mercoledì 26 luglio 2017

stepanyorn

Yeghegnadzor
Prima tappa dopo Yerevan, e siamo già in un posto dal nome impronunciabile. La domanda, però, non è nuova; anzi, mi è venuta in mente più volte, nel corso dei nostri viaggi, alla ricerca di eremi sperduti e conventi sulle montagne: cosa può spingere un ragazzo di trent'anni a mollare tutto, tranne una veste lunga e un paio di ciabatte, per vivere da solo su una montagna? L'avrei chiesto oggi a  Stepanyorn, se non fossimo stati separati da un'evidente barriera linguistica.
Tutta la zona qui intorno è punteggiata di chiese e monasteri antichissimi. Abbiamo visto quel che rimane del monastero Tanahat: una chiesa in basalto nero, intorno alla quale nel Medioevo c'erano le aule di un'università; oggi solo muri caduti, sterpaglie e lucertole grandi come un braccio, che fanno impazzire la Media e la Grande. Nelle navate della chiesa, nidi di rondini che ci accolgono con un fortissimo pigolare. Poi ci siamo diretti al santuario di Arkaz, che ospita, in una minuscola sala dove si entra solo scalzi, un pezzetto della croce di Cristo. È qui che abbiamo incontrato Stepanyorn. Tutto nero (tonaca, capelli e barba) ma con occhi azzurrissimi, il giovane monaco ci ha letto la storia del santuario in inglese. Solo dopo le prime righe ci siamo accorti che il testo era scritto a lettere armene, e che quindi lui non capiva nemmeno esattamente cosa stesse dicendo (a tratti, in effetti, non lo capivamo nemmeno noi). Stepanyorn sa cantare in latino (e fa sentire alla Grande un pezzo di Canto Gregoriano) ma di inglese non parla una parola; sembra però molto contento di conoscere i bambini; benedice più volte il Piccolo e lo accompagna fin sul sarcofago che custodisce la croce; regala una busta di albicocche alla Grande e alla Media e ci accompagna a vedere la sua cella. È una stanza completamente spoglia: letto, tavolo e sedia. Là per là mi viene in mente sua madre. Mi chiedo come abbia preso la scelta del figlio di arrampicarsi in cima ad una montagna (qui intorno non c'è nulla, ma proprio nel senso di niente, per chilometri e chilometri: solo alture gialle) e chiudere ogni contatto con il mondo per custodire un pezzetto della croce di Gesù chiuso sotto una pietra. Mentre mi agito tra questi pensieri si avvicina l'ora di cena. Rientriamo nella macchina che abbiamo noleggiato questa mattina e torniamo verso la pensione di oggi. Ma cosa spinge un ragazzo di trent'anni a mollare tutto?

2 commenti:

  1. ce lo chiediamo anche noi!!!pap

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  2. si dovrebbe esser capaci di...aprire una piccola porticina e...entrare nel cervello delle persone.La MADRE?chissà.

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