci siamo presi il tempo per visitare il paese di Bard, uno dei Borghi d’Italia, con la sua imponente fortezza del XIX secolo. Il Piccolo, per la verità, era più interessato all’uovo di cioccolato che gli ho comprato in premio per la salita di oggi. Poi abbiamo proseguito per Donnas, a cui si accede da una porta romana scavata nella roccia. Era il tempo in cui Augusto rafforzava il dominio sulla Gallia. Ad un certo punto è parso che dovesse piovere, ma invece siamo riusciti ad arrivare a Pont-Saint-Martin sotto il sole, fotografando il ponte (anche questo di epoca romana) su cui la leggenda vuole che siano impressi gli artigli del diavolo. Alloggiamo all’ostello municipale. Il Piccolo è fuori di sé dalla gioia: potrà dormire in alto nel letto a castello, perché le sbarre sono lunghe e robuste. Sono riuscita a stendere sul terrazzo, di fronte alle vigne inerpicate su un pendio.  Oggi non abbiamo avuto né fame né sete. Non ci serve nient’altro per essere felici. 

giovedì 2 luglio 2020

questa sì che è vita

TAPPA 5 - Da Châtillon a Verrés 19 km 
Non so quale autostrada avessimo in mente quando abbiamo deciso di percorrere la Via Francigena. Ma oggi ci siamo resi conto ben bene del fatto che col passeggino non è per niente semplice. I bambini hanno provato tutti, ma proprio tutti, i dolori e le gioie del Cammino. Si sono trascinati sotto il sole su sentieri interminabili. Ma si sono anche infilati, vestiti com’erano, sotto una cascata di acqua gelida. Hanno mangiato tramezzini a bordo strada, ma la sera hanno recuperato con piatti abbondantissimi. Nonostante il chilometraggio inferiore, il percorso è stato più difficile di quello di ieri. E dire che fino a metà eravamo andati benissimo. Siamo saliti di prima mattina sopra Châtillon. Abbiamo trottato fino a Saint-Vincent. Ci siamo immessi sull’antica strada romana, lambita dai vigneti e aggettante sulla valle, solcata dalla Dora Baltea. A proposito, mi fa una certa impressione constatare che la Dora Baltea esiste veramente. Non me ne occupavo da quando avevo otto anni. Alzi la mano chi a scuola elementare non è stato tormentato con la lista degli affluenti del Po, rigorosamente a memoria. Divenuti certi, quindi, dell’esistenza della Dora Baltea anche al di fuori dell’elenco del maestro, siamo arrivati rapidamente alla chiesa di Montjovet, e da lì è iniziato un tratto davvero difficile, per la pendenza e per il terreno. Al termine della prima salita, che sembrava non finire mai, solo il Piccolo aveva ancora forze per alzarsi a raccogliere fichi acerbi. Ma dove trovi tutta questa energia? Gli ho chiesto boccheggiando, mentre preparavo l’integratore al magnesio in dosi massicce per tutta la famiglia. Dalla mia scuola! ha riposto lui, mettendosi di nuovo a correre. Ha recentemente scoperto l’espressione Questa sì che è vita! e oggi l’ha usata in più di un’occasione: quando ha finalmente trovato un ramo che secondo lui ricordava la spada di Orlando. Quando ha messo la testa nella vasca di una fontana. Quando siamo arrivati nel piccolo appartamento che abbiamo affittato per una notte (avevamo promesso di cucinare pasta al pomodoro e così è stato). Su tappe così impegnative a me e al Papà vengono mille dubbi: in nessun caso vogliamo che la fatica dei nostri figli superi il divertimento. Eppure ci sembrano sereni, nonostante gli sforzi, il caldo, il peso dello zaino. Oggi il momento più bello è stato l'ingresso a Verrés. A fianco della pista pedonale il Papà ha trovato un cespuglio di rose inselvatichite. Ne ha raccolte alcune e le ha date alle sue donne. Lo aveva fatto anche anni fa, sulla Via de la Plata. Ma all’epoca non mi ero messa a piangere. 

mercoledì 1 luglio 2020

tutti gli spruzzi di oggi

TAPPA 4 - Da Aosta a Châtillon 28 km
Che rimanga per sempre negli annali della Via Francigena: subito dopo la borgata di Rovarey c’è una cascata. Fin qui niente di strano: la Val d’Aosta ci sembra piena di cascate, canali di irrigazione e torrenti di varie dimensioni. Ma la cascata di Rovarey è davvero un regalo ai pellegrini affranti: precipita schizzando in un punto ombroso, e stando lì vicino si riesce a prendere una bella dose di spruzzi gelidi. I miei figli ci sono rimasti vari minuti, beandosi sotto l’acqua, al termine di una salita durissima, una delle tante della giornata. Il refrigerio alla cascata ha avuto qualche antipatico effetto collaterale: da quel momento in poi il Piccolo si è buttato, senza mai chiedere l’autorizzazione, sotto qualsiasi getto umido: fontane (per fortuna lungo il percorso ce n’erano molte), impianti delle aiuole pubbliche, pompe private. Forse avrei dovuto bloccarlo: da bambina mi hanno insegnato che non è salutare tenere addosso i vestiti bagnati. Ma chiunque avesse visto la sua espressione di gioia non avrebbe mai trovato il coraggio di toglierlo da lì. Non ce l’ho fatta nemmeno io, che vedo nelle regole una delle essenze del materno. Lo stesso hanno fatto le sorelle: ad ogni fontana riempivano il berretto d’acqua e se lo rimettevano in testa, effetto doccia portatile. Non avrei detto che l’estate in Val d’Aosta potesse essere così calda. Oggi tappa lunghissima, una delle più lunghe di tutta la Francigena, almeno per quanto riguarda noi. Ventotto chilometri di salite e discese, con seicento metri di dislivello in salita e altrettanti di discesa. A questo si aggiungano le pessime condizioni dei sentieri, alcuni nemmeno riconoscibili come tali. Erano, più che altro, percorsi nell’erba alta; faticosi da percorrere a piedi, figuriamoci col passeggino. Abbiamo inoltre capito che il cammino non è caro a tutti: un contadino ha avuto la simpatica idea di stendere il filo elettrico (quello che di solito si usa per bloccare le mucche) proprio in mezzo al tracciato, facendoci dubitare di trovarci sulla strada giusta. Bovini non ce n’erano, voltaggio invece sì. «Che ci vuol fare - mi ha detto un dirimpettaio - al mio vicino dà fastidio il passaggio dei pellegrini, e stende il filo elettrico fin sul sentiero. Non lo tocchi, mi raccomando!». Mi attraversa la paura di essere impallinata insieme ai figli da un allevatore ostile. Ma poi scaccio il pensiero e mi concentro sul passaggio, tra l’altro pieno di rovi. Poco lontano, in compenso, siamo accolti a braccia aperte: «Eccovi, finalmente!» sentiamo gridare. Ci viene incontro un ragazzo sorridente. Ha letto della pazza famiglia che cammina per portare una speranza anti-Covid e ci voleva conoscere. Ha preparato Coca-Cola per i bambini e birra per noi. Ci fermiamo, scambiamo due chiacchiere, scattiamo una foto insieme. Gli incredibili incontri del Cammino. Riprendiamo la marcia, abbiamo ancora parecchia strada. Arriviamo a Châtillon stremati, tredici ore dopo la nostra partenza alle sei del mattino. Per un attimo penso che, se ce l’abbiamo fatta oggi, abbiamo ottime probabilità di arrivare alla fine del viaggio. Ma poi scaccio rapidamente il pensiero. Alle mie figlie lo dico sempre: non dobbiamo ancora pensare a Roma, perché Roma è troppo distante. Il nostro obiettivo è la fine di ogni singola tappa. Ci dirigiamo al ristorante più vicino: una scaloppa valdostana ce la siamo meritata.