sabato 4 agosto 2018

salto in unione sovietica

Tsalka
Eravamo stati in quest’area l’anno scorso, durante il viaggio in Armenia, e già allora avevamo avuto l’impressione di rivedere l’Unione Sovietica. Ma la ciliegina sulla torta è il nostro albergo, talmente surreale da sembrare un set cinematografico: un casermone sulle rive del lago di Tsalka. Color verde menta, molto fatiscente, gigantesco e praticamente vuoto, se si esclude una coppia russa di mezza età e un gruppo di operai che lavorano al rifacimento della strada. In effetti un bel restauro non farebbe male: nonostante si tratti di una delle arterie principali del Paese (collega tutta la zona sud con Tbilisi), per chilometri e chilometri la strada è piena di buche modello voragine; oggi, sotto il diluvio universale, ci sono pozzanghere fangose lunghe decine di metri. Per cercare di evitare almeno i punti peggiori il Papà, come del resto fanno tutti gli altri automobilisti, procede con un continuo zig zag, corredato da qualche salto in alto quando il dosso non si può evitare. Il tutto ha effetti devastanti sul delicato stomaco del Piccolo, che prontamente vomita a getto appena arrivino in albergo. La fortuna sta nel fatto che in quel momento ce l’ho in braccio, quindi lui si piega su mio collo e vomita tutto dentro la mia maglietta. Sul pavimento non arriva nemmeno una goccia, cosa che mi consente di procedere con noncuranza verso la camera, dove la prima cosa che faccio è spogliarmi completamente e buttare tutto nel lavandino - mutande comprese. 
Ovviamente, trattandosi di un salto nell’Unione Sovietica, il personale dell’albergo è costituito da un’unica signora corpulenta che parla solo russo. I corridoi sono enormi e vuoti, la stanza è completamente spoglia, ma c’è una bella vista sul lago. Si tratta inoltre della sistemazione più economica da quando siamo in Georgia: l’equivalente di 17 euro per una camera familiare con bagno, più 10 euro di cena per tutti. Fantastico. Il ristorante è in un edificio staccato. Mentre ci andiamo, sempre sotto il diluvio universale, il Papà rischia di farsi staccare un polpaccio dal cane da guardia, ma alla fine ci salviamo. Il Piccolo nel frattempo si è completamente ripreso e ha fame. Riusciamo a fargli avere un patto di pasta in bianco e scotta, che lui accoglie con grandi applausi: È come quella che fa la nonna! urla in estasi. Poi si blocca un attimo e chiede: L’ha fatta la nonna?
Mentre ceniamo la luce manca una ventina di volte (non scherzo: si spegne e si accende con uno sfrigolio poco rassicurante), ma la cameriera (un’altra signora corpulenta che parla solo russo) continua a servire come se nulla fosse. Ordiniamo del vino per festeggiare, anche se non sappiamo bene cosa. E visto che il ristorante è completamente vuoto, la Grande e la Media cantano Rovazzi e ridono a gola spiegata. 

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