mercoledì 1 luglio 2020

tutti gli spruzzi di oggi

TAPPA 4 - Da Aosta a Châtillon 28 km
Che rimanga per sempre negli annali della Via Francigena: subito dopo la borgata di Rovarey c’è una cascata. Fin qui niente di strano: la Val d’Aosta ci sembra piena di cascate, canali di irrigazione e torrenti di varie dimensioni. Ma la cascata di Rovarey è davvero un regalo ai pellegrini affranti: precipita schizzando in un punto ombroso, e stando lì vicino si riesce a prendere una bella dose di spruzzi gelidi. I miei figli ci sono rimasti vari minuti, beandosi sotto l’acqua, al termine di una salita durissima, una delle tante della giornata. Il refrigerio alla cascata ha avuto qualche antipatico effetto collaterale: da quel momento in poi il Piccolo si è buttato, senza mai chiedere l’autorizzazione, sotto qualsiasi getto umido: fontane (per fortuna lungo il percorso ce n’erano molte), impianti delle aiuole pubbliche, pompe private. Forse avrei dovuto bloccarlo: da bambina mi hanno insegnato che non è salutare tenere addosso i vestiti bagnati. Ma chiunque avesse visto la sua espressione di gioia non avrebbe mai trovato il coraggio di toglierlo da lì. Non ce l’ho fatta nemmeno io, che vedo nelle regole una delle essenze del materno. Lo stesso hanno fatto le sorelle: ad ogni fontana riempivano il berretto d’acqua e se lo rimettevano in testa, effetto doccia portatile. Non avrei detto che l’estate in Val d’Aosta potesse essere così calda. Oggi tappa lunghissima, una delle più lunghe di tutta la Francigena, almeno per quanto riguarda noi. Ventotto chilometri di salite e discese, con seicento metri di dislivello in salita e altrettanti di discesa. A questo si aggiungano le pessime condizioni dei sentieri, alcuni nemmeno riconoscibili come tali. Erano, più che altro, percorsi nell’erba alta; faticosi da percorrere a piedi, figuriamoci col passeggino. Abbiamo inoltre capito che il cammino non è caro a tutti: un contadino ha avuto la simpatica idea di stendere il filo elettrico (quello che di solito si usa per bloccare le mucche) proprio in mezzo al tracciato, facendoci dubitare di trovarci sulla strada giusta. Bovini non ce n’erano, voltaggio invece sì. «Che ci vuol fare - mi ha detto un dirimpettaio - al mio vicino dà fastidio il passaggio dei pellegrini, e stende il filo elettrico fin sul sentiero. Non lo tocchi, mi raccomando!». Mi attraversa la paura di essere impallinata insieme ai figli da un allevatore ostile. Ma poi scaccio il pensiero e mi concentro sul passaggio, tra l’altro pieno di rovi. Poco lontano, in compenso, siamo accolti a braccia aperte: «Eccovi, finalmente!» sentiamo gridare. Ci viene incontro un ragazzo sorridente. Ha letto della pazza famiglia che cammina per portare una speranza anti-Covid e ci voleva conoscere. Ha preparato Coca-Cola per i bambini e birra per noi. Ci fermiamo, scambiamo due chiacchiere, scattiamo una foto insieme. Gli incredibili incontri del Cammino. Riprendiamo la marcia, abbiamo ancora parecchia strada. Arriviamo a Châtillon stremati, tredici ore dopo la nostra partenza alle sei del mattino. Per un attimo penso che, se ce l’abbiamo fatta oggi, abbiamo ottime probabilità di arrivare alla fine del viaggio. Ma poi scaccio rapidamente il pensiero. Alle mie figlie lo dico sempre: non dobbiamo ancora pensare a Roma, perché Roma è troppo distante. Il nostro obiettivo è la fine di ogni singola tappa. Ci dirigiamo al ristorante più vicino: una scaloppa valdostana ce la siamo meritata. 

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