domenica 16 agosto 2020

c'erano loro e c'eravamo noi

CITTÀ DEL VATICANO - C’erano loro, e c’eravamo noi. Come qualcuno ha fatto per la nostra famiglia, abbiamo deciso di fare lo stesso per la loro. Quel che sul Cammino è più difficile: aspettare. Noi a Roma da due giorni, due affacci del Papa in Piazza San Pietro, due tentativi di entrare in basilica (entrambi a vuoto: troppo lunga la coda sotto il sole rovente di Roma). Loro arrivati oggi, con affanno, e proprio pochi minuti dopo la fine dell’Angelus. Li abbiamo aspettati per due giorni, i nostri amici francesi, perché una foto insieme sotto il cupolone la dovevamo proprio fare. E pazienza se il nostro Papà domani lavora, e dopo lo scatto ha salutato tutti di fretta, col biglietto del treno in tasca. Loro sono “i francesi” - così li abbiamo sempre chiamati sulla Via - una gigantesca famiglia con sette figli. L’unica altra famiglia che abbiamo incontrato. Gli unici altri pellegrini con cui abbiamo camminato per lunghi tratti, perché le famiglie con bambini hanno le stesse esigenze; niente sosta al bar, ma un panino da portare al parco, così i bambini si sfogano. Non importa il Wi-Fi, meglio uno stendibiancheria in posizione comoda, perché i vestiti della prole vanno lavati, e fatti asciugare. Loro sono scesi dalla variante della Val di Susa, che si congiunge alla Via principale a Vercelli. All’epoca, settimane fa, erano un giorno davanti a noi. Ma a Garlasco si sono fermati, ed è lì che li abbiamo incontrati per la prima volta. Da allora abbiamo raccolto i fiori insieme, ci siamo bagnati nei fiumi. Abbiamo spinto insieme i nostri sgangherati mezzi di trasporto; noi un passeggino dalle ruote sempre bucate, loro due carretti da bicicletta. Ci entrava anche il nostro Piccolo, qualche volta, insieme ai piccoli loro. Si mischiavano spesso i bambini, e non si capiva chi fosse figlio di chi, chi fosse fratello di chi. O forse, per qualche giorno, è stato giusto che si sentissero fratelli tutti. Una splendida, ingombrante e chiassosa carovana: dieci bambini dai 12 anni (la nostra Grande, la loro maggiore) ai 9 mesi (la loro bimba più piccola, che ha fatto innamorare la nostra Media), e quattro genitori chiassosi anche loro. Ci siamo fatti posto a tavola. Ci siamo organizzati per dormire negli stessi ostelli: in 14 all’epoca del Covid è stato qualche volta difficile. Ma le famiglie sanno fare spazio per definizione. Nell’ultimo periodo loro hanno rallentato. Siamo andati avanti noi, li abbiamo aspettati. Oggi, quando li abbiamo visti entrare in Piazza San Pietro, abbiamo vissuto di nuovo l’emozione dell’arrivo nostro. E siamo andati loro incontro, ridendo e piangendo. Un’ultima volta, in Piazza San Pietro, c’erano loro e c’eravamo noi. Dopo una foto piena di bambini, io e l’altra mamma ci siamo guardate. E abbiamo concordato su un punto fondamentale: tutti a casa, adesso. È tempo che i bambini ricomincino a mangiare zuppa di verdura.

sabato 15 agosto 2020

testimonium

CITTÀ DEL VATICANO - Dev’esserci qualche aura negativa: Compostela o Testimonium, a noi gli attestati non danno soddisfazione. Sul primo Cammino di Santiago le bambine non avevano ricevuto la Compostela per mancato raggiungimento dell’età minima. A quel punto l’avevamo rifiutata anche noi. Secondo Cammino, stesso esito: niente Compostela per gli under 7, né l’abbiamo richiesta per noi. Dopo il terzo Cammino eravamo arrivati a Santiago nei giorni di Ferragosto. L’ufficio era talmente congestionato, l’impiegata talmente oberata, che nessuno aveva controllato l’età della Grande e della Media. La Compostela quindi era arrivata, ma senza suscitare particolari emozioni. Ieri eravamo troppo stanchi per entrare nell’Ufficio del Pellegrino, e quindi abbiamo rimandato ad oggi la richiesta del Testimonium. Volevamo che la solennità del momento meritasse la giusta concentrazione. Ma l’atmosfera, purtroppo, è quella di uno sportello di banca. Ce l’avevano detto, gli amici pellegrini: peggio che a Santiago. L’impiegata compila i moduli (niente età minima, quindi il documento c’è anche per il Piccolo) e ce li allunga sotto il plexiglas anti-Covid. Totale 30 secondi. Nella stanza ci sono dei distributori di bibite: cerchiamo le monetine per comprare una lattina di aranciata e brindare, ma c’è solo acqua. Tanto vale, allora, attingerla dalle fontanelle di Piazza San Pietro. Intorno all’obelisco centrale ce n’è più d’una, e di questo ha bisogno il pellegrino. Dobbiamo scattare una foto con gli attestati: è per i nipotini che sapevano delle vicissitudini della Compostela, ed erano curiosi di sapere se stavolta avremmo ricevuto il documento. Chiediamo a due turisti di passaggio di scattarcela. Sono inglesi. Proviamo a spiegar loro che cosa abbiamo fatto, da dove siamo partiti, quanto abbiamo camminato. Ma i turisti inglesi non conoscono la Via Francigena, non ci ascoltano, scattano una pessima foto tagliandoci i piedi (e dire che avevamo rimesso apposta le nostre scarpe da Cammino!) e vanno via. Emozione zero. Assistiamo, in compenso, alla benedizione del Papa dalla finestra su Piazza San Pietro, insieme al suo leggendario “buon pranzo”. Telefoniamo agli amici del Cammino. Le loro congratulazioni, la loro gioia che si unisce alla nostra. Non distinguiamo, in quel momento, la commozione nostra da quella degli altri. È allora che ci vengono (di nuovo) le lacrime.

venerdì 14 agosto 2020

i tre cinghiali

TAPPA 48 - Da La Storta a Roma 19 km Tutte le difficoltà della strada, fino agli ultimi metri: il Cammino non risparmia mai nulla, né regali né fatica. La prima si sente già al mattino. Per cercare di arrivare a destinazione prima possibile (siamo tutti golosi delle foto dell’arrivo) ci svegliamo alle 4. Non è che ci venga proprio spontaneo. Dopo pochi minuti, in compenso, siamo felici e frizzanti: oggi è il grande giorno. Finalmente Roma sarà ai nostri piedi. Iniziamo a camminare sulla Via Cassia, già trafficatissima. Ci tocca, peraltro, un tratto di statale più lungo del previsto: le Suore del Sacro Cuore, dove abbiamo dormito, sono in direzione opposta alla nostra meta. Non l’avevamo calcolato, ma in ogni caso l’offerta di sistemazioni a La Storta si riassumeva nella struttura delle suore. Non c’era alternativa. Ci regaliamo una sontuosa colazione al bar a La Giustiniana e poi ci infiliamo nel Parco dell’Insugherata, una riserva naturalistica proprio alle porte della città. Siamo contenti di attraversare un polmone verde invece di una periferia trafficata, ma l’Insugherata purtroppo è una zona lasciata a se stessa. Facile immaginare le conseguenze. Ci sono corsi d’acqua fangosi, con ponti improvvisati e malfermi. I rovi hanno invaso il sentiero. Nella campagna intorno circolano liberi i cinghiali. Non ci avevamo creduto finché non ne abbiamo visti tre, proprio davanti a noi. Non so se col cinghiale sia meglio comportarsi come con l’orso, ovvero allontanarsi lentamente e in silenzio. Se è così, siamo stati davvero fortunati, perché abbiamo invece ceduto all’istinto di urlare e battere la mani, sperando di spaventarli. Ai cinghiali, per fortuna, le nostre voci non sono piaciute, perché nel giro di pochi minuti se ne sono lentamente andati. Chi non se ne va, invece, sono i moscerini. Mentre seguivamo il sentiero vicino al ruscello ci hanno letteralmente mangiato, lasciando a tutti noi segni di morsi decisamente più grossi di quelli delle zanzare. Passeremo la giornata a grattarci. Usciamo dalla zona con un certo sollievo e affrontiamo la salita verso Monte Mario; è ripidissima. Ma dopo tanta fatica arriva il regalo. Al parco di Monte Mario (per fortuna più curato dell’Insugherata, destinata a rimanere nei nostri incubi) ci sono ben due punti panoramici. Il primo non ce l’aspettiamo. Quando vediamo in lontananza la cupola di San Pietro iniziamo ad urlare e abbracciarci. Lo facevano anche i pellegrini del Medioevo: non per nulla, e a ragione, il colle è soprannominato “Monte della Gioia”. Scendiamo verso San Pietro, ma l’emozione più forte l’abbiamo già vissuta. Non rimane che scattare qualche foto dell’arrivo. Al Testimonium, invece, penseremo domani. Siamo troppo stanchi per metterci in fila in un ufficio. Preferiamo sistemarci, farci una bella doccia, lavare i vestiti sporchi di strada, come facciamo ogni giorno. Che strano, però, non puntare la sveglia per domattina.

giovedì 13 agosto 2020

domani

TAPPA 47 - Da Campagnano a La Storta 25 km Forse davvero pronti non si é mai. Nemmeno adesso. Nemmeno oggi, alla vigilia dell'arrivo. La tappa per La Storta la sudiamo tutta, e abbiamo caldo e male ai piedi. Abbiamo paura di non farcela, oggi, come mille altre volte. Il Papà ancora si trascina, cerca l'ombra, cerca l'acqua. Sembra che il sole non gli dia tregua: "È una fornace" continua a ripetere. Porta con sé una bottiglia che riempie un po' ovunque, anche con acqua non potabile, e poi se la versa addosso. È una tecnica che ha messo a punto sulla Via De La Plata (una fornace anche quella), ma che non basta a dargli un vero sollievo. Peró poi arrivano le sorprese. Pensavamo che il bagno alle cascate di Monte Gelato sarebbe stato l'ultimo della nostra lunga serie. Ma oggi, poco prima di arrivare a La Storta, é spuntato dal nulla un ruscello con triplice cascata. Il Papà, la Grande e la Media non si sono fatti ripetere l'invito due volte, lanciandosi con le teste sotto il getto. La Mamma, ostentando noncuranza, si é seduta vicino al Piccolo, che in quel momento sonnecchiava in carrozza. La sorpresa più grande, una delle più belle della Via, é arrivata invece la sera, nella residenza delle Suore del Sacro Cuore che é il nostro ultimo alloggio pellegrino. Giovanni lo avevamo salutato a Camaiore, alle sei del mattino. Ci aspettava fuori dall'ostello per un saluto e un abbraccio. Aveva deciso di allungare il passo. Ma dopo due giorni ha iniziato a scriverci: "Mi mancate. Mi manca incontrare i bambini sulla strada". Ci ha aspettato di nuovo, questa volta a Roma, dove lui é entrato tre giorni fa. Ha preso un treno per La Storta, questa sera. I bambini, con i quali avevamo tenuto il segreto, se lo sono trovato davanti mentre scendevamo a cena. Lo hanno abbracciato forte, come si fa con uno zio. Impossibile descrivere la loro sorpresa, la loro gioia. E domani a San Pietro ci entriamo anche noi.

mercoledì 12 agosto 2020

allora scriveremo degli elenchi

TAPPA 46 - Da Sutri a Campagnano 28 km Avremo bisogno di fare ordine, una volta tornati a casa. A volte ci sentiamo ubriachi dei borghi che abbiamo visitato, dei piatti che abbiamo assaggiato, delle persone con con cui abbiamo condiviso un tratto di strada. Scriveremo, allora. Scriveremo degli elenchi. Uno di questi comprenderà i torrenti in cui ci siamo bagnati. Abbiamo iniziato mille chilometri più o nord. Una cascata gelida nei dintorni di Aosta. Ora siamo in Lazio, vicinissimi a Roma. Probabilmente la lista si concluderà con le cascate di Monte Gelato, dove oggi ci siamo fermati. Un'ora, poi un'altra, poi il tempo per cambiare una gomma (la lista delle gomme cambiate no, quelle ce le vogliamo scordare). Era l'ultimo bagno. Lo sapevamo e ce lo siamo goduto. In ostello a Campagnano siamo arrivati tardissimo, quasi volessimo prolungare il tempo della strada. A dispetto del nome, l'acqua delle cascate era fredda, ma non gelida. L'ideale per raddrizzare una giornata faticosa. Siamo partiti in clamoroso ritardo: troppo piacevole la colazione insieme a Fabrizio, su una terrazza da cui si vedono i tetti di Sutri. Grandi saluti, grandi promesse: torneremo. Ci incamminiamo convinti di imboccare il percorso per Campagnano, ma le indicazioni ci portano a una deviazione. Ce ne rendiamo conto solo dopo un po': siamo sempre sulla Francigena, ma abbiamo aggiunto più di tre chilometri di polvere e fatica in salita. Torniamo sul tracciato a Monterosi, già stanchissimi e vagamente frustrati. Nel frattempo il sole si é fatto implacabile. Procediamo a fatica, nei campi. Il Papà si stende sotto gli alberi, si bagna la fronte. A Monte Gelato arriviamo con fatica, ma l'acqua é davvero rigenerante. I bambini mettono la testa sotto la cascata, si schizzano. Mancano ancora chilometri a Campagnano, ma non ce la sentiamo di tirarli fuori. Quando finalmente riprendiamo il Cammino é tardissimo. Ci aspetta un lungo percorso sterrato, con salita finale modello Gran Premio della Montagna. Mi fermo alla base. Mi sistemo i capelli, gonfio una ruota, bevo un sorso d'acqua e comincio a recitare Manzoni. È il mio modo per darmi il ritmo. Sul "5 maggio" arrivo in cima senza pause, ma la strada per l'ostello parrocchiale é ancora lunga. Ci arriviamo stremati. L'ultimo edificio di fronte al quale passiamo é l'istituto comprensivo di Campagnano. Immagino i bambini andare a scuola, le loro voci al mattino. Continuo a spingere con fatica. Bisognerà stilare anche una lista delle scuole di paese di fronte alle quali siamo passati. Esultiamo sempre, quando le vediamo. Che belle le scuole.

martedì 11 agosto 2020

orlando è stato qui

TAPPA 45 - Da Vetralla a Sutri 25 km Gli amici che camminano qualche giorno davanti a noi ci avevano rassicurato: «Nessun problema nel bosco di Sutri, passerete col passeggìno tranquillamente». Grazie a tutti per la fiducia, ma il transito non è stato esattamente tranquillo: il bosco prima della cittadina è meraviglioso, il sentiero non lo è altrettanto. E siccome siamo a fine tappa, già stanchi, tutto sembra un po’ più difficile. Solleviamo, spingiamo, spostiamo. Il tutto accompagnato da colorite imprecazioni. Alla fine arriviamo a fine percorso. Ci accoglie Sutri, arroccata al di sopra della valle, e il borgo vale la salita. Tappa particolare: in uscita da Vetralla entriamo in un bosco di alberi d’alto fusto, imponente e ombreggiato. Poi entriamo in una piantagione di noccioli che fa la gioia del Piccolo: si fa prestare la tazza che usiamo per l’acqua e la riempie di nocciole con soddisfazione. Ma il meglio deve ancora venire: proprio in mezzo alle nocciole sorge la torre di Orlando. Si tratta in realtà di un gigantesco monumento funerario romano, ma la tradizione popolare lo associa al paladino di Carlo Magno, che sarebbe nato nelle vicinanze di Sutri. Orlando è anche l’eroe preferito del Piccolo, che brandisce la spada di legno (lui, neanche a dirlo, la chiama Durlindana) e si avvicina al monumento con piglio da padrone: sono settimane che raccontiamo la storia di Orlando a Roncisvalle. Probabilmente pensa di avere dei diritti di occupazione. Lo portiamo via con fatica, prima verso Capranica (che non è un posto tappa, ma vale una visita) e poi a Sutri. È la perla della Tuscia, abbiamo letto, ma me vediamo meno di quanto vorremmo. L’anfiteatro romano scavato nel tufo, le grotte delle tombe etrusche, la chiesa di Santa Maria del Parto. Finisce tutto sulla lista dei posti dove vorremmo tornare. In compenso ci godiamo una meravigliosa cena in piazza insieme a Fabrizio, che ci ospita nel suo B&B. Ha letto del nostro progetto «Italia Ti Amo» e vuole esserne parte.

lunedì 10 agosto 2020

questione di mosse

TAPPA 44 - Da Viterbo a Vetralla 18 km La prima mossa l’ho sbagliata clamorosamente: si stava troppo bene, nel lettone dell’alloggio di Viterbo. Come nel più classico dei lunedì mattina, ho spento la sveglia e mi sono girata dall’altra parte. Non importa - ho pensato un’ora dopo, alzandomi in preda ai sensi di colpa - tanto oggi la tappa è breve e piana. Tutto vero, certo. Ma nell’alto Lazio fa di nuovo caldissimo. Partire alle 7 e mezza non è una grande idea. Dopo neanche due ore di marcia il sole è già alto. Il Papà, lentamente ma inesorabilmente, implode. Alle 10 abbiamo appena attraversato la splendida tagliata etrusca, che ci ricorda il canyon di Petra in Giordania, e già non riusciamo a proseguire a ritmi accettabili. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che la tappa è totalmente priva di punti d’appoggio. Non c’è nemmeno una fontanella in tutto il tratto. Arriva piuttosto rapidamente il momento drammatico in cui si esauriscono le borracce. E in Famiglia scatta il panico. La Media sta per piangere, la Grande ammutolisce. Il Papà tace, ma si vede che soffre. Mi rifugio in un luogo zen della mente e sperimento una nuova strategia: fingo che non stia succedendo nulla. Faccio sedere la prole sotto un ulivo, mentre il Papà si stende poco lontano. Individuo un tubo d’irrigazione che perde. Bagno il cappello del Papà, poi lo uso per rinfrescargli fronte e nuca. Tiro fuori dallo zaino un residuato di prima infanzia: la storia della zebra Zeb, che faceva scorta di baci. Il Papà ha il tempo di riprendersi, noi leggiamo un libro. Cerchiamo di ripartire. Il morale della truppa è un po’ più alto, ma siamo sempre in mezzo alla strada e fa sempre caldo. Passiamo vicino ad una casa. Mi viene l’idea di suonare per chiedere ai proprietari di riempirci le borracce. Esperimento pessimo. Appena tocco il citofono due cani si lanciano contro il cancello, come se volessero mangiarmi. Rimango ferma e aspetto i padroni di casa. Sono certa che capiranno (e soprattutto che richiameranno i molossi). Invece non succede nulla. Il Papà si è steso poco lontano, cercando un filo d’ombra. I bambini sono sempre più agitati. Una signora si affaccia e mi osserva da lontano a braccia conserte. Deve avermi scambiato per una malintenzionata. Capisco il messaggio e faccio per allontanarmi mestamente dalla casa (chissà se ho un altro libretto nello zaino, o se ricorrerò di nuovo a Zeb), ma in quel momento si ferma accanto a noi un’auto. Sospetto che il guidatore stia per intimarmi di non disturbare le persone in casa loro brandendo le mie borracce. Invece apre lo sportello e mi passa un sacchetto: «Sono fresche - dice soltanto, e sorride - vi ho visto poco fa e ho pensato di portarvi qualcosa dal bar». Riparte. Dentro la busta ci sono bottiglie di acqua naturale, acqua frizzante, bibita energetica. Beviamo tre litri in tre secondi, e andiamo faticosamente avanti. Arriviamo a Vetralla finalmente reidratati (mai più sveglie oltre le 5 del mattino, promesso) e ragionevolmente in forze; il Papà si è ripreso. Ci concediamo una sosta al bar, poi ci guardiamo ben bene intorno: i gestori del bar sono gentili e offrono un the freddo ai bambini. Il paese, invece, è abbastanza deprimente. Ma la seconda mossa l’ho azzeccata: il nostro albergo, che ho prenotato alla cieca qualche giorno fa, si rivela il luogo più carino di Vetralla. Costruzione bassa, bell’ambiente, grande giardino dove possiamo rilassarci. È passata. Ma che bene prezioso è l’acqua, ragazzi. Che bene prezioso è l’acqua.

domenica 9 agosto 2020

i nostri nomi sulla pietra

TAPPA 43 - Da Montefiascone a Viterbo 18 km Per fare un tavolo ci vuole il legno, cantavo da bambina (e a volte canto ancora, sui sentieri del Cammino con il Piccolo). Per fare un monumento, invece, ci vogliono le pietre. Sulle pietre ci saranno le firme. E la nostra l’abbiamo messa oggi, coinvolti dall’Associazione Via Francigena in Tuscia Viterbo. Siamo entrati in una piccola bottega artigiana, a due passi dal palazzo dei Papi. Abbiamo scritto i nostri nomi con un pennello finissimo, sui mattoni destinati alla cottura. La Grande è stata la più precisa. Il Piccolo è stato ben contento di delegare le sorelle (ha avuto un momento di panico quando ha pensato che anche lui avrebbe dovuto scrivere). Il Papà ha scattato le foto, e il suo nome l'ho scritto io, con emozione un filo maggiore di quando scrivevo il mio. L'Associazione, nata due anni fa, valorizza il tratto della Via Francigena dai confini con il Lazio fino a Roma. Tra i progetti che promuove c’è anche “Il tuo passo è già storia” per la collocazione di un monumento con tanti nomi pellegrini in ingresso a Viterbo, luogo storico di accoglienza. Noi, purtroppo, ci arriviamo molto tardi. Facciamo appena in tempo a fissare i nostri nomi sulla pietra e dare uno sguardo al quartiere medievale, integro ed emozionante. La tappa da Montefiascone non era né lunga né difficile. Noi, però, ci siamo fermati alle terme del Bagnaccio, pochi chilometri prima dell’arrivo. Il parco termale, con tante vasche a temperature diverse, è a donativo per i pellegrini. Ci fermiamo circa due ore, bagnandoci nelle pozze bianche, frequentando il bar e godendoci le zone d’ombra. Tutto perfetto, salvo che ripartire non è per niente facile: il relax in acqua azzera l’adrenalina. Quindi usciamo del Bagnaccio con la vivacità di cinque amebe. Dobbiamo ancora percorrere 7 chilometri e oggi fa davvero caldo. Il Papà a tratti patisce, chiede continuamente soste, ma in qualche modo riusciamo a trascinarci fino alla meta. Prima ancora del Bagnaccio, l’altra meraviglia di oggi (una meraviglia davvero) è stata il basolato romano: un tratto dell’antica Via Cassia con pavimentazione originale ancora visibile, a tratti molto ben conservata. L’unica difficoltà è stata passare col passeggino su qualche punto in cui le pietre si sono nei secoli spostate. Ma nulla che ci impedisse di emozionarci di fronte ad un tratto di strada che ha più di duemila anni. Tutto procede, con la speranza di vedere Roma nei prossimi giorni. Nel frattempo proseguiamo con le riparazioni del passeggino. Nei giorni scorsi avevamo avuto ruote che rotolavano via e forcelle anteriori che si staccavano. Ora siamo tornati ad un grande classico: la gomma bucata, ovviamente di domenica. I meccanici sono tutti chiusi, ma abbiamo i pezzi di ricambio e possiamo faticosamente arrangiarci. Chiudo col diario a vado a dare una mano al Papà.

sabato 8 agosto 2020

il sorriso delle suore

TAPPA 42 - Da Bolsena a Montefiascone 18 km Non capirò mai come le suore, evidentemente non avvezze alla compagnia (e al trambusto) dei bambini, possano essere così pazienti. Oggi siamo entrati nel convento delle benedettine di Montefiascone. Il Piccolo, esaltato dal lungo corridoio, ha iniziato a correre. Io volevo fingere di non conoscerlo, ma una monaca si è avvicinata con un gran sorriso: «Che gioia vedere questo meraviglioso bambino!» mi ha detto. Il corridoio rimbombava dei nostri passi. Il Piccolo, incuriosito dall’eco, ha pestato forte i piedi. Io volevo sotterrarmi all’istante. E un’altra monaca, invece di rimproverarlo, gli ha offerto un piattino di biscotti e acqua fresca, il tutto accompagnato da un sorriso soave. Per cena siamo sempre in convento. In questi casi ho insegnato ai miei figli a non esprimere nessuna preferenza, nemmeno a domanda diretta. «Quello che c’è andrà bene» li ho allenati a dire. Una monaca, però, si è avvicinata al Piccolo, si è abbassata al livello dei suoi occhi e gli ha chiesto: «Cosa mangeresti volentieri per cena?». Lui, tutto compito: «Niente carne, per favore. Sono vegetariano». La suora mi ha guardato, come a chiedere conferma. Non siamo vegetariani, non so da dove gli sia venuta una risposta così convinta. Io mi sono affrettata a negare, domandandomi nel frattempo se non fosse il caso di darsela a gambe. La suora è scoppiata a ridere, poi è tornata a girarsi verso il Piccolo e gli ha detto: «Va bene. Visto che sei vegetariano, ti preparo una frittata». E per cena la frittata è arrivata. È ufficiale: la Famiglia in Cammino ama le suore. Il monastero di San Pietro è spazioso, ha un bel chiostro dove il Piccolo gioca col suo nuovo camioncino (abbiamo perso l’unica macchinina portata da casa e ci stiamo impegnando per superare il trauma) e si trova a due passi dal giardino dei Papi. È una pazzesca terrazza verde da cui si riescono a vedere il lago di Bolsena - da dove siamo arrivati oggi - e la città di Viterbo, dove andiamo domani. Ci siamo arrivati dopo una tappa non lunga, ma nemmeno semplice. Il percorso è tutto in salita, senza punti d’appoggio o rifornimenti di acqua. Poco prima dell’arrivo in paese, un cartello annuncia ai pellegrini che mancano solo cento chilometri a Roma. Ci fermiamo, scattiamo le foto di rito. Ci sentiamo gasati per l’impresa (dal Passo del Gran San Bernardo ne abbiamo fatti novecento), ma subito dopo arriva una specie di malinconia: la nostra meravigliosa vita lenta sta arrivando alla fine. Una vita faticosa, certo. Fatta di sveglie all’alba, di lunghe salite e grande caldo. Ma anche spensierata, sempre all’aperto, solo con la preoccupazione di trovare un letto e un piatto di pasta la sera. Veniamo dalle esperienze verso Santiago, e sappiamo che non sarà facile tornare alla vita di prima. Nel frattempo faccio quello che posso per calmare l’euforia del Piccolo. Le monache rispondono alla sua vivacità con grandi sorrisi, ma un convento non è il luogo migliore per ridere rumorosamente. «Stai zitto» gli dico ad un certo punto. «Perché?» risponde lui, sinceramente stupito. «Perché le monache stanno facendo esercizi spirituali. Significa che devono pregare, concentrarsi e pensare. Hanno bisogno di silenzio». «Pensare? Ma a cosa pensano, mamma? Pensano a cosa preparare per cena?»

venerdì 7 agosto 2020

déjà-vu

TAPPA 41 - Da Acquapendente a Bolsena 23 km La prima sensazione che rivivo risale alla mia infanzia: treno espresso Freccia del Sud dal Trentino alla Sicilia. Cuccette una sull'altra, niente spazio, modalità sardine, odore stantio. La seconda é più recente: Cammino di Santiago, ostelli affollati, materassi dal colore indefinibile. Terrore delle cimici. L'accoglienza pellegrina di Bolsena é praticamente un déjà-vu, e confesso che ne avrei fatto volentieri a meno. È la prima delusione che prendiamo da un ostello sulla Francigena, dove tutte le (altre) accoglienze sono magari semplici, ma sempre decorose, spesso sorprendenti. Rimaniamo in ostello giusto il tempo di scaricare il bagaglio. La doccia la faccio solo io (per i bambini preferisco lo sporco della strada a quello di un bagno comune in queste condizioni) e corriamo immediatamente in direzione lago. La Grande, la Media e il Piccolo si sciacqueranno insieme alle anatre. Oggi tappa non lunga, ma di un certo impegno. La prima parte nei campi di girasole, in un continuo zig-zag su sterrato. Arriviamo a San Lorenzo Nuovo a metà mattinata, ricevuti dall'amministrazione comunale. È magnifico che ci ringrazino per il messaggio che portiamo, ancor più bello é che ci raccontino il loro paese. Lo avremmo attraversato, altrimenti, senza capirlo. Invece guardiamo la piazza ottagonale, sappiamo che ci sono le scuole fino alle medie inferiori, che d'inverno fa freddo e che il paese sta cercando di puntare sulla Via Francigena. C'é l'accoglienza pellegrina, c'é una magnifica terrazza panoramica da cui si vede all'improvviso il lago di Bolsena. È lì che siamo diretti. Due tornanti sulla Cassia (il tratto di sentiero nel bosco non é praticabile con passeggino), poi ci immettiamo sulla pista sterrata. La strada serpeggia negli ulivi, guarda il lago e non finisce mai. Soprattutto, ci si aspetterebbe una discesa continua, e invece ci sono tratti di salita dura. Sotto un ulivo c'é una giovane ciclista che é appena caduta. Ci fermiamo, le passiamo qualche salvietta disinfettante. Non sembra niente di grave, ma attendiamo l'arrivo dell'auto medica prima di rimetterci in marcia. Siamo stanchi, quando arriviamo a Bolsena. Un tuffo nel lago ci vuole proprio. Anche perché in un posto così affollato non si può proprio stare. Domani a Montefiascone ci attendono le suore. Se assomigliano a quelle da cui siamo stati ad Aosta, di cui il Piccolo favoleggia ancora, siamo in una botte di ferro.

giovedì 6 agosto 2020

l'ultima delle sette

TAPPA 40 - Da Ponte a Rigo ad Acquapendente 14 km Il terzo dei nostri mesi: era giugno, quando ci siamo messi in cammino. Finiva la terribile scuola del lockdown. La fuga era necessaria. Ed era necessario dare una risposta, un senso al motto «Distanti ma uniti». Era giugno, e in Val d’Aosta abbiamo trovato la neve, quando ci siamo messi a camminare con il nostro progetto «Italia ti amo». Poi abbiamo camminato per tutto luglio. Ora siamo in agosto. Il mese del mare e delle ferie. Chissà come ci apparirà la Città Eterna. Per ora non abbiamo nessuna fretta di raggiungerla, perché a Roma finirà la strada. La settima delle regioni che attraversiamo. Questa mattina, molto a malincuore, siamo usciti dalla Toscana. L’ultimo saluto è stato spettacolare: i paesaggi infiniti della discesa dall’altissima rocca di Radicofani, raggiunta con così grande fatica. L’accoglienza incredibile di Alberto, Simona e i loro figli a Ponte a Rigo. Una cena che non dimenticheremo. Mi sono fatta dare anche la ricetta della carne al sale, consapevole che non riuscirò a riprodurla mai. Le chiacchiere e le risate, invece, speriamo di poterle restituire a casa nostra, quando saranno loro a venirci a trovare. Ci ha messo un po’ di tristezza, oggi, il cartello che annunciava l’entrata in Lazio. Anche perché la tappa è probabilmente la più brutta dell’intera Francigena. Passeggino o no, non c’è alternativa: bisogna percorrere a piedi circa 8 chilometri di Cassia, una strada ad alto scorrimento e senza banchina. Il rumore dei veicoli che ci sorpassavano strombazzando mi ricordava quello delle moto velocissime verso il passo della Cisa. Qui la velocità era minore, ma al nostro fianco sfilavano i camion. Ad un certo punto ci siamo perfino imbattuti in un cantiere. Gli operai asfaltavano. Siamo passati a zig zag fra i mezzi da lavoro e l’asfalto bollente, preoccupati che si attaccasse alle nostre scarpe. Abbiamo passato la frazione di Centeno, dove si fermò Galileo Galilei: stava andando anche lui a Roma venendo dalla Toscana. In Toscana, però, c’era un’epidemia di peste: Galileo rimase a Centeno in quarantena, come si fa oggi ai tempi della pandemia, prima di poter riprendere il suo viaggio verso Roma. A noi basta una breve sosta al bar, dove prendo un caffè doppio. Poi un’altra sosta al bar, poco prima di uscire dal tratto di Cassia, a smaltire un po’ lo stress della camminata su asfalto. Ci riconosce, la proprietaria. Ci regala acqua e caffè, un paio di orecchini in legno per la Media. In tanti hanno letto la nostra storia sui social, o l’hanno sentita da altri pellegrini. Ci capita spesso, sulla strada, di essere riconosciuti. Prima di Acquapendente, l’ultima fermata è per raccogliere un pugno di more. Ne abbiamo trovate tantissime, sulla strada, ma non ce ne stanchiamo. Macchiano terribilmente i vestiti, ma non ci importa. Ci accoglie Acquapendente, la città dei «pugnaloni»; sono grandi tavole in legno decorate con foglie e fiori che vengono esposte una volta l’anno (e poi conservate in Duomo) per ricordare il miracolo di un ciliegio secco che fiorì per intercessione della Madonna. La prima cittadina di una nuova regione - l’ultima - della Francigena. Siamo in Lazio.

saluto toscano

TAPPA 39 - Da Gallina a Ponte a Rigo 28 km Intendiamoci: trovare la cena pronta è fantastico. Se in più la cena è ottima, meglio ancora. Ma il vero regalo è stato incontrare persone che per cena ci hanno aspettato. Con le quali abbiamo condiviso bruschette, chiacchiere e risate. Ponte a Rigo è un altro di quei piccoli paesi che non avevamo mai sentito nominare prima di metterci sulla Via, ma che ci rimarrà nel cuore. Troviamo un’accoglienza incredibile: Alberto ci viene a prendere all’entrata del paese e ci accompagna all’ostello (stasera è tutto per noi). Ceniamo insieme alla sua famiglia; la moglie Simona, fra l’altro, è un’ottima cuoca. I nostri bambini sono felici di incontrare i loro figli. Rimaniamo alzati fino a tardi, poi la Media ci richiama ai nostri doveri pellegrini: i bambini hanno sonno, domani dobbiamo alzarci presto. L’ostello è piccolino, ma tenuto come una bomboniera. Pellegrini e viandanti di tutto il mondo, visitatelo. Noi siamo rimasti letteralmente commossi. Ci lasciamo con promessa di rivederci. Per il momento scattiamo e condividiamo foto. Questo, però, è avvenuto dopo. Prima, ovviamente, c’è stata la tappa: Radicofani, da cui siamo passati, è uno dei luoghi più conosciuti della Francigena. Non solo per la bellezza del borgo, ma anche per la difficoltà del tracciato. La rocca della cittadina si vede da lontanissimo. Al Piccolo sembra la regga della strega Malefica: è affascinato e al tempo stesso spaventato. A me viene in mente il castello dell’Innominato nei Promessi Sposi; nero, solitario, in posizione dominante sula valle. Ma in questo momento evito di proporre il confronto: siamo in salita, stiamo tutti faticando e forse ascoltare Manzoni non è quello di cui la Famiglia in Cammino ha bisogno. A Radicofani ci arriviamo all’ora di pranzo. Ci aiuta il tempo, oggi. Fa decisamente più fresco che nei giorni scorsi, quindi camminiamo spediti. Intorno, ci salutano i campi assolati della Val d’Orcia, l’amata Toscana. Subito dopo inizia la discesa su Ponte a Rigo, su un tratto che è fra i più panoramici ella Francigena. Sentiamo il verso di un’aquila, raccogliamo qualche fiore, giochiamo con foglie e rami. Sembra davvero di volare su campi e colline, come la Media continua a ripetere. Paesaggi incredibili, un borgo che è ancora identico a com’era nel Medioevo, l’abbraccio di persone eccezionali: così ci saluta la Toscana.

martedì 4 agosto 2020

ode alla tazza

TAPPA 38 - Da San Quirico d’Orcia a Gallina 17 km 
Il nostro Cammino ha avuto una svolta. Ci siamo lanciati nell’acquisto più clamoroso, l’oggetto più coraggioso, l’invenzione più geniale. Abbiamo comprato una tazza. Ma non una tazza qualsiasi: la nostra è di latta, con un bel manico. La attacchiamo col moschettone al passeggino, in modo da averla sempre pronta per bere alle fontane lungo il percorso. Sarà pure un disagio tutto mio personale, ma sento meno gusto se bevo da una bottiglia o da una borraccia. L’acqua nel bicchiere dà tutto un altro godimento. Se poi si tiene presente che la tazza è leggerissima e ha il logo della Via Francigena, si potrà ben capire la gioia della Famiglia intera, tranne forse il Papà, che si allontana con aria di superiorità di fronte ai nostri gridolini soddisfatti quando ci passiamo la tazza e ci dissetiamo con gaiezza. 
Siamo ancora in Val d’Orcia; andiamo verso Radicofani, sulla tappa più bella e più difficile della Francigena. 34 chilometri, novecento metri di dislivello, nove chilometri di salita continua fino alla rocca in cima a una collina. Radicofani è in posizione dominante su tutta la valle - infatti è bella alta - e i paesaggi, mentre ci si avvicina, sono pazzeschi. I bambini continuano a dire che le onde gialle delle colline assomigliano a quelle del mare, ed è un’immagine efficace. Un mare giallo, solcato da stradine bianche con filari di cipressi. La Toscana che uno si immagina non è soltanto qualcosa che si immagina. Esiste davvero. Noi però siamo consapevoli dei nostri limiti, e oggi abbiamo spezzato la tappa. Dormiamo a Gallina, che si trova esattamente a metà, ed è l’unico luogo in cui si possa dormire sulla Francigena in questo tratto. Lo hanno capito benissimo anche i proprietari delle nostre stanze in affitto, perché il prezzo è molto alto; ma la sistemazione è carina. Domani partiamo presto, raggiungiamo Radicofani, la visitiamo a scendiamo a Ponte a Rigo. Stiamo ormai arrivando verso il Lazio. Oggi quindi abbiamo percorso solo metà tappa, godendoci tutta la bellezza senza che la difficoltà diventasse eccessiva. Questo ci ha dato, fra l’altro, la possibilità di una lunga sosta a Bagno Vignoni. Il borgo è uno dei più famosi della Francigena, raccolto com’è intorno alla piazza-piscina che anticamente serviva ai pellegrini per lavarsi. Adesso entrarci è proibito (si tratta di un gioiello troppo delicato, ma non è stato facile spiegarlo al Piccolo); si può bagnarsi, però, alle terme poco distanti. L’acqua arriva calda dalla sorgente in cima al poggio, poi scende di vasca in vasca fino a raccogliersi in grandi piscine naturali. I bambini sono letteralmente impazziti di gioia. Ci siamo rimasti due ore. La Grande e la Media facevano su e giù fra cascatelle e pozze cercando di seminare il fratellino, che le seguiva arrancando. In alcune (rare) occasioni la via del terzogenito è dura. A Gallina siamo arrivati nel tardo pomeriggio, appena in tempo per schivare il temporale. Domani si riprende verso Radicofani. Intrepidi, fiduciosi e armati di una magnifica tazza. 

lunedì 3 agosto 2020

l'acqua della coffa

TAPPA 37 - Da Buonconvento a San Quirico d’Orcia 22 km 
«Mamma, per caso c’è acqua nella coffa?». È una concessione al dialetto (e al lessico familiare): il termine siciliano “coffa” allude al sacco che viene talvolta appeso alla testa degli equini per dar loro da mangiare. Nella Famiglia in Cammino si tratta di una borsa ormai priva di forma, che teniamo appesa alla maniglia del passeggino fin dai tempi della prima rotta su Santiago. Nella coffa infiliamo quel che non sappiamo bene dove mettere. Qualche volta, quando le tasche del passeggino sono tutte occupate, ci metto anche una bottiglietta d’acqua di scorta. Poi regolarmente me ne dimentico, lasciandola sepolta in mezzo al resto. E non c’è momento più gioioso di quello in cui, quando le ragazze hanno ormai svuotato le loro borracce, faccio comparire mezzo litro d’acqua dalla coffa. Spesso si tratta di acqua del giorno prima (la coffa ha le facoltà di un dimenticatoio, oltre che di un buco nero) ma non ci formalizziamo: in Cammino si conosce la sete, e si finisce col bere qualsiasi cosa si sia in grado di tracannare. La fame è fastidiosa, certo, ma tutti la sopportiamo senza grandi patemi fino a fine tappa. La sete, invece, è un tormento terribile. Le fontane lungo la strada (poche, in questo tratto) sono regolarmente prese d’assalto dai pellegrini e diventano luoghi di ritrovo. L’informazione più frequente che ci si scambia è quella sulla dislocazione dei punti acqua. 
Salutiamo qualche amico, oggi. Domani c’è la tappa più faticosa della Via, da San Quirico a Radicofani. Noi però la spezziamo; altri vanno avanti e probabilmente non ci vedremo più. Scambiamo numeri di telefono e inviti. Durante la giornata parlo con le mie ragazze dell’importanza dell’acqua. È terribile pensare come ci siano persone, nel mondo, che non hanno accesso all’acqua potabile. E non perché stiano vivendo un’avventura a piedi come la nostra: è la loro condizione di vita. Ai miei figli sembra impossibile: abbiamo avuto una grande fortuna, a nascere da questo lato del mondo. Una volta a casa, ci ripromettiamo di cercare una onlus che costruisca pozzi e finanziarla. Proseguono, intorno a noi, i paesaggi incredibili della Val d’Orcia. Qui siamo nelle zone del Brunello di Montalcino. Le viti sono disposte in file ordinatissime. Il Piccolo, che è un patito della raccolta selvaggia, ne vorrebbe un grappolo. Ma lo blocco in tempo: con quel che vale qui un singolo acino, temo che ci siano sofisticati sistemi d’allarme pronti a impallinarci al primo tentativo. L’acqua la prendiamo in testa, alla fine: sull’ultima salita per San Quirico (lunga, sterrata, e in forte pendenza) scoppia il temporale. Filiamo a ripararci sotto la tettoia di una casa privata. Il proprietario ci avverte che possiamo rimanere, ma nel frattempo la Media scalpita. Sogna da sempre di ballare sotto la pioggia, ma il divieto di bagnarsi a casa nostra è un imperativo assoluto. Perché? Mi chiedo all’improvviso. Perché buttarsi sotto l’acqua dovrebbe essere un problema? Le faccio, all’improvviso, un cenno con la testa. Si lancia sotto l’acquazzone, incredula e felice. Un attimo dopo la raggiunge la Grande. Ancora un attimo dopo le raggiungo io. Balliamo sotto la pioggia, tutte e tre. E pensare che a casa sono sempre la prima ad aprire l’ombrello e l’ultima a chiuderlo. Ma sulla Via non ho la schiavitù dei capelli da lisciare, nessuna piega che possa rovinarsi con l’umidità. Sono libera di prendere l’acqua in testa insieme alle mie figlie, e ridiamo come matte. 

domenica 2 agosto 2020

oasi nel deserto

TAPPA 36 - DA Siena a Buonconvento 30 km 
Marrakech Express è uno dei miei film preferiti. Qualcuno ricorderà l’amico Rudy, che si vede solo alla fine, stabilitosi in un’oasi del deserto marocchino con il sogno di farci crescere le arance. Oggi è stato un po’ così: ci ha salvato un’oasi. La campagna senese è ancora una fornace. Trentotto gradi la temperatura massima, oltre venti la minima. Già sulle prime salite dopo Siena eravamo completamente sudati. Dal punto di vista paesaggistico la tappa di oggi era una delle più belle del percorso: un lungo su e giù su colline di tutte le sfumature di giallo e di verde. Al Piccolo e alla Media veniva voglia di mettersi a correre sui pendii: più di una volta l’hanno fatto. Passati i dieci anni, però, al sole non si corre più (infatti la Grande si è cordialmente distaccata dai fratelli), e quindi spesso siamo rimasti indietro a boccheggiare per il caldo, regolarmente al sole. Pochissimi i punti di sosta all’ombra o le fontane. A Quinciano, però, una minuscola frazione su un poggio, c’era un’area di riposo con panchine e fontanella. Un’oasi nel deserto. Non ci è parso vero. In barba a qualsiasi orario pellegrino (tutti, ma proprio tutti, ci sono sfilati davanti), siamo rimasti fermi nelle due ore più calde. Il Piccolo si è armato di un rametto con il quale cercava di segare gli alberi. Non si è fermato un minuto. Infatti, quando abbiamo ripreso la marcia, si è immediatamente addormentato all’ombra del suo passeggino. La Grande ed io ci siamo messe a leggere. Il Papà e la Media si sono stesi e hanno dormito. Senza troppo successo ho tentato qualche telefonata per prenotare i nostri letti nei prossimi giorni, ma volevo soprattutto che il Papà prendesse fiato, evitando di andare in crisi come recentemente è successo. In marcia ci siamo rimessi con comodo, a metà pomeriggio, sotto un sole già più sopportabile. L’uomo di casa ha continuato a bagnarsi la maglietta e il berretto: è l'unico rimedio efficace, a suo dire, contro la sofferenza da caldo. Il luogo di arrivo di questa tappa sarebbe Ponte d’Arbia. L’accoglienza pellegrina mi comunica, però, che oggi quasi tutta la struttura è occupata da un gruppo, non ho capito di che genere. Provo a sentire un paio di affittacamere: non hanno posto, o chiedono cifre incredibili. Lasciamo con sdegno Ponte d’Arbia, diretti a Buonconvento. Il borgo si fregia del titolo «fra i più belli d’Italia» e non sbaglia. Ci arriviamo la sera. La tappa è stata lunga, durissima, caldissima. Incrociamo altri pellegrini. Anche loro, con la stessa ansia, controllano le previsioni per i prossimi giorni. Sembra che i valori siano destinati a scendere: ci auguriamo che sia davvero così. Siamo sudati, stremati e con una gran voglia di far crescere arance in mezzo al deserto. 

sabato 1 agosto 2020

stesso giorno stessa ora

TAPPA 35 - Da Abbadia Isola a Siena 22 km 
Certo che il tempismo è il nostro mestiere. Manchiamo da Siena da un anno. Saremmo dovuti arrivare a ora di pranzo, ma poi abbiamo tardato. Quindi siamo faticosamente saliti al centro storico nello stesso giorno, alla stessa ora, dalla stessa strada di una gara ciclistica importante, le Strade Bianche. Il centro è praticamente tutto transennato. I senesi stessi non riescono a spostarsi, figuriamoci noi che non sappiamo neanche bene dove si trovi il nostro alloggio. Le ragazze volevano andare al Museo della Tortura, il Piccolo aveva la più sobria aspirazione ad un gelato. Tutto annullato causa gara ciclistica. Non riusciamo a fare la doccia, non possiamo depositare i bagagli. Dobbiamo solo cercare un angolino all’ombra e aspettare che tutti i concorrenti taglino il traguardo. È davvero il giorno peggiore per essere a Siena. Oltretutto, e con tutto il rispetto, il ciclismo non ci interessa. Anzi, da settimane i miei incubi hanno la forma delle ruote del passeggino: sono terrorizzata da qualsiasi oggetto dotato di ruote, freni e camere d’aria. Lascio immaginare il mio personale disagio mentre gestisco la delusione della prole tutta, che cerco di consolare - senza troppo successo - con distribuzione di bibite fredde comprate ad un euro nella bancarella di fronte. Alla fine, di fronte alle lattine vuote, sono tormentata anche dalla mia coscienza ecologica (siamo abbastanza fiscali sull’uso delle borracce), ma nel frattempo si sono aperte alcune transenne. Riusciamo a scattare la foto di rito davanti al Duomo, Piazza del Campo purtroppo la vediamo solo da lontano e arriviamo all’appartamento: raggiungerlo è stato più faticoso che percorrere la tappa. A Siena le accoglienze pellegrine sono entrambe chiuse per lockdown, e quindi abbiamo puntato su un bilocale. Abbiamo intenzione di preparare una cena salva-budget, e a questo punto mi gioco l’asso: verificate le condizioni della cucina (mai promettere senza certezze!) annuncio ai bambini che la sera avranno pane con l’olio e bastoncini di merluzzo. Riesco brillantemente in un doppio intento: mettere in tavola un pasto a fatica zero e risollevare il morale della truppa. Bisogna solo stare attenti a mantenere il segreto con la pediatra. Ma mi consolo pensando che abbiamo mangiato ottimamente a pranzo: siamo stati ospiti di Angela e Marcello, proprio a metà della tappa. È una piccola accoglienza nata intorno a quella che, anni or sono, era l’unica fontana di questo tratto, e dava ai pellegrini soccorso in giornate torride come questa. Da qui, pochi giorni fa, è passato anche Romeo, un bambino di dieci anni che percorre la Via Francigena al contrario, insieme al padre, per andare a trovare la nonna in Inghilterra. Decisamente sul Cammino le storie affascinanti non mancano. 
Alla fine, dopo mirabolanti peripezie, riusciamo a farci la doccia e usciamo di nuovo in cerca di un supermercato. Intorno a noi, la città continua a sciamare in una confusione totale. Transenne ovunque, traffico (perfino quello pedonale) in tilt. Ma Siena è così bella che le si perdona tutto.