domenica 28 luglio 2019

in viaggio con loro

Wadi Musa
Gli arabi - e i giordani non fanno eccezione - hanno una fortissima propensione verso i bambini. Chiunque, uomo o donna che sia - soprattutto gli uomini, in verità - non ha nessun problema ad avvicinarsi ai figli altrui (soprattutto il Piccolo, nel nostro caso), accarezzarli e baciarli. Ammetto che non sono entusiasta di questo (non amo che i miei figli siano accarezzati e sbaciucchiati da sconosciuti) ma metto un freno alla lingua e lascio che anche la coccola imprevista rientri nel folclore locale. C’è, in effetti, anche qualche risvolto positivo: in Giordania non esistono, o sono più uniche che rare, le attività pensate per i bambini; nei ristoranti non esistono seggioloni, di cui comunque ormai non abbiamo bisogno, né sono contemplati i menu-baby. Eppure tutti si fanno sempre in quattro per accogliere i nostri figli - gli unici viaggiatori minorenni che abbiamo incontrato fino ad oggi - e per farli sentire a loro agio. Ieri, al campo beduino, uno dei gestori ha regalato una decina di biscotti confezionati al Piccolo, e poi è riuscito a materializzare perfino un peluche di Bambi da lasciargli. Anche le ragazze riscuotono un certo successo: ricevono spesso in dono caramelle e dolcetti, oltre a parecchi complimenti per il loro inglese. Hanno imparato ad accettare gli omaggi, per non offendere le persone da cui provengono, e a ringraziare e salutare in arabo, cosa che diverte loro e gratifica gli interlocutori. Il fatto di essere una delle poche famiglie in viaggio ci pone in una posizione un po’ privilegiata, perché attiriamo gli sguardi, anche se non si può certo dire che in generale qui i bambini manchino: ieri abbiamo incontrato una famiglia giordana della nostra età con otto figli, e la norma è quattro o cinque. Noi quindi ci sentiamo in pochi, ed è una sensazione che difficilmente proviamo in Italia. 
Viaggiare come famiglia è certamente un grande divertimento, ma comporta anche una dose di fatica: camminare sotto il sole con prole non è sempre facile: oggi, per esempio, la Media e il Piccolo hanno fatto mille storie per visitare il castello crociato di Shawbak, che domina la valle in una spettacolare posizione panoramica. Lamentele che si sono poi ripetute a Little Petra, un sito nabateo molto più piccolo della famosa Petra, di cui probabilmente era un sobborgo, ma comunque mozzafiato per le architetture scavate nella roccia e per i paesaggi. Mentre cercavo di convincere il Piccolo a percorrere una scalinata di pietra fino al belvedere, ci ha sorpassato un’intera comitiva di decine di cinesi vocianti e senza bambini piccoli. 
Con il cibo va decisamente meglio, anche se i bambini non smettono di chiedere spaghetti; la cosa è piuttosto seccante, considerando che qui la pasta è difficile da trovare, generalmente scotta e sempre molto cara. Ammetto, tuttavia, che oggi abbiamo ceduto, con grande disappunto mio e del Papà, che invece abbiamo mangiato una specialità beduina: mansaf, ovvero agnello, riso e pinoli con salsa agrodolce. Delizioso. Ma la Grande, la Media e il Piccolo non l’hanno nemmeno assaggiato. 
Quello che ci mette davvero alla prova, tuttavia, sono gli spostamenti in auto: i bambini litigano per chi berrà per primo dalla bottiglia; la Grande e la Media litigano per il posto (il Piccolo no, ma solo perché ha il seggiolino); poi litigano per chi scenderà per primo. Poi per chi salirà per primo. Litigano per un legnetto, per uno sguardo, per una parola. E questo - lo confesso - a volte mi sega i nervi. 
A Little Petra, mentre il Piccolo continua a piagnucolare, tirandomi i pantaloni a rischio che cadano, guardo la comitiva orientale che ci trotta al fianco e ci sorpassa. Non so se viaggiare coi bambini sia più difficile, più divertente o semplicemente diverso. So che non riesco più a immaginare altro. A volte sogno un mini-club a Riccione; più spesso mi dico che il nostro viaggio è questo; è così che ci piace; sorrido, sorrido veramente, me lo prendo in braccio e gli lascio fare gli ultimi metri di cammino con la testa sulla mia spalla. 

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