sabato 8 marzo 2014

impatto con l'inglese

Bookaloo rest area (Stuart Highway)
Da quasi due mesi viviamo in un Paese anglofono. La cosa è particolarmente evidente se si considera che abbiamo incontrato pochi stranieri e pochissimi italiani (solo tre ragazzi in camper, qualche settimana fa in Tasmania). Per il resto, la Famiglia in cammino costituisce un'orgogliosa isola linguistica, ma è ben circondata da gente che parla solo in inglese. Lo slang australiano è particolarmente forte, ed esistono numerose espressioni che qui sono comunissime ma che non rientrano nella lingua standard. Gli australiani salutano con "G' day!". Oppure: "Hi, mate!". Il termine "Barbie" non indica la fidanzata di Ken, curve mozzafiato e maledetto vitino da vespa, ma è un affettuoso diminuitivo per "barbecue". A questo punto uno potrebbe pensare che l'australiano medio è legatissimo al suo barbecue, quanto lo è alla sua ragazza. Questo spiegherebbe perché gli australiani cominciano a friggere uova e bacon alle 8 del mattino, vanno avanti tutto il giorno senza soluzione di continuità e finiscono a mezzanotte. Ma è una parentesi a cui mi dedicherò con più calma.
Fatto sta che la Famiglia in cammino ha dovuto adattare l'orecchio a numerose espressioni tipiche di qui, oltre che alla micidiale pronuncia. Passati i primi giorni di totale sconcerto, ora ci sentiamo più integrati (ma comunque orgogliosi della nostra isola linguistica). L'adattamento riguardava soprattutto la numerosa componente femminile della Famiglia: il Papà, avendo vissuto per due anni in Inghilterra, non ha avuto nessunissimo problema. La Grande, grazie ad un progetto della scuola materna, capisce un po' di inglese e lo parla. È in grado di fare amicizia coi coetanei e risponde ad alcune semplici domande. Soprattutto, è molto orgogliosa della sua competenza e non perde occasione di mostrarla. Spesso gli australiani se ne stupiscono. Io ho studiato l'inglese al liceo (liceo classico, peraltro). Nei primi giorni di viaggio, non capivo quasi nulla. Ora capisco quasi tutto, il che è una piccola soddisfazione. Alla mia età, con capelli bianchi incipienti e rughe incombenti, pensavo fosse impossibile progredire con la conoscenza di una lingua. E invece.
La Piccola è letteralmente beata. Lei adora il suono della lingua inglese. Adora che le si parli in inglese. Cerca di imparare i vocaboli e ci assilla con un sacco di domande. Quando qualche australiano si rivolge a lei, mostra un sorriso serafico e si sente importante. Non capisce assolutamente nulla, ma ha imparato a dire "yes" con un garbo tale che la gente ci casca.
Ancora un mese di questa immersione linguistica e possiamo davvero trasferirci in Australia. Peccato che anche la Grande abbia iniziato ad ostacolare queste fantasie, dicendo che le mancano il suo letto, i suoi Pan di Stelle, i suoi amici. Peccato.
Dormiamo a bordo dell'autostrada. Siamo diretti a Coober Pedy, capitale mondiale dell'opale, dove in inverno la temperatura scende sotto zero, ma in estate può arrivare a 50 gradi.
In mattinata, alle Flinders Ranges, abbiamo visitato le splendide pitture aborigene di Arkaroo, che raccontano la leggenda di Wilpena Pound. Wilpena Pound è un'enorme formazione montuosa dalla forma ellittica che ha il fascino di un'oasi: fuori c'è la savana, dentro un bosco rigoglioso. Si arriva al punto panoramico con una camminata di un'oretta, su sentiero scosceso e sconnesso (non avrei scommesso sulla tenuta della Piccola, e invece è andata benone). Durante la salita abbiamo raccontato alle bambine la leggenda: due enormi serpenti, dopo aver divorato decine di uomini, non riuscivano più a muoversi. Si sono distesi per trovare sollievo e invece sono morti. I loro corpi hanno formato le due catene montuose che costituiscono l'ellissi di Wilpena Pound. Tutto il racconto è rappresentato con pitture rosse e bianche, astratte con le mani, ad Arkaroo.
La cultura aborigena (prima di Maometto, prima di Cristo, prima degli Egizi) ci lascia tutti a bocca aperta.

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