Quanti voli di ritorno abbiamo preso. Quante ultime corse in taxi. L'autista questa volta è gentilissimo, arriva a prenderci puntuale alle 7 e ha una carezza di saluto per i bambini. Sentendo che siamo italiani, ci fa i complimenti per l'arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus (complimenti che ci hanno rivolto in tanti; ma a noi importa il giusto, visto che siamo appassionati di basket) e mette un cd a noi dedicato. Parte Toto Cutugno: Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano... L'Italia è un bel posto dove tornare. Magari lo è un po' meno negli ultimi tempi; ma la nostra vita ci piace. Abbiamo casa-casa nostra, tanti amici, i nostri giocattoli, la pasta e la pizza. Certo abbiamo anche una routine che può essere rassicurante, ma è certamente faticosa. Abbiamo cassetti pieni di cose, giornate piene di appuntamenti; abbiamo lavori che ci appassionano, ma che ci portano lontano da noi. In viaggio, a volte, nelle minuscole stanze familiari in cui riusciamo a infilarci, mi piace guardarci tutti che dormiamo vicini vicini. E il resto è fuori.
Prosegue Celentano: È inutile suonare, qui non vi aprirà nessuno... A casa ho la lavatrice a disposizione, ma questo significa anche che la devo avviare ogni giorno. I bambini hanno la loro musica e loro sport, ma devono apparecchiare e sparecchiare. Alzarsi presto al mattino, fare i compiti, rispettare una tabella di marcia. A casa non ci sono letti sfondati, ma sapere sempre dove si andrà a dormire a volte toglie l'ebbrezza. L'ebbrezza di immaginare un posto nuovo e arrivarci. Un sentiero mai visto da salire; o una città nella roccia dove perdersi, perché il bello è proprio quello: perdersi insieme, per mano. Ridere perché nessuno ci capisce, arrabbiarci perché come si fa a litigare per un legnetto. Mettersi in gioco ogni giorno, ogni momento su una scoperta nuova. Cercare di tenere i nervi saldi quando qualcuno si fa male, e non riuscirci per niente, perché qui nessuno parla inglese, come faccio a spiegare che il mio bimbo è caduto?
L’ebbrezza di insegnare e imparare, o almeno provarci, che non conta sapere cosa si mangerà o dove si sarà. Che "casa" può anche essere una stanzetta semplice, dove però riusciamo a cantare la ninnananna di tutte le sere. Dove salta fuori dalla valigia il peluche a forma di delfino che il nonno Giuseppe aveva regalato alla Media, e pazienza se i vestiti di ricambio sono ridotti a meno del minimo, e andiamo in giro sempre macchiati.
Arriviamo in aeroporto sui Matia Bazar: Ah, dolce vita che te ne vai... I bambini sono felici ed eccitati. Non vedono l'ora di essere di nuovo a casa-casa nostra. Li guardo rincorrersi facendo più rumore possibile. Per loro ogni capitolo finale è un nuovo inizio, ma io non sono, non sono più così. Mi carico sulle spalle uno zaino pesantissimo e penso, per consolarmi, che la parte migliore del viaggio sono stati loro tre. Loro tre che io mi porto sempre addosso.