lunedì 29 luglio 2019

più monumentale, più impressionante, più arancione

Wadi Musa
Petra è più di quel che si può immaginare, più di quel che si può dire, più di quel che si può raccontare. Monumentale, arancione, impressionante ben oltre quel che immaginavamo. 
Le tombe regali, scolpite nella roccia (che conferisce il caratteristico colore arancio-rosa, secondo la luce), alte decine di metri e finemente decorate, sono probabilmente i monumenti più noti. Ma la città, fiorita a partire dal I a.C.,  aveva anche un teatro, diversi templi e, dopo l’annessione all’impero romano, un Cardo colonnato. Ancor più avanti fu aggiunta una chiesa bizantina, che conserva ancora magnifici mosaici.
Ci arriviamo al mattino presto; parliamo di questo sito da quando siamo partiti e quindi anche i bambini sono molto eccitati. Raccontiamo loro la storia del giovane esploratore svizzero, che riuscì ad imparare perfettamente l’arabo e a trasformarsi in un beduino del deserto, fino a venire a conoscenza del segreto della città sepolta, che le popolazioni locali custodivano gelosamente. Fu lui, nei primi anni dell’Ottocento, a scoprire questa meraviglia, all’epoca del tutto sconosciuta al mondo.
A Petra, capitale dell’impero nabateo, si arriva dopo aver percorso un lunghissimo canyon con alte pareti rocciose, frutto di una spaccatura nella terra dovuta ad antichi movimenti tettonici. Il Piccolo si appropria della cartina e la guarda con piglio da condottiero; vuole essere lui a guidare la spedizione; arriva perfino a promettere gelati e altre piccole ricompense a chi sarà in grado di camminare fino alla città senza lamentarsi. Arriviamo alla prima facciata di Petra, la più famosa, il cosiddetto “Tesoro”. Si tratta in realtà di una gigantesca sepoltura (altezza complessiva circa 40 metri), in cima alla quale si trova un’urna di pietra. Le leggende beduine dicono che un faraone egizio vi abbia nascosto il suo tesoro, durate una spedizione all’inseguimento degli israeliti. Qualcuno deve averci creduto, perché l’urna oggi è inutilmente crivellata di colpi di fucile. 
Oltre che monumentale, la città è enorme; all’interno c’è anche un notevole paesaggio umano: bancarelle un po’ in tutti gli angoli, bar con bibite a prezzi folli e decine di beduini che offrono ogni tipo di cavalcatura per muoversi all’interno del sito: ci sono dromedari, cavalli e asini. Questo, in effetti, per noi si rivela un ottimo espediente; dopo un primo momento di entusiasmo, e passato il fresco del mattino, i bambini non ce la fanno a proseguire: cavalcare gli asini è un ottimo modo per evitare la fatica e aggiungere divertimento. I percorsi sono stabiliti, i prezzi no, e quindi mi diverto a contrattare. Proseguiamo la nostra visita passando per il tempio dei sacrifici (con grossi canali di scolo per il sangue), il teatro (che fu ampliato dai Romani, i quali pensarono bene di distruggere alcune tombe per far posto alle ultime gradinate), il tempio maggiore (che ha una superficie di ben 7000 metri quadri). 
Nel primo pomeriggio decidiamo di tornare indietro: nonostante l’aiuto dei cavalli e degli asini, nonostante le soste all’ombra per bere, i minorenni della famiglia sono a pezzi; il Piccolo, letteralmente, collassa: non cammina più e non mi sembra un capriccio; lo prendo in braccio, mi avvio verso il canyon e verso l’uscita, prometto che potrà fare il pisolino in albergo, sul suo letto fresco. Lui annuisce e piange silenziosamente, mi si appoggia sulla spalla e si addormenta all’improvviso. Non riesco a proseguire con lui così abbandonato addosso; troviamo una panchina all’ombra. Oggi il sonnellino è in braccio alla mamma, nel canyon che porta alla città dei nabatei. 

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