mercoledì 7 agosto 2019

il canto delle moschee

Madaba
Il Piccolo adora le moschee. Ama la loro architettura, col minareto sempre un po’ più in alto delle costruzioni circostanti. Ama le luci di cui spesso sono decorate, e che brillano di notte più delle insegne dei negozi. Ama soprattutto la voce del muezzin, che scandisce ovunque la giornata. A dir la verità non penso che abbia capito bene cosa sia una moschea, perché tende ad associarle ai numerosi castelli che abbiamo visitato durante il viaggio. Il dialogo che segue si ripete varie volte al giorno:
- Mamma! Mammaaaa, guarda! Quel castello è una moschea?
- Sì, amore, è una moschea, ma non è un castello. Il castello è un’altra cosa...
- Mamma, ma a cosa serve una moschea?
- La gente ci va per pregare…
- Perché adesso la moschea non canta? Quand’è che canta? 
Se invece è ora di preghiera, e quindi il canto si sente, invariabilmente il Piccolo ci avverte: - Ascoltate! La moschea sta cantando! Cosa canta, mamma? 
Evitiamo di ripetere il canto per strada, nel timore che i passanti fraintendano, ma nel chiuso delle nostre stanze abbiamo ripetuto più volte le parole del canto delle moschee. In macchina da oggi non potremo più farlo, perché l’abbiamo restituita all’autonoleggio. Domani all’aeroporto andremo in taxi; la Kia, nel frattempo, avrà bisogno di una bella lavata. 
Anche la Grande e la Media hanno subito il fascino del mondo musulmano: hanno imparato qualche frase in arabo, hanno mille curiosità sull’Islam e non smettono di guardare le donne velate. Dopo mille esitazioni hanno imparato ad apprezzare anche il cibo. Continuano a chiedere spaghetti e pizza, ma anche qui hanno alcuni piatti preferiti. Il ristorante di stasera lo ha scelto la Media; una bettola per locali: pollo, riso piccante, divanetti per terra e niente posate. 
Mentre rientriamo in albergo, sentiamo le moschee cantare. La gente stende i tappetini per terra, dove capita, e prega. Il sole è appena tramontato. 

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