mercoledì 12 marzo 2014

palya

La Famiglia in cammino pensa che scalare Uluru non solo sia poco rispettoso (per gli Anangu la montagna è sacra) ma anche veramente stupido: la roccia è ripida e scivolosa, e in alto non c'è nulla da vedere. Gli Anangu, tra l'altro, non hanno mai visto Uluru dall'alto. La vera esperienza è il sentiero che gira intorno alla montagna. È lungo 11 chilometri (per quanto si tratti di un monolite - cioè una singola pietra - Uluru è grande come una montagna) e passa vicino a pozze d'acqua, siti di pitture rupestri, grotte in cui si riunivano gli anziani intorno al fuoco, tanto che la volta è annerita dal fumo. Il problema è che per 11 chilometri ci vogliono due ore e mezza di camminata, in mezzo alle mosche e con la temperatura a 40 gradi. Non ce la sentiamo di proporre l'intero tragitto alle bambine, nemmeno alla Grande. Dopo giorni di riflessione, di idee strambe, di ripensamenti, abbiamo optato per la seguente quadratura del cerchio: io e il Papà abbiamo percorso il sentiero da soli, uno per volta in giorni diversi. Entrambi siamo partiti all'alba, in modo da camminare per la prima parte al fresco e senza mosche (le malefiche si svegliano, tutte insieme, col sole). Nel frattempo, l'altro genitore rimaneva con le bambine ancora addormentate nel camper. Tutto molto intelligente, se non fosse che da due giorni ci alziamo alle 5.
Ieri è stata la volta del Papà. Oggi era il mio turno.
La camminata intorno a Uluru (Ayers Rock) vale il viaggio. Ad ogni anfratto della pietra è legata una leggenda. In ogni grotta ci sono pitture. Nei luoghi più impensati si nascondono pozze d'acqua che raccolgono naturalmente la pioggia. Per gli aborigeni questo luogo non era solo una spettacolare meraviglia della Natura (cosa che del resto è ancora oggi): era garanzia di vita. Acqua, ombra, riparo. A Uluru c'è tutto. Nel pomeriggio abbiamo portato la Grande e la Piccola a visitare qualche luogo significativo della roccia: non volevamo, in ogni caso, che perdessero l'opportunità. C'è la grotta in cui si riunivano le famiglie. La volta sotto cui le madri insegnavano alle figlie. Un anfratto dipinto con le mani che veniva usato dagli anziani come lavagna, per insegnare ai ragazzi la sopravvivenza nel deserto. La Grande lo ha ribattezzato "la scuola degli aborigeni" e vorrebbe assolutamente andarci. Che si tratti di una piccola caverna dipinta, dove da decenni non entra più nessuno, non la turba. Si sente pronta a raccogliere frutti commestibili e acqua potabile, oltre che a badare a sua sorella (il che, confesso, ogni tanto non sarebbe male).
Da qualche giorno raccontiamo leggende aborigene. Abbiamo capito che il corvo è nero perché è caduto nel fuoco e si è bruciato le piume, che il pappagallo bianco è arrabbiato con l'aquila e che le le pleiadi una volta sono scese sulla terra. Abbiamo anche imparato una parola aborigena: palya. Ciao.

2 commenti:

  1. Ciao viaggiatori. Che bello il vostro rispetto, che forza la fatica di vivere in sintonia con la natura che traspare dai siti aborigeni. Che belle queste bimbe estasiate dall'incontro, che non capiscono (ma intuiscono) lo scontro. Che belli questi genitori che per godere del sacro si levano alle 5 e respirano la magia millenaria... Qui finalmente è primavera: luce, fiori, tepore e perenne stanchezza... A presto! Fra & co

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