lunedì 23 luglio 2018

lezioni di lingua

Gori
Torturato da un incessante bisogno di relazioni, il Piccolo continua a rivolgere la parola a chicchessia. Ha tuttavia cambiato tattica. Stanco dell’infruttuoso Come ti chiami? ha iniziato ad approcciare gli sconosciuti con: Ho fatto una puzzetta! Oppure: C’è puzza di cacca! Battute che trova sommamente divertenti.  Dimostra peraltro il giusto timore per le persone anziane, perché solo ai bambini si rivolge con Sei una caccola! per tornare indietro tutto sorridente e dire: Non capisce. Non è italiano
Credo abbia colto il fatto che nel mondo esistono lingue differenti, e a modo suo ne trae vantaggio. La Media, peraltro, si applica nell’insegnargli l’inglese, quindi i nostri viaggi in macchina sono scanditi da conversazioni che sembrano ispirate ai corsi di lingua DeAgostini: Chiesa? Church! Gatto? Cat! E così avanti all’infinito. I risultati delle lezioni della Media si vedono già, perché quando vuole farsi davvero capire il Piccolo dice Thank you! suscitando di solito l’ilarità degli astanti. 
Oggi, tra saluti e abbracci alla padrona di casa, abbiamo lasciato il villaggio ai piedi del Cinquemila per dirigerci a Gori, città natale di Stalin. Siamo di nuovo in bassa quota e abbiamo riguadagnato parecchio in temperatura, cosa che per la verità non mi dispiace. Lungo il tragitto ci siamo fermati a Mtskheta, che si trova alla confluenza tra i fiumi Aragvi e Kura. Qui, secondo la tradizione, i georgiani si convertirono al cristianesimo, e tuttora qui si trova la sede della Chiesa georgiana. Presi dalla smania di accendere ceri (che il Piccolo cerca regolarmente di spegnere soffiando, con alte grida di Buon compleanno!) abbiamo visitato la Cattedrale di Svetitskhoveli (XI secolo) e il Monastero di Jvari (VI secolo), che si trova su una collina da cui si domina tutta la città. 
In Georgia i cani randagi sono molto numerosi, anche se a dir la verità ci sembrano in qualche modo monitorati, dato che la maggior parte di loro ha una targhetta all’orecchio, simile a quelle che da noi si usano per le mucche. Fuori dalla cattedrale, una di questi randagi inizia a seguire la Grande. La guarda, chiede coccole, la sollecita toccandole le gambe con una zampa. I tre quinti della famiglia sono letteralmente incantati. In un attimo progettano di infilare il cane in macchina, e poi in aereo, e infine di sbarcare a casa con un souvenir peloso. Io e il Papà abbiamo il nostro da fare a bloccare le rivendicazioni: un cane piacerebbe anche a noi, ma questo no, proprio non possiamo portarlo a casa. 

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