giovedì 18 luglio 2019

però ci piace

Amman
Io e il Papà siamo d’accordo: fra le città arabe che abbiamo visitato, Amman è quella esteticamente più brutta. Non ha una piazza fantasmagorica come Jemaa el Fna a Marrakech, né il mercato incredibile di Aleppo (quando Aleppo esisteva, ahimè), per non parlare degli edifici pazzeschi di Sana’a, che aveva fatto sognare anche Pasolini. E quando ci penso mi si stringe il cuore, per Pasolini e per Sana'a. Eppure sarebbe ingiusto dire che Amman è una brutta città. Le sue strade congestionate hanno il fascino dell’impossibile traffico arabo, i banchetti della frutta per strada ci deliziano, e andando nelle strade giuste troviamo piccole gallerie d’arte, locali vivaci, rovine spettacolari. 
Oggi la nostra giornata inizia al teatro romano, ancora perfettamente integro: risale il fianco di uno dei colli cittadini, ha seimila posti e le gradinate sembrano non finire più. Il Piccolo adora arrampicarsi sugli spalti (rischiando ovviamente l’osso del collo, ma spesso la Media è disponibile a scortarlo), la Grande mi chiede spiegazioni sugli spettacoli romani. A seguire visitiamo il Diwan del Duca, un appartamento di sette stanze restaurato da un magnate locale e donato alla cittadinanza come museo. Il Piccolo lo definisce incantevole. A me piace soprattutto affacciarmi dal balcone su Hashemi, la via sottostante, piena di piccoli negozi che vendono un po’ di tutto: ci sono banchetti di medicine tradizionali, intimo sexy, gioielli in oro. La Grande adora il profumo delle spezie, la Media rimane affascinata dai limoni essiccati. Il Piccolo punta una bancarella di giocattoli e chiede insistentemente un fucile da guerra, più alto di lui e munito di mirino. Non ci sentiamo pronti per un figlio stile “american sniper” e quindi passiamo rapidamente oltre. Ci spostiamo alla gigantesca moschea blu, l’unica in cui possono entrare anche i non musulmani; spiego alla Grande e alla Media il senso della preghiera comune dell’Islam, indico la nicchia rivolta alla Mecca. Il Piccolo è colpito soprattutto dalla lunghissima veste nera che devo indossare per entrare nel luogo sacro: La mamma è una strega! grida forte, anche se non mi sembra troppo preoccupato. 
Il mix fantasioso di Amman non è da rivista di architettura, ma ci rendiamo conto che ci piace. La giovane commessa di un negozio ci regala le cartoline, e in tanti vogliono salutare i nostri bambini. Gli arabi sono in media molto cordiali, ma ovviamente le eccezioni esistono: il brivido della giornata ce lo regala il tassista dell’ultima corsa, che cerca di fregarci. Prima sostiene che il tassametro indichi un totale di 28 jod, ma noi abbiamo già capito che è un prezzo improponibile. Io ribatto che il tassametro dice invece 2,8 e gli allungo una banconota da 20. Allora, con aria seccata e approfittando del fatto che nel frattempo sto facendo scendere i bambini, infila rapidamente i soldi in tasca. Quando gli chiedo il resto, mente e dice che gli ho dato un solo jod (i colori delle banconote da 20 e da 1 sono in effetti vagamente simili). A questo punto io e il Papà iniziamo a urlargli contro e riusciamo a farci restituire i nostri soldi. Tutto a posto quindi, ma temo che i bambini si siano spaventati nel sentirci gridare così. Quindi mi volto e chiedo: Avete avuto paura? La Grande e la Media ridono e rispondono quasi in coro: Noooo… noi siamo rimaste a goderci la scena… Lo sappiamo che nessuno può farvi arrabbiare! Proseguiamo il nostro giro, compriamo due magliette in un negozio di giovani artisti. I nostri figli sono sicuri di noi: è un meraviglioso pensiero. 

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