lunedì 15 agosto 2016

mashallah

Bitola (Macedonia)
Il fatto che i macedoni generalmente non parlino inglese ci spiace parecchio. E non si tratta di una questione di sopravvivenza: al ristorante di solito ci facciamo capire a gesti, oppure ordiniamo puntando a caso un dito sul menu (che quasi sempre è solo in cirillico): tanto nessuno di noi è allergico o schizzinoso, e quindi comunque si mangerà. Quello che vorremmo, però, è dialogare con i locali, il che spesso è impossibile. Per questo siamo stati particolarmente felici della sosta a Villa Dihovo: abbiamo potuto chiacchierare a lungo con Pece, il titolare, che conosce l’inglese benissimo ed è anche una persona piacevole, il che non guasta. Ha giocato a calcio (difensore centrale) come professionista all’epoca della Jugoslavia. Poi è stato nel campionato danese. Adesso ha smesso del tutto, ma tanto è bastato per mandare in visibilio la Grande, data la sua recente passione per il calcio. Pece insegna educazione fisica a scuola, in inverno fa il maestro di sci (sulle montagne qui intorno ci sono numerose stazioni) e soprattutto ha aperto un piccolo angolo di paradiso; Villa Dihovo è presidio SlowFood, e ogni due anni il titolare partecipa alla convention di Terra Madre a Torino (infatti è l’unico straniero mai incontrato ad avere un’idea di dove sia Trento, cosa che ci lascia a bocca aperta). Quando si tratta di mangiare la Famiglia in Cammino non delude mai: siamo ben felici di onorare la tavola e anche di assaggiare il vino biologico; Pece sostiene che nessun vino possa “invecchiare” più di pochi anni, e che le bottiglie resistano sugli scaffali dei supermercati, al caldo e alla luce, solo grazie a potenti dosi di conservanti. Noi non siamo esperti e quindi prendiamo tutto questo con beneficio di inventario. Non ci tiriamo indietro di fronte al bicchiere, e rimaniamo preda di un grave dilemma: a Villa Dihovo il vitto e l’alloggio non hanno un prezzo stabilito. Ognuno lascia quello che ritiene più giusto. Noi speriamo di aver pagato una cifra congrua, stabilita dopo lunghi ragionamenti, e ci dirigiamo verso la vicina Bitola, la seconda città della Macedonia per grandezza ed importanza. Visitiamo la chiesa di San Dimitri e la moschea Yeni, che si trovano a pochissima distanza l’una dall’altra. Sembra che la convivenza fra le due religioni possa essere molto facile; in realtà si ha l’impressione che non sia così, qui come altrove, e il pensiero mette un po’ di tristezza. La Grande e la Media mi chiedono cosa vogliano dire le urla del muezzin dal minareto. Chiedono il significato dei numerosi “Mashallah!” che i musulmani rivolgono al Piccolo, e che mi riempiono di orgoglio. Chiedono anche, ovviamente, chi sia Allah, e che cos’ abbia di diverso dal Dio dei cristiani. Provo a spiegarlo, ma non ci riesco come vorrei; forse non sono nemmeno la persona più adatta; nel frattempo arriviamo in vista di alcuni vecchi cavallucci a gettone. Le ragazze ottengono una monetina, insieme al permesso di salire. La Grande è alta, ormai fa fatica ad infilarsi. Ma è bello che ne abbia ancora voglia. Spero che si goda fino in fondo la bambina che è ancora. E sotto sotto spero di godermela ancora un po’ anch’io. 

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