mercoledì 1 agosto 2018

l'appartamento conteso

Borjomi
Trovare spazi e letti per cinque persone non è sempre facile, quindi la Famiglia in cammino ricorre ogni tanto alle meraviglie della tecnologia e prenota una stanza. Prenotiamo, soprattutto, quando abbiamo qualche esigenza particolare, che di solito coincide con la lavatrice. Oggi lo avevamo fatto per rispettare una promessa: avevamo detto ai bambini che in serata avrebbero mangiato un piatto di pasta (sbalorditivo quando possa essere lacerante la nostalgia della pasta, soprattutto per i tre quinti della famiglia); non il pastone scotto che si trova in qualche ristorante occidentale, ma una pasta al dente cucinata dal Papà. Il kachapuri con l’uovo è buonissimo - continuano a dire i nostri figli - ma le penne al pomodoro sono un’altra cosa. Quindi ci siamo messi al lavoro per cercare un appartamento con cucina, ed in effetti l’abbiamo trovato. Una casa privata, in condominio, molto vicina al centro di questa piccola cittadina di acque surgive e tremali - Borjomi - dove la famiglia dello zar aveva una residenza estiva. Arriviamo quindi in auto all’orario stabilito e cerchiamo l’ingresso dell’appartamento. Il Piccolo è stanco e nervoso, chiede insistentemente di giocare, io cerco di calmarlo dicendogli che fra poco saremo a casa. La casa, però, non si trova. Non c’è numero civico (cosa in verità frequente nelle strade georgiane, dove spesso un numero contraddistingue non una singola entrata, ma un intero isolato), né il proprietario è venuto a riceverci. Telefoniamo, ma all’altro capo del filo parlano solo georgiano. Senza gesti è impossibile capirsi. Una vicina di casa ci sente: dice di sapere l’inglese e si offre di fare da interprete. Dopo molte chiamate a vuoto la padrona di casa risponde. Riusciamo con fatica a trovare la porta dell’appartamento (nel frattempo il Piccolo è sempre più nervoso, anche perché siamo per strada e fa molto caldo). Bussiamo, convinti che l’attesa sia finita. Ci apre una biondona in baby doll che sembra non capire nulla di quello che succede. Evidentemente non sa che per oggi erano attesi degli ospiti, mentre alle sue spalle due bambini guardano la televisione distesi sul divano. Pensiamo ad un errore. Nel frattempo la nostra interprete gestisce un altro giro di telefonate, a cui si unisce anche la biondona seminuda. Dopo molti sforzi capiamo che è la sorella della proprietaria, e che ha l’abitudine di usare l’appartamento quando è sfitto. A questo punto nessuno ha idea di cosa fare. Il Piccolo piange disperato, e piangono anche i bambini della bionda, che evidentemente si sentono cacciati da casa loro. Lei, esitante, spegne la sigaretta e ci fa dire dall’interprete: Prendo i bambini e me ne vado. Entrate pure al nostro posto. Non ci vedo più; afferro il telefono e urlo alla padrona di casa: lei non capisce una parola di inglese, ma le mie grida risuonano in tutto il palazzo. Non posso cacciare due bambini da casa loro. Non voglio che si sentano mandati via, e non voglio che ai miei figli passi il messaggio che… li stiamo mandando via. Quindi siamo noi ad andarcene, ma a questo punto è pomeriggio tardi e non abbiamo una sistemazione; la Grande e la Media sono deluse e stanche, il Piccolo urla senza più smettere; oltre al fatto che mi secca aver promesso la pasta e poi non metterla in tavola. Devo trovare una soluzione in fretta. Riprendo in mano il cellulare, trovo l’annuncio di un altro appartamento. Chiamo il proprietario, che per fortuna conosce qualche parola in inglese: affitto l’alloggio per stanotte - gli dico - ma solo se mi venite a prendere in macchina e mi ci portate. Adesso. 
In dieci minuti raggiungiamo un’altra casa, buttiamo i bagagli dentro e poi ce ne andiamo alle giostre, nel grande parco cittadino. Stasera, tutti a tavola con pasta al pomodoro. Una promessa è una promessa. 

1 commento: